Il sole
Sono qui adesso, in un ultimo istante di tempo sospeso tra la vita e la morte, perché voglio raccontarvi dei singolari eventi che caratterizzarono la mia vita e di come, nell'arco di questa mia vita, il mio cammino si intrecciò inevitabilmente con questa singolare creatura. Di lui non conobbi mai il vero nome, né posso dire con certezza quale fosse il suo vero volto ma era, e probabilmente ancora oggi è, una creatura dall'immane forza e potere, bellissima, terribile e crudele, l'ombra dell'uomo che in un immemore tempo egli fu. Non mi dilungherò qui in considerazioni sulla complessità del suo carattere e del suo pensiero ma lascerò a voi, che ascoltate queste mie ultime parole, l'ultimo giudizio su questa creatura permettendovi di guardare tramite i ricordi di quella persona che ero.
La nostra storia inizia in una stanza buia, in un buio così tetro che ammanta il tutto trasformandolo in nulla. La nostra storia inizia nel mezzo del suo discorso, in un punto imprecisato del tempo, scandito dai discorsi che lui pronunciava.
La nostra storia inizia con lui che narra, lui che mi affascina.
Un anno. Così parlava. La gente si chiede che cosa potrebbe accadere tra un anno ma la verità è che non ha neppure idea di cosa accadrà domani. Fanno previsioni, giocano ad essere divinatori: che tempo farà, gli impegni che ho, il mondo come gira. Si credono grandi, si sentono potenti, sicuri. Si chiedono cosa accadrà in un anno e intanto meditano su come organizzare il domani. La verità e che non sanno nulla. Mentre si rigirano pigri, mentre vagano con la mente per cercare di capire cosa vogliono fare davvero. Viaggiare, mangiare, socializzare, in poche parole, vivere; e non tengono mai in conto nei loro piani di domani che potrebbero morire. La morte è una scena fuori programma, un'improvvisazione dello spettacolo che è la vita. Quando arriva devi fargli posto, non c'è altra scelta, arriva violenta e improvvisa, senza che tu l'abbia presa in considerazione, come un fulmine a ciel sereno, delineando un prima e un dopo. Tu umano, non avrai mai l'appunto "morte" nella tua agenda. Il che forse è un vero peccato non trovi?
"Dimmi perché li hai uccisi. Perché volevi le loro vite? Per sentirti importante? Per essere quel fulmine?
L'ombra tacque. Lì accasciata nel fondo della cella, tra l'aria stantia e l'odore di muffa, non vi era altra luce se non i suoi occhi gialli. Le pupille sottili come quelle di un gatto spuntavano fuori dalle sue palpebre socchiuse. Lì, nel seminterrato umido di quella magione, erano l'unica luce a rischiarare le tenebre.
La sua sola presenza, la consapevolezza di condividere una stanza da sola, al buio, con quel cupo assassino dalle mani sporche di sangue, avrebbe dovuto terrorizzarmi. Sarebbe dovuta essere la mia punizione e invece, ormai da tempo, aspettavo con ansia i nostri incontri ritrovandomi affascinata dai suoi discorsi, con la cadenza delle sue parole che scandivano il tempo in quell'angolo buio fuori dal mondo.
"Allora? È per questo?"
Con il fiato sospeso e la voce esigente come la mia curiosità mossi un passo avanti, carponi nel buio, verso quello sguardo felino, incurante dell'umido sotto i palmi delle mani e lo sporco che si attaccava al mio vestito.
Con il volto sfiorai il freddo umido delle sbarre che separavano me da quella bestia della notte. Lui non si mosse dal fondo, non lo faceva mai. Si assottigliarono invece i suoi occhi nel buio e, dalla forma sbilenca che assunsero, intuii che stesse sorridendo.
Tu morirai sussurrò nel buio lo fate sempre
Non vi era cattiveria nella sua sentenza né alcuna sorta di minaccia, per lui la mortalità era un semplice e puro dato di fatto. Prima che potessi chiedere altro, un infuriare di passi sul soffitto decretò la fine della mia punizione. Così come il mondo bussa invadente e furente per entrare in quel piccolo spazio all'infuori di esso, il gemere del legno e il clangore del ferro annunciarono l'arrivo della luce.
