La luna
Io non ho desiderio. Non è più nella mia natura desiderare qualcosa poiché quand'anche lo facessi, anche se lo desiderassi sopra ogni altra cosa al mondo, nel momento stesso in cui lo otterrei, perché lo otterrei, saprei già che non sarebbe destinato a sopravvivermi. Perché desiderare se tutto quello che posso ottenere è finito rispetto ad un essere infinito come me? Nulla mi è impossibile, niente mi è vietato, posso rubare vite, viverle al posto loro, se un giorno voglio un regno posso avere anche un impero, non c'è limite al desiderio. Ma quando tutto è così semplice, anche il più desiderabile dei desideri perde valore.
Questa non fu null'altro che la risposta alla mia domanda su dove volesse andare. Finito il tramonto di sangue, finiti i fumi sulla mia vita passata, avevo trascorso il tempo a guardare lui, in attesa di una sua mossa, mentre lui non aspettava altro che la mia.
Mentre lo guardavo si comportava sempre con indifferenza anche se sembrava serbasse un certo senso di compiacimento nell'essere osservato. Non nei suoi lineamenti ma nel modo di porsi, ricordava il più bello dei dipinti della magione: un ragazzo con gli occhi chiusi dal pallore mortale reclino su un verde prato. Credo avesse anche altri particolari a rendere singolare quel soggetto ma, ciò che mi rimase in mente, fu sempre il titolo: l'immortale.
Ora, quel quadro condivideva la bellezza della creatura così come un capolavoro lo faceva con la sua brutta copia ma al paragone che mi si presentò nella mente seguì poi l'immediato desiderio di vedere quell'essere cullato dal sonno poiché, seppure ormai avesse sembianze più che umane, nel suo fingersi uomo infondo al suo sguardo vi era sempre la luce di quei gialli occhi da bestia. Occhi pieni di astio, sempre pronti a dettare giudizi.
Passai il tempo a guardarlo aspettando che si addormentasse ma così come aveva passato chissà quanta parte della sua esistenza in quella cantina, immobile dietro delle sbarre circondato dai topi, così ora stava seduto su di un prato e, non passò molto tempo, che dopo innumerevoli cambi di posizione, fui io quella che cadde nelle braccia del sonno.
Vorrei dire di aver dormito bene quella notte, ora che finalmente non ero più legata a quella monotonia, ma la verità è che non ero affatto abituata a dormire fuori e il fatto che non apprezzassi la mia esistenza non implicava che disprezzassi le comodità che mi donava.
Ben presto iniziai ad avere freddo, il terreno d'erba non era più caldo sotto il sole ma freddo e duro nella notte e il solo pensiero di tutti gli insetti che potevano camminarmi addosso iniziò pian piano ad inorridirmi. Non avevo mai mangiato tanto nella magione, specie la sera che passavo poi in quella cantina, ma il cibo non era mai mancato e la fame non era mai stato un problema che mi avesse anche solo sfiorato.
In tutto questo la creatura non si muoveva, non mangiava, non dormiva e men che meno parlava e io, che di quelle cose mortali ero inevitabilmente schiava, ben presto, stanca di tutto quello, gli avevo chiesto quali fossero le sue intenzioni e quando capii che non ne aveva alcuna improvvisamente la mia mente si fece bianca.
Avevo passato la mia vita a seguire passivamente le scelte degli altri, con disinteresse camminavo sul percorso che altri avevano già tracciato per me e anche dopo ciò che era avvenuto quella notte null'altro avevo voluto se non seguire quello che avrebbe desiderato quella creatura.
Nella mia mente non vi era null'altro che lei e le sue gesta, così, quando compresi che non c'era nulla che dovessi seguire, nessuna strada, nessun percorso, nessun indizio, la prospettiva di dover prendere una scelta mi lasciò impotente e sorpresa.
