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164: Pace!

Francesca's Pov
Odio arrabbiarmi con le persone che amo, perché non sono quel tipo di persona che perde spesso le staffe, ma quando mi capita la cosa è seria, soprattutto per il fatto che sono sensibile e orgogliosa, forse troppo. La cosa più brutta, però, è stato il fatto che Linda abbia tirato in ballo il mio "problema", se è il caso di considerarlo tale, come se io fossi quel tipo di persona che vive male con se stessa e non fa altro che maledire i suoi occhi, mentre mia madre ha messo in mezzo la mia migliore amica Ginevra e Daniel, che ora è qui e mi sta ancora tenendo le mani.
Lui ha ragione, mi sto soltanto facendo del male, ma quel peso che ho sul petto da quando ho ripreso conoscenza, anzi, da prima dell'incidente, non mi abbandona mai, purtroppo.
"Ehi, Francesca! Non è necessario che tu la dia a me la risposta!"
Le sue parole, dette sempre con il tono gentile che lo contraddistingue, mi permettono di calmarmi un po'.
"Cosa intendi?"
"Sei diventata rigida come uno stoccafisso. Ti assicuro che non volevo farti agitare né costringerti a fare qualcosa, ma mi fa male vederti triste."
"Ma questo io lo so già" dico.
"Allora cosa c'è, piccola? Se ti va di parlarne, è ovvio."
"È che... tu hai ragione, ma io... forse non so perdonare come credevo, né chiedere scusa. E poi mi ha fatto male sentirmi dire che non faccio certe cose solo perché..."
"Non... ci provare!" mi blocca subito. "Ci sono tante ragazze che ci vedono che è una meraviglia e non si truccano! Non sei la prima e non sarai l'ultima!"
"Ecco, in parte è vero, ma solo perché non voglio distruggere l'immagine già fragile che ho di me, mi dà fastidio il contatto di quelle cose sulla pelle e mi dà ancora più fastidio mettermi completamente nelle mani degli altri!"
"Va bene, va bene, tranquilla. Comunque la risposta non darla a me, basta che tu te la dia da sola."
Lo abbraccio forte, desiderosa di sentirmi al sicuro, come una bambina. Lui mi stringe forte a sé, mi lascia dei piccoli baci tra i capelli e lo sento sorridere contro di essi.
"Ehi! Ho un regalo per te!" mi dice prima di staccarsi da me ed accarezzarmi il viso, forse per asciugare le lacrime che sono sfuggite al mio controllo senza che me ne rendessi conto.
Mi mette tra le mani qualcosa. Un fascio di bacchette. Inizio a toccarle, finché non riconosco un manico di plastica ed una rotella. Mi avevano detto che il mio occhio a rotelle era rotto... allora l'immagine che mi era apparsa di lui che lo riparava durante il coma era vera!
"L'hai aggiustato!" dico con un sorriso che m'illumina il viso e lo attraversa da parte a parte. Credevo di dover aspettare molto, ma soprattutto di dover chiedere altri soldi ai miei, ma lui me l'ha rimesso a posto.
"Sì, l'ho riparato! Non era difficile." mi risponde lui.
"Grazie!" dico.
"Vuoi testarlo? Vorrei avere la certezza che sia un lavoro ben fatto, anche perché l'ho fatto in crisi!"
"Io ne sono sicura" rispondo con un sorriso.
Ci guadagno un bacio sulla guancia.
"Però lo vorrei provare lo stesso. Ho una gran voglia di camminare!"
"Ma certo! Però, se non ti dispiace, vorrei restarti vicino! Se non fosse abbastanza resistente non vorrei farti cadere! Dove vuoi andare?"
"Vorrei andare in biblioteca."
"Perfetto! Ricordi come puoi arrivarci?"
"Quarto piano."
"E poi?"
"Terza porta sul lato destro" continuo.
"Ah, bene! Ma che brava che è la mia piccola!"
Arrossisco violentemente e dico: "Però da questo punto non so da dove partire, come muovermi... non credo di poter andare a sensazione, no?"
"Tranquilla, ti aiuto io." dice lui sorridendo.
Ho saputo che ha fatto volontariato nell'associazione per ciechi che io ho provato a frequentare, ma nella quale non ero per nulla a mio agio. Non è stato lui a dirmelo, ma sua sorella Serena.
"Ecco perché ha iniziato a lavorare là a diciotto anni!" mi ha detto quando ci siamo conosciute. Ed ecco spiegato come fa lui a capire sempre qual è il miglior modo per guidarmi.
"Vuoi che ti diriga io o ti spiego com'è l'ambiente e una volta avuta un'idea chiara ci vai senza istruzioni?" mi chiede infatti.
Gli insegnanti non me l'hanno mai chiesto, in realtà. Hanno sempre fatto un po' di testa loro, purtroppo.