"Esci. Subito!"
E prima ancora che potessi protestare o girarmi per vedere l'ombra che non avevo mai visto in volto, una presa forte e irruenta mi costrinse in piedi, mi scosse violenta verso la luce e con una serie di improperi chiuse alle nostre spalle quella stanza oscura.
"Non ti stanchi mai di farti portare in quella cella piccola peste?"
Il volto enorme della governante mi guardò con sdegno mentre con le mani giganti ma sicure chiudeva la porta dalla quale eravamo uscite. Una, due, tre mandate e altrettanti lucchetti, il ferro gemeva e le chiavi tintinnavano mentre mi chiedevo se fosse davvero necessario tutto quello per un'ombra che non si muoveva mai.
"Eppure, hai una tale faccia d'angelo. Ti basterebbe sorridere con i tuoi bei denti bianchi, far risplendere quel visetto contornato da qui boccoli biondi e tutti ti cadrebbero ai piedi. Quegli occhi azzurri sono sprecati per un demonio come te."
Con uno scatto secco chiuse l'ultimo lucchetto poi storse il naso e disse.
"Persino con quel vestitino sudicio sei adorabile"
Le sue parole non mi interessavano così come non mi interessavano le macchie sul vestitino rosa confetto o il fiocco tutto sbilenco, non quando nella mia mente riecheggiavano ancora le parole di quella creatura dell'ombra.
Salimmo le scale per ritrovarci nella cucina della magione in cui vivevo per poi passare un lungo corridoio e ritrovarci in una delle tante sale principali. A rimanermi impressa nella mente fu sempre l'immagine delle enormi vetrate che mi offrivano uno sguardo su di un mondo per me pieno di mistero. Era mattina presto, lo si capiva dalla luce ancora soffusa che oltrepassava il vetro oltre le tende rosse e dall'affannarsi delle domestiche in divisa.
Mentre guardavo fuori mi chiedevo se l'alba fosse stata rossa, rossa come il sangue di cui mi aveva raccontato, torbido e denso come un calice di vino.
Non racconterò cosa accade in quella giornata, nulla di così effimero mi rimase nella memoria poiché appena potevo mi sbarazzavo di quella monotonia per poter vagare con la mente e pensare ancora a quella creatura. Ci pensavo sempre, costantemente. Come un veleno era entrato nei miei pensieri e le sue parole scarlatte e mortuarie riecheggiavano nella mia mente tanto che, la maggior parte delle volte, non sentivo gli ammonimenti del mio maestro se non fin quando non metteva mano al frustino.
Non era il mio dolore a risvegliarmi però, no quello mai. Non poteva certo picchiarmi, non ne aveva il potere, solo il mio tutore poteva punirmi. A prenderle era sempre il mio changeling, quel campagnolo dai capelli neri e arruffati, con una semplice camicia e un paio di braghe. A risvegliarmi dai miei pensieri erano le sue urla e a catturare il mio sguardo erano le sue nocche rosse e spellate. Le mie mani bianche, così erroneamente pensavo allora, non avrebbero mai avuto simili ferite.
Ottenuta così la mia attenzione il mio maestro mi sgridava, in quel momento, tuttavia, udivo solo i rumori sommessi del mio changeling e i miei occhi erano rapiti dalle sue lacrime mentre le sue spalle tremavano pin preda al sentimento. Quando il maestro si accorgeva della mia distrazione e un'altra frustata pioveva dal cielo, risvegliando così nuovamente la mia attenzione, allora diceva: "Possibile che la signorina non abbia attenzione? Morirà di percosse se lei non starà attenta!"
Allorché io rispondevo sommessa, lo sguardo perso nel ricordo di una stanza buia "Moriremo tutti, la bestia del buio lo ha detto, adesso o domani, che differenza avrà?"
Alle mie parole il maestro storceva la bocca e questa è l'unica cosa che ricordi del suo viso monotono. "Bene" la sua risposta era sempre la stessa "La signorina ne renderà conto al suo tutore"
Anche di lui non ricordo bene il volto, così privo di attrattiva come l'enorme governante o il maestro dalla bocca storta. Del mio tutore, se dovessi sforzarmi a ricordare qualcosa, direi che fosse come fumo di sigaro.