Passò del tempo prima che decidessi di alzarmi e camminare lungo il primo sentiero che avessi trovato ma se non fosse stata la fame a spingermi, perché di fame credevo di morirne, allora sarebbe stata la sete e se non loro allora sarebbe stato il vento, la pioggia o il freddo e tutte quelle nuove sensazioni o esperienze così nuove e improvvise da affaticarmi sempre di più.
E così io camminavo e la creatura seguiva, le braccia piegate dietro la testa ed una spensieratezza e vaghezza nei modi solo apparente perché, in realtà, non vi era momento in cui non provassi la sensazione di quegli strani occhi gialli, ora in parte nocciola, che fissavano con insistenza la mia persona.
La creatura non fu di grande compagnia nel mio errare senza una meta. Non dava consigli né direttive e parlava solo se interessato all'argomento. Più di una volta mi ero lamentata con lui della fame e della sete e ogni volta, puntualmente, l'unica cosa che mi ritornava indietro era un largo sorriso beffardo.
Se avessi potuto nutrirmi di quei sorrisi probabilmente lo avrei fatto, così come lui era bello i suoi sorrisi non erano da meno ma, essendo vissuta in una nobile famiglia decaduta, fin da subito mi era stato ripetuto che non si poteva vivere di bellezza per sempre.
Gli uomini continuano a rincorrere ciò che credono bello, filosofi e poeti paragonarono la bellezza ad un fiore delicato e destinato a sparire in breve tempo. Stolti e superficiali, ecco cosa penso io, non riescono a vedere che c'è bellezza nella decadenza, nel lento finire verso la morte terrena. Continuano ad osannare una bellezza candida e vergine, priva di qualunque esperienza di mondo e ignorante di qualunque cosa, lo fanno perché sono codardi, hanno paura dell'eterno intercedere del tempo e paragonano il bello a ciò che gli ricorda una giovinezza eterna. Hanno paura della morte e di tutto quello che non riescono a comprendere. Guarda me, il tempo non mi tocca eppure ho visto più bellezza all'infuori rispetto che dentro di me. Un corpo solcato di cicatrici, un'anima provata dal mondo e lo sguardo di chi affronta l'ultimo capitolo. Questa è bellezza! E loro continuano a rifiutarsi di vivere la loro già breve vita per rifugiarsi in una futile illusione che chiamano bellezza.
Questo fu uno dei nostri primi discorsi, uno dei quali la creatura aveva indovinato il perché mi avessero adottata. Senza eredi e nessuna speranza di rivalsa il mio tutore mi aveva scelta per quella che loro chiamavano bellezza, non vi era giorno che la governante non mi ricordasse dei miei boccoli d'oro e dei miei occhi azzurri, "Trova marito perché sei bella, uno buono per il nostro padrone! E cresci ancora più bella con questo viso d'angelo e spera di rimanerci a lungo". Me lo aveva ripetuto così tante volte mentre mi spazzolava i capelli che mi era subito venuta a noia.
Ma se di sopra osannavano e invidiavano quello che loro chiamavano "la bellezza" che mi apparteneva, era nel disprezzo di quegli occhi gialli che mi parlavano che io mi ero innamorata. Non era solo il naturale affascinarsi all'immortale proprio dell'uomo, quello faceva la sua parte certo, ma era soprattutto dei suoi discorsi e delle sue parole venate di emozioni per cui, pian piano, non avevo potuto fare a meno che amarlo.
Tornando a noi però la sua bellezza non poteva certo sfamarmi ed ero certa che mi avrebbe guardata morire di fame per vedere "l'ultimo capitolo" da lui decantato se, mentre il cielo si faceva terso di nuvole nere e il vento implacabile si alzava sempre di più annunciando burrasca, lì nel mezzo di quello che mi sembrava essere il capitolo più nero della mia allora breve vita non avessi intravisto una luce nella boscaglia.