"Vorrei provare con la seconda" rispondo.
"Okay" acconsente lui.
Usciamo dalla stanza, poi io chiudo la porta.
Non so perché, ma l'idea di intraprendere un nuovo percorso mi mette sempre addosso molta tensione. Lui se ne accorge, mi prende la mano per poi chiedermi: "Sei sicura, Fra?"
"Sì, sono sicura."
"Tranquilla, anche se proverò a non dirti nulla per qualsiasi cosa sono accanto a te. Pronta?"
"Pronta!"
"Se svolti a sinistra ti troverai in un corridoio che ti porterà direttamente nel cortile dell'ospedale. Se vai dritta davanti a te c'è prima una porta di legno, poi, aprendola, ti ritroverai di fronte alle scale che portano al terrazzo dal quale si può ascoltare la voce del Mare, come dici sempre tu. Quello di ieri, per capirci. Va bene o sono troppe informazioni?"
"No, va bene."
"Ora resta la possibilità di svoltare a destra. Di là c'è un altro corridoio, poi si arriva ad una porta come quelle di ferro della tua scuola, con quelle maniglie spesse. Tranquilla, il corridoio è dritto. Solo alla fine c'è un leggero spostamento verso destra, ma lo capirai da sola. Se vuoi prova ad arrivare fino a quel punto, dopo andremo avanti. Ci stai?"
"Sì... ci sto."
"Prima però calmati, concentrati, respira e poi vai, come ti porta la strada. D'accordo?"
"Va bene."
Svolto a destra dopo aver fatto un respiro profondo, poi, come mi ha detto lui, vado dritta per la mia strada. Mi sembra che mi stia portando il vento provocato dal movimento costante di fogli e camici, dei quali percepisco il fruscio. Arrivo ad un buco, ma non mi fido molto del mio occhio a rotelle in questo caso.
Mi sposto verso sinistra, tendo il braccio e trovo la grande maniglia spessa.
"Prima prova: superata! Sei stata brava, piccola! Te la senti di continuare o sei sconvolta e non credi di farcela?" chiede, notando quel sorriso che mi compare ogni volta che riesco ad orientarmi correttamente, cosa che, ultimamente, non mi succede a scuola. Abbiamo cambiato classe e nonostante il corso ho ancora molte difficoltà, specialmente se qualcuno ha la pretesa di farmi conoscere bene una strada dopo avermi semplicemente detto: "Vai a destra!", o: "Vai a sinistra!", quando stavo per andare a sbattere contro qualcosa, per poi non darmi indicazioni su com'è fatto il posto. Questa cosa purtroppo mi è capitata spesso. Sarò io l'incapace, ma quando qualcuno mi guida io cerco semplicemente di non perderlo, e soprattutto di non inciampare.
"Per questa parte, però, ti conviene avvicinarti alla parete di destra, dal lato opposto della porta." mi dice.
Seguo il suo consiglio, poi mi fermo.
"L'ascensore è dopo cinque porte, che sono alcune tra le camere dei pazienti. Solo che per arrivarci, dovresti seguire il muro e, finite le porte, svoltare di nuovo a destra."
"C'è una specie di apertura o qualcosa di simile?"
"Precisamente."
"Posso farcela" dico, più a me stessa che a lui, per convincermi.
"Brava! È così che si parla!" dice posandomi una mano sulla spalla sinistra.
Supero la porta di ferro, poi sfioro la parete ed inizio a contare mentalmente le porte. Almeno questa volta non sono solo tre!
Prima porta. Socchiusa. Dal suo interno proviene la risata di un bambino. Seconda porta. Chiusa. Due ragazzi che litigano animatamente. Terza porta. Aperta. C'è silenzio all'interno della stanza, forse perché il paziente è uscito a fare due passi, come ho fatto io. Quarta porta. Aperta. Da questa stanza proviene il solito, fastidioso beep.
La quinta porta è chiusa, ma il suono che ne viene fuori, una donna dalla voce impastata, mi fa ridere. Forse sta parlando nel sonno, cosa che io temo di fare ogni volta che mi addormento, oltre ad altri tipi di suoni, naturalmente. Grazie Parker!
"Stai andando benissimo, Francesca!" mi dice Daniel, notando che ho avuto un attimo di esitazione.
La parete termina, io svolto a desqa e finalmente trovo l'ascensore. Da qui è tutto più facile, per fortuna.
"Sei stata eccezionale!" mi dice sorridendo e posandomi una mano su un braccio, come per segnalarmi completamente la sua presenza.
Arriviamo in biblioteca, poi io mi volto verso di lui e gli chiedo: "Tu lavori al bar anche in mattinata?"
"No, inizio il pomeriggio. Ma perché, tesoro?"