Lo incontravo solo la sera, a cena, quando riportavano i miei comportamenti della giornata, ogni volta puzzava di qualcosa, ascoltava grugnendo mentre io con calma piluccavo qualcosa dalla tavola. A fine resoconto diceva sempre una sola parola "Nella cantina" e poi, mentre mi afferravano di peso, strappandomi dalla sedia e dalla tavola, mentre mi allontanavano dalla luce del sole che moriva nei tramonti che tanto volevo vedere, lui spariva come fumo nell'aria fino alla cena successiva.
E di nuovo ero lì nel buio, di nuovo il legno gemeva e il ferro sbatteva fino a che non tornava il silenzio e un paio di terribili, affascinati occhi gialli si delineava nel buio.
"Non hai mai pensato di scappare?"
Da che ricordi il buio non era mai stato una punizione per me ma, probabilmente, essendo maritarmi con un buon partito l'unico interesse che avessero nei miei confronti, non si erano mai soffermati su cosa mi piacesse o meno e così, trattandomi come di regola si sarebbe fatto con qualunque ragazzina, avevano continuato a buttarmi in quello che, per me, era ormai diventato un rifugio fuori dal mondo.
Scappare? Bisognerebbe essere rinchiusi da qualche parte per poter scappare non credi? Mi credete rinchiuso in un luogo per me inespugnabile, vi sentite al sicuro con il vostro galoppino scelto nascosto sotto i vostri piedi e non vi è mai passato per la testa che in realtà io sia esattamente dove voglia essere? È l'arroganza di voi uomini questa, vi credete forti se non vi strappo la gola a morsi, vi credete potenti perché mi avete cinto il collo con una catena e non vi passa neanche per la testa il fatto che siate così insignificanti che non siete neanche degni di nota. Sono stato ovunque, perché andarmene se lì è uguale a qui? Ho visto tanto e non c'è nulla fuori che sia più interessante di ciò che c'è qui dentro.
Le sue parole, che tradivano una certa noia esistenziale, riempivano la stanza e la mia mente. Iniziava sempre in quella maniera. Io facevo una domanda e lui dava inizio a discorsi talmente lunghi che a volte mi chiedevo se, infondo, non si sentisse solo e volesse solamente qualcuno con cui parlare, qualcuno su cui sputare il suo senso di superiorità e il suo odio saccente.
Non mi infastidiva d'altronde, inutile negarlo, per me non esisteva cosa più interessante di lui.
E così andavano avanti le mie giornate, a volte cadevo nell'abbraccio del sonno per le mie notti in bianco ad ascoltare quella creatura e ogni volta a risvegliarmi erano le urla di quel changeling.
Nei miei sogni la creatura c'era sempre. Seguivo la sua voce che parlava divertita nell'oscurità, un paio di occhi gialli e felini mi scrutavano maligni nel buio e proprio quando, una mano bianca dalle unghie affilate mi afferrava i capelli biondi, le urla mi svegliavano ancora.
Le giornate erano tutte uguali, come diceva l'ombra Sono solo un lento degradare dell'uomo verso quella fine certa che è la morte, né più né meno e in mezzo a quella monotonia non potevo non trovarmi più d'accordo di così con le parole della creatura che tanto mi ammaliava.
I miei contemporanei, da quel che credo di aver capito, aspettavano con ansia un unico evento lieto: Natale. Io, per contro, ammaliata da quelle parole macabre, aspettavo il mio fulmine a ciel sereno e mai, fedele alle parole della creatura che adoravo, avrei immaginato che quel fulmine potesse avere più forme di quelle da lui narrate.
Se non la morte nulla, così credevo, avrebbe mai attirato la mia attenzione, fu difficile ammettere invece che, quel giorno, qualcosa lo fece.
Ricordo che la novità iniziò con un dolore sordo alla guancia, una sensazione di calore si espanse sulla mia pelle mentre la vista tornava a fuoco e venivo strappata a forza dai miei pensieri che poi altri non erano che il ricordo dell'ultimo discorso tra me e la creatura.