Era allora usanza del posto, come scoprii poi, lasciare fuori dalle porte dei lumini accesi, ben protetti dalle intemperie, perché i propri cari potessero orientarsi nel buio e nella tempesta. Certo quella luce tremula di candela non era lì per me ma, inevitabilmente, mi infuse un barlume di speranza che mi permise di allungare il passo verso quel tanto agognato porto sicuro.
Nella mia vita non mi ero mai vista negare nulla delle poche cose che chiedevo quindi immaginatevi quale sorpresa quando mi sbatterono la porta in faccia. Ben magra fu la consolazione del suono della sua risata mentre il vento si alzava e le prime gocce di pioggia iniziavano a battere sul terreno.
Che cosa le succede signorina Grace? Parlò alla fine della sua risata in risposta al mio volto inevitabilmente stupito. Non vi aspettavate certo che vi aprissero la porta e vi invitassero ad entrare vero? Questa è povera gente, a mala pena hanno da che tirare avanti adesso che l'inverno è alle porte, la maggior parte delle volte si scaldano del calore dei corpi loro o dei propri animali per non morire di freddo e secondo voi hanno la voglia di aiutare una ragazzina così delicata probabilmente destinata a morire con la prima febbre?
Fu in quel momento, lo ricordo bene, che il mio carattere viziato, che mi aveva colorato il volto d'imbarazzo davanti a quello scherno e quel rifiuto, venne fuori facendomi alzare la voce verso quella creatura che tanto ammiravo nella sua maestosità e che adesso si limitava a deridermi appoggiato ad un albero dal fondo del vialetto.
"Perché tu potresti fare di meglio?" Le parole mi uscirono di getto, i pugni chiusi, stizzita e infastidita per il freddo e per la fame. Mai mi sarei sognata, normalmente, di alzare la voce contro quella creatura e mai probabilmente, gli avrei risposto in quella maniera quando, in un battito di ciglia, apparve ad un palmo dal mio naso, i suoi occhi marroni che brillavano di giallo fissi verso il basso nei miei azzurri quando mi disse: Dammi qualcosa che valga la pena avere e te lo mostrerò. Ed io, che nel mio orgoglio ferito volevo una sorta di risarcimento dissi: "Un bacio"
A ripensarci a mente fredda non fu assolutamente una proposta intelligente, avrebbe benissimo potuto rifiutare e guardarmi morire perché, in fondo, l'unica a guadagnarci da quella proposta sarei stata io ma lui, che non sembrò affatto sorpreso come avevo sperato, si limitò a ridere sommessamente con il suo sorriso bonario e afferrandomi il volto con una mano si prese il mio primo bacio.
Finì ancor prima che lo realizzassi e lui ancora rideva della mia faccia stupita quando, con dei colpi decisi, aveva bussato di nuovo alla porta di legno, i riccioli neri bagnati dalle prime gocce di pioggia e un sorriso così serafico che sarebbe stato impossibile non assecondare le sue richieste.
E infatti così fu perché quando la contadinotta aprì la porta per la seconda volta le sue parole di protesta le morirono in gola appena vide la creatura che prese lusinghiera a parlare. Perdonate la nostra intrusione ma il tempo non ci permette di proseguire e se voi foste così gentile tanto quanto lo è la vostra bellezza allora sarò felice di ripagarla in qualunque maniera vogliate.
La lusinga serpentina nelle sue parole, il peso che aveva dato a quel "qualunque" aveva avuto il triplice effetto di aprirci la porta, lusingare la giovane donna e farmi ingelosire.
Come osava quella contadinotta anche solo pensare di poter allungare le mani sulla creatura che tanto ammiravo? Lei che di lui non sapeva nulla, lui che, neanche pochi secondi prima di lusingare un'altra, aveva baciato me?
L'indignazione per quella scena dipinta sul mio volto, se lui non avesse insistito, quasi avrebbe procurato l'effetto di farmi chiudere ancora una volta la porta in faccia e, se non fosse stato per la fame e per il freddo, probabilmente sarei rimasta fuori di mia spontanea volontà.
Nonostante fossi molto difficile di carattere per quella sera bastò il calore di quella casa a disciogliere i miei nervi. Sul piccolo fuoco che ardeva nel camino vi era una brodaglia più acqua che verdure ma da un profumo per me così invitante da sembrarmi la cosa più buona che vi fosse al mondo. Così, mentre lei serviva lui stando ben attenta a sfiorargli le mani e io dovevo versarmi da sola la magra cena rischiando di bruciarmi con il mestolo, un temporale forte come mai ne avevo visti infuriò fuori da quella modesta casa.
Non avrei mai immaginato quanto fosse piacevole ritrovarsi in un luogo caldo, seppur puzzolente di animali, mentre fuori infuriavano il freddo e la pioggia. E quale piacere, mentre ascoltavo il rombare dei tuoni e aspettavo i bagliori dei fulmini che tanto amavo, sentire il calore di quella brodaglia calda scendermi lungo la gola. Sicuramente avrò mangiato meglio nella vecchia magione ma, quello che mi era sembrato un interminabile periodo di fame, probabilmente favorì a rendere quel pasto il più buono che avessi mai mangiato nonostante le odiose mani che sicuramente lo avevano preparato.
Nella gioia momentanea di quel calore aspettavo che la contadinotta andasse a dormire così che io potessi parlare liberamente con la mia creatura dei quali discorsi mi trovavo ad essere inevitabilmente gelosa e coronare così la serata come una delle migliori che avessi mai vissuto.
Ma mentre lei insisteva a dire che sarebbe rimasta sveglia ad aspettare suo marito, il crudele abbraccio del sonno non faceva altro che stringermi sempre di più e, prima ancora che me ne rendessi conto, il sogno si mischiò alla realtà per poi sparire inghiottito in un lungo e profondo nulla.
Quando mi svegliai, la testa reclina sul tavolo e un fastidioso dolore alle ossa per l'umido che permeava tutta la casa, il mio primo pensiero fu per quella creatura che divertita mi aveva guardata scivolare nel sonno mentre rispondeva ai piccoli gesti della giovane donna.
Non chiedetemi di descriverla, l'ho odiata con tutta me stessa quando, aperta la porta dell'unica stanza, la trovai giacere nuda insieme a lui, l'unica cosa che ricordo di lei era il suo seno scoperto dalla povera coperta di tela e per altro, vi posso assicurare, che non vi fosse nulla di minimamente interessante in quell'effimera vita che potesse sopravvivere alla mia insofferente memoria.
Ciò che ricordo è l'aver sbattuto la porta in un moto di rabbia feroce, di aver aperto la porta d'ingesso, ed essere uscita furiosa nell'aria umida di quella tarda mattinata. Oltre il vialetto il mondo stesso in una sola notte si era trasformato in un pantano e le mie scarpette con il tacco vi affondavano così bene che quasi ad ogni passo rischiavo di rimanere scalza. In preda ad una crisi isterica, incapacitata dalla mia precedente vita di fare altro, tutto quello che potei fare per dar sfogo ai miei nervi fu quello di strillare e battere i piedi nel fango con l'effetto che le scarpe, una volta di delicato rosa confetto, si fusero completamente con il fango e gli schizzi che provocai, oltre a incrostare l'orlo del vestito umido dalla notte prima, lo riempirono di così tante macchie da ricordarmi un cane di razza dalmata.
Signorina Grace, mi canzonò così la creatura apparsa alle mie spalle. Non è certo questo il modo di mondo che il vostro defunto tutore ha cercato di impartirvi o sbaglio? Ma guardatevi, con questo vestito così lurido assomigliate quasi a una guardiana di porci.
E così sorrideva divertito e sfacciato, mentre mi guardava a braccia incrociate e vestito di tutto punto, senza neanche una goccia di fango, come se nulla fosse successo e il mondo non potesse toccarlo ma per me, che di lui ne avevo fatto una ragione di vita e non potevo sopportare che chiunque me lo portasse via, la rabbia bruciava così intensamente da farmi lacrimare gli occhi che, inevitabilmente, vedevano quell'odiato seno giacere vicino a lui.