"Perché sei così?"
Per la prima volta insieme alla sorpresa misi a fuoco il volto del mio changeling. Occhi castani lucidi di lacrime e ricolmi di qualcosa simili allo sdegno e il tradimento. Perché poi dovesse sentirsi tradito da me questo non so dirlo.
"Cosa c'è sei stupida? A me serve questo lavoro, mi servono i soldi e lo studio. Non potremmo mai permettercelo e più di tutto non posso permettermi di morire, la mia famiglia ha bisogno di questo lavoro, perché vuoi farmi ammazzare? Mi odi così tanto?"
Il suo corpo tremava e la sua mascella con qualche pelo sembrava stretta per non tremare, aveva ancora la mano mezza sollevata, piena di ferite e cicatrici sembrava messa peggio del solito. Il maestro mancava.
Per riflesso la mia mente tornò alla mia guancia e allo schiaffo che avevo ricevuto, la pelle sembrò scaldarsi al ricordo e così vi passai sopra la mano, sfiorandola con le dita.
Qualcosa di viscoso mi si attaccò ai polpastrelli, con sorpresa mi resi conto di aver toccato il sangue di quel ragazzo.
"Tu mi dai i brividi, perché parli solo di cose macabre? Non vedi l'ora di vedere un morto eh? Che fai? Ferma!"
Non so per quale motivo mi rimasero impresse le sue parole, forse perché per la prima volta stavo dando tutta la mia attenzione a quella nuova scena. Nessuno mi aveva mai picchiata, non che uno schiaffo fosse qualcosa di lontanamente simile ad un frustino ma se nessuno ti torce mai un solo capello, all'infuori di trascinarti come una bambola venuta a noia, anche un misero schiaffo può essere sorprendente quanto una frustata.
Ovviamente la creatura della notte si infilò anche in quei miei pensieri, mentre il ragazzo parlava e la mia mente vagava nei ragionamenti di prima, il rosso delle sue mani mi portò alla mente uno dei tanti racconti della creatura.
"E mentre il tramonto rosseggiava oltre quello che sembrava essere il confine del mondo lì io portavo al confine la vita di quell'uomo. Con le mie mani gli dilaniai il corpo, con la mia bocca ne bevvi il sangue fino a riempirmi l'anima"
Prima ancora che potessi realizzarlo, mentre ancora vedevo una maestosa ombra al contrasto con il sole morente, allungavo le mani e afferravo la sua intrisa di sangue e quando la toccai, quando la sentii concreta tra le mie, ricordo quelle parole che mi si arrampicarono veloci su per la gola "Fammi vedere ancora, portami via con te"
Ma non le pronunciai mai. Prima ancora di aprire bocca i miei pensieri furono distrutti da un verso di sdegno alle mie spalle, davanti a me, non la meravigliosa creatura, bensì un ragazzo dagli occhi nocciola bassi e impauriti sussultò per liberarsi di scatto dalla mia presa.
"Tu! Piccola..."
Gli improperi del maestro soffocarono tra le sue labbra strette, immobile con la mano tremante intorno al frustino stava sullo stipite della porta bianca con l'enorme e puzzolente figura scura come fumo di sigaro che gli si stagliava alle spalle.
Non era ancora l'ora di cena eppure il padrino era lì. Tutte quelle novità mi fecero sorridere così tanto che la governante, accorsa per mettere distanza tra me e il campagnolo sputò un "Sfacciata piccola bestia"
Ma le sorprese non finirono lì perché quella sera il mio padrino, oltre a pronunciare un "Nella cantina" quella volta aggiunse "Entrambi" ed io fui così entusiasta di quelle novità che, mentre il ragazzo impallidiva, ancora più evidente si faceva la mia allegria tanto morivo dalla voglia di raccontare a quella creatura quanto ipocriti e stupidi fossero gli uomini con i quali condividevo il tetto che, per punire il fatto di essermi avvicinata ad un ragazzo, mi ci chiudevano insieme in quell'unica, marcia cantina sotto la magione.