"Come avete potuto farlo?"
E davanti alla mia indignazione e rabbia lui non fece altro che ridere.
Oh, miseria! E si coprì gli occhi con una mano mentre scuoteva la testa Gelosa, viziata, ignorante Grace, credi forse che il mondo ti appartenga? Che un singolo bacio di qualche secondo significhi un inestimabile patto di lealtà? No signorina, il mondo è un dare e avere e solo chi ha la forza necessaria può prendere quello che vuole senza rendere nulla e, francamente, tu non ne hai.
"E tu? Tu che sei quello che sei non potevi evitarla? Non potevi ucciderla se necessario?"
Io potrei fare molte cose Grace. E quando sorrise i denti sembrarono più affilati e gli occhi gialli come lo erano stati nelle tenebre. Ma il tuo volto era così sereno mentre dormivi rispetto a tutta la gelosia che ti animava prima che ho creduto fosse più divertente così che in altre maniere. Mi hai chiesto se non avrei potuto evitarla o persino ucciderla, certo che potrei, ma perché uccidere un qualcosa di così insignificante se posso ottenere una così colorata gelosia come la tua? Ma guardati... sei tutta rossa di rabbia!
Non so quanto delle sue parole fossero vere e quante poste solo per infastidirmi ma, quello che fu certo, era la cocente irritazione che mi montava dentro, il pensiero che avrebbe continuato a stuzzicarmi in quella maniera con qualcosa di così inutile solo per alimentare la mia gelosia.
Vuoi che la smetta?
"Si!"
Vuoi che io esista solo per te?
"Lo voglio!"
E allora uccidila.
E qui la mia risposta tardò ad arrivare.
Cosa c'è che non va Grace? Una vita per una vita no? Io ti offro la mia e tu mi offri la sua, non ci vai neanche di mezzo tu, l'essere umano è egoista, vedi che ti verrà facile. Non è questo che desideri? Cosa e quanto sei disposta a sacrificare per ciò che desideri? Cos'è, improvvisamente hai degli scrupoli per quella persona? È facile chiedere di uccidere, urlare un ordine, schioccare le dita. È facile quando sono altri a realizzare i tuoi desideri, ma quando sei sola Grace... è quando si è così soli e miseri da non avere altro che se stessi che si capisce quanto un desiderio vale, quanto siamo disposti a sacrificare per ottenerlo
Tutto quello che ho avuto da questa vita inutilmente lunga è stata la conferma di quanto l'uomo sia indegno di ciò che ha, indegno della sua esistenza, ceco davanti alle gioie del singolo momento, buono solo a lamentarsi di cosa ancora non possiede. "Di più! Di più!" Urla l'ingordo animo umano mentre si nutre, imboccato dalla vita, di tutto senza sentirne neanche il sapore. Con rabbia e violenza prende e afferra ad occhi chiusi tutto ciò che ha la sventura di capitargli a portata di mano, guidato da un ceco sentimento di avarizia, incurante persino di ciò che afferra. Mai sazio, mai soddisfatto, mai felice. Care, mi sono le loro espressioni misere e supplichevoli quando, nel momento della morte, solo quando vengono violentemente uccisi, realizzano che hanno tutto da perdere. Mi vuoi Grace? E allora uccidi quella misera vita, prendila con le tue mani sacrificando tutto ciò che è necessario per realizzare il tuo desiderio, solo così, ne apprezzerai il valore. Una vita umana stroncata dalle tue mani; è questo il prezzo che metto al tuo desiderio.
Allora Grace. Mi chiese mentre annegavo in quello sguardo giallo. Cosa farai? Ucciderai la donna di cui sei gelosa per avere ciò che vuoi oppure ti ricoprirai di quel senso di giustizia di cui l'uomo ipocritamente si ammanta? Non sarebbe la prima volta che qualcuno mi chiede di uccidere per poi ritornare inorridito sui suoi passi quando in cambio richiedo qualcosa di altrettanto terribile. Hai bisogno di tempo Grace? La mia offerta è valida fino a quando la luna non sarà nel suo punto più alto, questa notte.
Quando tornammo alla casa, io che ero quasi tutt'uno con il fango e lui che mi seguiva silenzioso alle spalle, la donna non era più sola nella casa.
Quando aprimmo la porta un uomo imponente e dallo sguardo interrogativo si stava togliendo dei logori e consunti stivali incrostati di fango mentre la donna, che stava tagliando verdure con un coltellaccio spuntato, guardò spaventata la creatura al mio fianco.
L'uomo, che doveva essere il marito della donna e il padrone della casa, ci chiese chi fossimo e prima ancora che la donna potesse rispondere fu Erik, la creatura, a rispondere con schiettezza.
Siamo stati sopresi ieri notte dal maltempo e vostra moglie ci ha invitati ad entrare, è stata molto gentile e disponibile. La creatura sorrise e con la coda dell'occhio, con mia immane soddisfazione, vidi la donna sbiancare. Domani mattina passeranno a prenderci nei dintorni, stavamo per andare ma vostra moglie ha insistito perché aspettassimo da voi. Vi ringrazio per la vostra ospitalità e per ogni cosa sarò contento di aiutarvi.
L'uomo squadrò me e la creatura, borbottò un commento su braccia in più per la legna e chiese a sua moglie di darmi qualcosa di asciutto. La donna e questo lo ricordo perché mi rese molto contenta, annuì fulminandomi di sottecchi con lo sguardo e invitandomi a seguirla.
Mentre la donna si occupava di me la mia mente era altrove. L'avrei uccisa? Se sì, come? Già il fatto che stessi pensando a come mi forniva una risposta alla prima domanda. Ma sarei davvero stata in grado di farlo? Avevo visto il mio changeling morire ma sarebbe stato lo stesso che farlo con le mie mani? Ricordavo i racconti di quella creatura, come i suoi occhi brillavano ad ogni morte, come se le bramasse, come se, ogni vita interrotta, riempisse di vita la sua. Ma sarebbe stato lo stesso per me?
Non nascondo il timore con il quale quelle domande affioravano nella mia mente e prima ancora che me ne rendessi conto il tempo, che batteva veloce come il mio cuore sempre più ansioso, era passato e il giorno, che nella mia magione intercedeva lento verso la fine, si tramutò celere in sera. Senza che me ne rendessi conto l'azzurro si fece blu intenso, le luci calanti allungarono le ombre e i miei pensieri, stretti nella morsa del tempo, si fecero più cupi.
Uccidere era un'opinione possibile? Non trovavo riposta a quella domanda, avevo sempre contemplato la mia di morte e mai quella di altri per mano mia e mentre riflettevo su quel punto interrogativo senza risposta un'altra domanda affiorava nella mia mente, una domanda con una risposta più che certa, che poneva fine alla questione. Sarei stata in grado di vivere senza la mia creatura? No. Il vuoto immenso dato dalla sua presenza mi spaventava al punto che anche uccidere, per quanto terribile possa sembrare, risultò nelle mie riflessioni un pegno più che giusto da pagare.
La notte venne, nera e cupa come gli abiti di quell'oscura signora che con la falce in una mano aspettava il momento in cui sarebbe stata chiamata in causa. Lei che non aveva fretta, sospesa nel tempo, implacabile e impassibile, me la figuravo mentre con occhi vuoti e disinteressati aspettava il momento per entrare in scena. Sempre puntuale, mai in ritardo, né in anticipo.