Forse era quella l'euforia di cui i miei coetanei si beavano a Natale e a Pasqua, avrei potuto saltare per la gioia se non fossi stata sollevata di peso da quell'enorme governate che si trascinava dietro il peso mezzo morto di paura del ragazzo.
Scendemmo le scale e ancora una volta fu gemere di legno e clangore di ferro, mentre l'odore umido della muffa mi inebriava i polmoni e la porta di schianto chiudeva fuori il mondo e la sua fredda luce.
Appena i passi pesanti della governante si allontanarono ricordo di essere scoppiata in una sonora risata, nel buio facevo piccoli salti e battevo le mani come alla fine di uno spettacolo di burattini che mi avesse particolarmente divertito, alle mie spalle invece, attaccato alla parete, il ragazzo tremava di paura.
Un suono oltre le sbarre e un paio di occhi gialli fiammeggiarono nel buio, questa volta non socchiusi come quelli di un gatto ma grandi e pieni come due monete d'oro.
Non mi inganno se sento un'altra creatura vero? È un ragazzo quello che vedo?
Alle mie spalle il ragazzo imprecò e iniziò a cercare frenetico qualcosa tra le tasche mentre io inciampavo nel buio e carponi raggiungevo le sbarre della cella di quella sublime creatura.
"Non potete immaginare cosa è successo oggi, un fulmine a ciel sereno potremmo dire, un evento totalmente inaspettato, tanti eventi inaspettati!"
Ma la creatura non sembrava essere interessata alle mie parole quella sera e devo dire che sul momento, e ad essere sinceri anche al ricordo, provai una certa gelosia nei confronti di quel ragazzo, quella novità, oggetto delle sue attenzioni.
Ma la gelosia durò poco, rimpiazzata dalla meraviglia, quando il ragazzo fece ciò che mai io avevo fatto nelle mie lunghe nottate nelle tenebre.
Accese una luce.
Le scintille dell'acciarino accesero una fiamma, non mi interessò mai come quel campagnolo trovò il modo di farlo perché la mia attenzione, una volta che la luce soffusa distrusse l'incanto delle tenebre, fu catturata dalla creatura che giaceva oltre le sbarre.
Un manto di capelli bianchi cadeva lungo oltre le spalle della creatura, la pelle che contornava i suoi occhi gialli era arrossata così come le sue labbra ma, per il resto del corpo, appariva grigia e bluastra. Grigia cenere era anche la camicia piena di cinghie che portava mentre neri erano i corpi dei topi che inermi giacevano al suo fianco. Quella coltre di morte mi fece pensare per la prima volta che il tanfo ammuffito della cantina non fosse dovuto solo all'umidità.
Dimmi il tuo nome ragazzo. E cosa desideri?
Un sorriso tagliente, lungo da un lato all'altro, si dipinse sul volto di quella creatura notturna ora strappata dall'abbraccio dell'ombra. Con mia grande sorpresa e meraviglia la creatura si mosse.
"Io non voglio niente" farfugliò il ragazzo mentre tremava insieme alla sua piccola fiammella e farfugliava preghiere.
Oh, andiamo, posso dire per esperienza che dio non mi ha mai fermato, perché pregare che aiuti te se non l'ha mai fatto con altri? Quindi dimmi e togliti questo capriccio, cos'è che desideri?
La creatura si muoveva lenta, con una grazia tale che non si sarebbe potuto dire che avesse passato secoli seduta in quella cella a bere il sangue dei topi. Ricordo ogni suo movimento come il lento danzare di una piuma che cade, così ipnotico e bello da far passare in secondo piano, almeno per me, quei denti taglienti e quelle unghie lunghe e marroni di sangue rappreso. Chissà se con quei topi ci avesse anche giocato in una sorta di macabra caricatura delle mie bambole.
Fama? Potere? Gli uomini desiderano sempre le stesse cose e io posso dargliele tutte ma voglio che tu lo dica con le tue parole. A giudicare da come sei vestito e dall'odore (Qui storse il naso) tu sei un campagnolo.