Personificare la morte è un difetto dell'uomo, un modo per avere l'illusione di potersi difendere da qualcosa di inevitabile e immateriale. Più la rende tangibile, più simile la rende all'uomo, più l'uomo stesso si illude di avere potere su di essa. Ma la morte, quella che voi chiamate oscura signora, non ha niente di umano, né l'aspetto né l'anima, se di un'anima possiamo parlare. La morte non ha preferenze, non è maligna né benigna la morte è e basta, esiste e sempre, finché una vita si farà avanti, esisterà. Aspetto il giorno in cui anche la morta cesserà di esistere, non perché vi saranno immortali creature ma perché, un giorno, non vi sarà più alcuna vita. Trovo stupido umanizzare la morte, è stupido il pensiero di poter sconfiggere la morte, lei che esiste in funzione del vivo. L'uomo ha paura della parte mortale di sé, di quella destinata a deperire e sparire e quindi, forte di questa paura, la esterna, tagliando fuori una parte che lo caratterizza e donandogli una vita e un volto e persino una volontà. Quanto stupido la paura rende l'uomo, che ha paura di una parte di sé come il cane della propria coda, così stupido da rendere immortale e vivo un qualcosa che in realtà non è mai nato e che, di conseguenza, non può essere considerato vivo.
Le parole della creatura mi vennero alla mente con facilità, lui che della morte faceva la protagonista di molti dei suoi discorsi. I ricordi di quelle parole dette nel buio di quella cantina mi tornarono cari alla mente e con loro ricordai anche una domanda la quale risposta era sempre stata la stessa.
"Perché lo hai fatto?"
Non capiresti.
Per quanto tempo avessi passato con quella creatura non mi era mai stato possibile comprenderla a fondo perché nonostante la familiarità che avevo con i suoi pensieri e i suoi discorsi c'era qualcosa, probabilmente le esperienze della sua lunga vita immortale, che mi impediva di comprendere a pieno quella creatura. L'esaltazione e la curiosità di avanzare verso un mistero così ben celato e all'apparenza tanto vicino quanto irraggiungibile, il fascino che su di me quel mistero esercitava era uno dei motivi per il quale mi ero convinta di non poter più ammirare altri che lui.
E così, forte di quella convinzione, nella notte profonda e nel leggero rumore dei generali respiri, presi il coltello più grande che quella povera cucina aveva da offrire e con il fiato sospeso, così diverso dall'agitazione del mio cuore, mi avvicinai alla camera della donna e dell'uomo.
Avrei dovuto uccidere anche lui se si fosse svegliato? Oppure la creatura mi avrebbe protetta?
Alzai il coltello fin sopra la mia testa. Guardai la pelle scura di polvere e terra della giovane donna e iniziai a chiedermi se avrei dovuto pugnalarla al cuore o alla gola. Avrebbe urlato? Speravo di no ma ero sicura del contrario.
All'ombra della stanza, immerso nel buio della camera, due paia di occhi gialli mi fissavano in silenzio senza pronunciare neanche una parola.
Il mio cuore batteva. Le mie mani tremavano. L'impugnatura del coltello era scivolosa per il sudore e il grasso che vi erano sopra. Respirai a fondo. Contai i battiti per calmare il mio cuore. Guardai la donna e la creatura che aspettava famelica nelle tenebre.
Il coltello cadde. I miei occhi si riempirono di lacrime quando tintinnò rumorosamente al suolo.
Quando realizzai la mia impossibilità a compiere quell'atroce gesto le mie gambe si fecero molli e le mie mani corsero al mio volto ormai in lacrime. Singhiozzavo sul pavimento pensando a quello che stavo perdendo e solo il rumore delle urla dell'uomo e della donna mi forzarono ad alzare lo sguardo verso quella creatura verso la quale provavo, per il mio fallimento, un'immensa vergogna.
L'uomo, per quello che potevo vedere dal mio sguardo offuscato dalle lacrime, si contorceva urlando mentre il volto di un altro uomo, a loro sconosciuto ma a me ben noto, con luminosi occhi gialli e lunghi capelli bianchi, divorava e strappava e beveva selvaggiamente tutto quello che quel collo umano poteva offrirgli. La donna urlava, atterrita dalla paura non poteva fare altro che immobilizzarsi davanti a quell'orrore e quando la creatura lasciò cadere a terra il corpo esamine dell'uomo, prima di afferrare anche il collo della giovane donna, pronunciò queste esatte parole. Sorridi. Lo hai sempre odiato quando abusava di te. Ora, ti libererò della misera vita di cui ti lamenti tanto.
Non riuscivo a smettere di piangere, anche davanti a quell'orrido pasto non potevo fare a meno di pensare che fosse tutta colpa mia, sia quell'orrore presente che la sua assenza futura, non avrei potuto dare la colpa ad altri se non a me stessa. E quando anche la donna cadde esamine a terra, il collo lacerato da denti che non erano umani e lo sguardo perso nel vuoto assoluto del nulla, un paio di mani rese ancora più lunghe e affusolate dalle affilate unghie mi sollevarono il volto rigato di lacrime.
Oh Grace. Disse la creatura tenendomi il volto con una mano e asciugandomi delicatamente le lacrime con l'altra. Da dove hai preso questa brutta abitudine di piangere per l'inevitabile?
Le sue unghie erano così affilate che mi graffiarono il volto lì dove le lacrime avevano già tracciato il solco. Con il sorriso sul volto e gli occhi fissi e gialli che guardavano solo me la creatura si portò il mio sangue e le mie lacrime alle labbra.
Quale dolcezza. Sono così dolci perché piangi per me Grace? Potrei dire che tu sia spaventa a morte dopo questa scena se vedessi anche il minimo segno di repulsione sul tuo volto. Ma non riesco a trovarlo.
I suoi occhi gialli erano fissi su di me mentre singhiozzavo e cercavo inutilmente di ricompormi davanti a lui. Un briciolo di speranza si fece avanti nel mio cuore. Non se ne andava? Che rimanesse con me nonostante tutto?
Sei interessante Grace. Per te ho persino fatto un piccolo strappo alle mie personali regole ma credo che ora sia arrivato il momento di separarci. Il suo sorriso si fece largo scoprendo i denti sporchi di sangue. Lascia che ti saluti come si deve.
E prima che potessi aggiungere altro i suoi denti affondarono dolorosamente nel mio collo. La mia vista iniziò ad offuscarsi e respirare sembrava non portasse abbastanza ossigeno dentro i miei polmoni. Il dolore era una delle uniche cose, oltre a lui, di cui in quel momento ero cosciente ma, anche nel mezzo di quel dolore fisico e sentimentale, l'unico pensiero al quale mi aggrappai più di qualunque altro per rimanere cosciente era che, probabilmente, quello sarebbe stato l'ultimo momento che avrei mai passato con la mia creatura. Così, per quanto mi fosse possibile, feci di tutto per riuscire ad abbracciarlo un'unica e ultima volta. Se fossi dovuta morire in ogni caso, mi consolavo nella mia mente, certamente questo modo era migliore di altri.
Sei davvero interessante Grace
E le sue risate furono l'ultima cosa che sentii di lui.
Credevo che la morte sarebbe stata più vuota, che non avesse la fastidiosa sensazione dell'erba sul volto. Credevo che la morte sarebbe stata più mite, che non fosse così fredda e dura come il gelido terreno invernale. E forse credevo bene perché, dopotutto, come scoprii dopo con immensa sorpresa, non ero affatto morta.
Giacevo inerme su di un prato ruvido e semispoglio, il collo dolorante era fasciato stretto ma con cura e quando i miei occhi, impastati di lacrime e del sonno che mi aveva colto, si aprirono, una grande e luminosa luna illuminava il cielo notturno.
Non ebbi bisogno di cercarlo per sapere che se n'era andato, lo seppi dal momento stesso in cui aprii gli occhi, e così piansi, piansi tutte le lacrime che mi rimanevano lì su quel freddo terreno invernale con la luna come unica compagnia e simbolo degli impossibili inafferrabili umani desideri.
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