La creatura aveva raggiunto le sbarre della gabbia e aveva accolto nei palmi delle sue mani le fredde sbarre di ferro, trattenni il fiato nell'osservare da vicino quella creatura bella come mai ne avessi viste in tutta la vita mia. La osservavo con la testa china all'indietro, era più alto di me, e intanto continuavo ad ascoltare.
Quelli come te passano la vita a spalare letame per concimare la terra, producete cibo e lo date a gli animali con cui vivete per produrre altro letame e concimare altra terra. Non avete grandi aspirazioni nella vostra vita, anzi siete molto simili a gli animali di cui vi circondate, vivete per riprodurvi e morire, ultimamente di fame. Non siete degni di nota ma credo di potermi accontentare. Conosco anche questi nobili caduti in rovina che brulicano qui sopra come topi. La loro unica speranza, essendo degli inetti che hanno passato la vita a sperperare i doni ricevuti dai loro avi è che l'angioletto qui presente sia buono abbastanza da accalappiare un maschio aristocratico, patetico non trovi? Ma forse tu sei uno semplice, uno romantico come dite voi. Uno con il sesso in testa come dico io. D'altronde quanti anni hai? Diciotto? Diciannove? Si diciamo diciotto. Lei non ti piace?
Prima che potessi accorgermene la creatura mi aveva voltata verso il ragazzo, le sue dita mi sfioravano i capelli e mettevano in vista il mio volto e la pelle candida del collo.
Ho una buona vista nell'ombra, i suoi occhi azzurri ricordano il cielo e la sua pelle di porcellana arrossisce come il più dolce dei tramonti. Non vedi le sue labbra? Rosse come boccioli di rose, non ti chiedi come siano candidi i suoi seni? Per uno come te abituato a contadinotte piene di calli e sporche del fango dove lavorano, piene della paglia che spalano fin nei capelli, questa pelle morbida e candida, questa seta morbida di capelli deve sembrarti magnifica. Non vorresti assaporare questo fiore? Non vorresti morderla? Così...
Sussultai quando sentii le labbra della creatura premute sul collo e il leggero graffiare dei suoi denti grattare sulla mia pelle. Non potei vederlo ma al contatto di quelle labbra le sentii aprirsi in un sorriso quando il ragazzo, preso dalla paura, sussultando si fece cadere la sua piccola torcia improvvisata.
Bastò il tempo di un secondo, un improvviso calare di tenebre, perché la presenza alle mie spalle venisse meno e, come se avesse viaggiato nel vuoto di quel buio pesto, si materializzasse, alla seguente scintilla, davanti al ragazzo stretto al suolo.
Il suo urlo scosse il vecchio legno di quella cantina senza finestre ma la paura gli tolse ben presto la voce e tremante lo inchiodava sul posto. La creatura lo studiava da vicino e continuava il suo soliloquio mentre la torcia era caduta vicino al vecchio legno della porta e riluceva sempre più brillante riflettendosi sul bianco dei capelli di quell'essere, belli e puri come un raggio di luna.
Sai non sbaglio mai ad indovinare cosa volete, ora sei troppo impaurito per ascoltare altro che non siano le tue gambe che cercano di scappare ma scommetto che più di una volta tu l'hai desiderata, se non per un trasporto di passione almeno per darle una lezione in un moto di orgoglio virile, non saresti il primo e neanche l'ultimo uomo che schiavo della tua mente ridotta e in un momento di superiorità si diverte a muovere i fianchi, dentro e fuori, dentro e fuori. L'avresti messa sotto vero? Lei che non sta mai attenta fino a che non urli dal dolore. Sai io dentro e fuori preferisco infilare altro.
E con un ampio sorriso mosse la pelle diafana mettendo in mostra tutti i suoi denti più affilati. Tra i tanti odori della cantina, insieme alla muffa, lo stantio e i topi morti, man mano che il legno della porta prendeva fuoco e la creatura terrorizzava il ragazzo, un acre odore di fumo e urina giunse al mio naso.
Hai un bel viso abbronzato, non sei tanto alto ma al fisico si rimedia, perfetto per tornare in giro. Dimmi cosa vuoi, sarà uno scambio equo. Vuoi che ti lasci andare?
Ad ogni parola la creatura si avvicinava al ragazzo e il ragazzo scivolava sempre più verso il pavimento.
Dopo un periodo di silenzio il volto pacato e divertito della creatura sembrò contorcersi dalla rabbia quando ruggì.
Dimmelo sputo di uomo! Feccia di questo mondo! Dimmi che cosa vuoi, che io ti liberi? Lascia che esaudisca il tuo desiderio! Oppure giuro sul mio stesso nome, da troppo tempo dimenticato, che ti aprirò il petto qui ed ora e mentre ancora il tuo cuore batte in preda al terrore lo stringerò in queste mie mani!
Non lo avevo mai visto urlare, lui che era sempre stato così pacato, e ricordo che, al vederlo perdere la calma, una forte emozione mi chiuse la bocca dello stomaco. Ad ogni modo mi chiesi se non fosse stata tutta una finzione poiché quando il ragazzo, piagnucolando al suolo, disse di voler essere liberato la creatura, come se nulla fosse, sorrise del più amabile dei sorrisi.
E così sia...
Con la violenza che aveva narrato solo nei suoi racconti si attaccò alla gola di quel ragazzo con una forza ed un'avarizia che in mezzo a quel succhiare distinsi il rumore del collo che si spezzava. A modo suo, mentre beveva il sangue del ragazzo i cui occhi si facevano sempre più vuoti e opachi, quella creatura aveva esaudito il desiderio del mio changeling.
Liberato da ogni legame terreno ora poteva vagare libero e selvaggio così come le fiamme che continuavano a crescere intorno alla porta di legno e mentre il calore aumentava e il fumo si faceva sempre più nero e acre la creatura si nutriva con gusto di quel ragazzo.
Sul momento credetti che quello che vidi fosse solo un effetto del poco ossigeno rimasto nella stanza ma il giorno dopo, quando mi svegliai la tarda sera del giorno dopo sotto lo sguardo ambrato di due occhi gialli in un volto contornato da riccioli neri, capii che ciò che avevo visto in quella cantina era stato reale.
Più la creatura beveva più i suoi capelli bianchi si facevano grigi e da grigi passavano al nero, si ritiravano sulla cute, la sua statura si rimpiccioliva e i lineamenti divini diventavano quelli terreni del mio changeling.
Cosa accadde dopo non potrei dirlo, impossibile ricordare ciò che non vissi poiché svenni per mancanza di ossigeno ma certamente posso dire cosa vidi dopo che mi destai.
Il volto del ragazzo dietro il quale si celava quella creatura della notte era investito della calda luce cremisi del tramonto, alle nostre spalle, mentre il prato verde sul quale ero stesa mi nascondeva in parte la visuale, potevo scorgere ancora fumanti i resti della magione dove avevo abitato parte della mia vita.
Non trovi che sia magnifico?
Annuii anche se non stavo affatto guardando il tramonto. Lui sorrise, probabilmente consapevole del mio sguardo.
"Come ti chiami?"
Probabilmente era la domanda più stupida che gli avessi mai rivolto da quando ci conoscevamo ma anche se avesse avuto il mio stesso pensiero, non le diete a vedere e con calma, come aveva sempre fatto, rispose.
I nomi sono solo una convenzione, mi hanno chiamato in così tanti modi che ormai si sono dimenticati del mio nome. Ma puoi chiamarmi Erik, era il suo nome, andrà bene lo stesso.
Fu probabilmente la frase più corta che mi avesse mai rivolto ma, nonostante quello, credo ancora sia una delle più preziose. Un soffio di vento spostò su quegli insoliti occhi gialli un boccolo nero e mentre con un gesto della mano lo levava dal volto mi si rivolse con queste parole riempiendomi di gioia.
E tu come ti fai chiamare signorina?
"Grace, il mio nome è Grace"
Un nome grazioso per una fanciulla altrettanto graziosa.
Rispose al mio sorriso e con quelle parole adulanti che ancora mi risuonavano nelle orecchie riprendemmo ad ammirare il tramonto, quel sole morente che dipingeva il mondo del colore del suo sangue.
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