"Ecco... se per te non è un problema e se la scuola te lo concede... vorresti essere il mio tutore?"
"Cosa succede a scuola?"
"Mi sento inadeguata, sai? Gli insegnanti mi chiedono di punto in bianco di procedere da sola, perché abbiamo cambiato classe, ma quando io vengo guidata... non riesco a memorizzare una strada... cerco solo di non perdermi e di non cadere, e... ecco... Io..."
"Non vorrai metterti a piangere, vero?"
"Sarebbe grave?"
"No, tesoro, il fatto è che se continui a stare male per queste cose finirai con l'ammalarti. Ora siediti, prendi un libro, leggi perché so che ti piace e rilassati. Alla scuola ci penseremo dopo."
Prendo un libro a caso. È il secondo volume di: "Piccole Donne" di Louisa May Alcott. Lo sfoglio, alla ricerca del capitolo: "Jo incontra Appollion" e non appena lo trovo inizio a leggerlo. Forse io e Linda siamo come Jo ed Amy in questo capitolo.
Quando Linda mi ha urlato contro lei era Jo, nel momento in cui impedisce ad Amy di prendere parte alla serata a teatro.
Nel momento in cui io le ho gridato contro e da quando mi sono risvegliata dal coma, il ruolo di Jo nella sua veste di ragazza risentita è passato a me e a lei quello della povera Amy pentita. Ora stiamo male tutt'e due, quindi non so più chi sia chi.
Anche se la mia preferita in assoluto è Beth in questo momento mi sento più vicina a Jo o ad Amy...
La seconda e la quarta sorella.
Due. Quattro. Entrambi numeri pari. Entrambe le sorelle sono ragazze molto colleriche.
"Perché ti stai soffermando tanto su quella frase, piccola?"
Ho fermato da un po' le dita sulla parte finale della pagina. La frase di Mrs March.
"Perdonatevi, aiutatevi e ricominciate una vita nuova."
"Perché proprio lì, Francesca? A cosa pensi?"
"E-ecco, io..."
Stringo al petto il libro e dopo qualche istante mi metto alla ricerca del dialogo tra Jo e sua madre.
Lo leggo tutto, riga dopo riga.
"Come sapevi dove..." chiedo, poi ricordo che lui sa leggere il Braille e dico: "Niente."
"Stai pensando a Linda e a tua madre, tesoro?"
"Non tanto a mia madre, perché con lei mi è capitato molto spesso di discutere per il tema estetica."
"Di più a Linda? Perché, piccola?"
"Perché nessuno si aspetterebbe una predica del genere... dalla sua sorellina."
"Però ci stai pensando molto."
"Forse troppo."
Mi prende delicatamente il viso tra le mani e mi fa muovere la testa da un lato all'altro.
"Libera la mente. Lasciati guidare dal cuore, altrimenti sarà tutto inutile, piccolo angelo!"
Sento la porta della biblioteca spalancarsi e qualcuno entra e mi posa delicatamente le mani sulle spalle. Quelle mani sono fredde e familiari, con la pelle molto morbida e delicata. È mia madre. Ne sono più che sicura.
"Mamma, sei tu, vero?" chiedo.
"Certo, amore mio."
"Okay. Io vi lascio da sole."
Detto questo, dopo avermi fatto una carezza su una guancia, Daniel lascia la stanza per poi chiudersi la porta alle spalle.
"Davvero non ce l'hai con me?" chiede la mamma.
"Non più. È già capitato che io e te..." le dico per poi abbracciarla, non riuscendo più a sopportare il peso del mio maledettissimo orgoglio. A volte vorrei non averlo, però d'altro canto se così fosse mi ritroverei anche senza dignità ed io direi che questo particolare non sembra per nulla una cosa bella.
"Amore mio... e Linda?" chiede lei, piangendo insieme a me mentre siamo ancora unite in quell'abbraccio.
Mentre mi tiene stretta a sé mi accarezza i capelli con una mano, in un modo delicato. Lei nel toccarmi in generale è delicata, ma non quando mi tocca i capelli. Non lo fa apposta. Io ho i capelli ribelli, quindi per sistemarmi ce ne vuole, eccome se ce ne vuole!
"Non so che fare, mamma! Io le voglio bene, ma le sue parole mi si ripetono nel cervello in continuazione... ti assicuro che non ce la faccio più a sentirle, mamma! Non ne posso più... davvero!"
Mi prende delicatamente le mani dopo aver sciolto l'abbraccio e le stringe molto forte nelle sue.
"Lo sai che lei ti vuole bene?"
"E me lo domandi? Certo che lo so, ed è questo che mi fa più male!"
Sento gli occhi tornare a darmi fastidio e li strizzo più volte, cercando di non piangere.
Non voglio. Non perché non voglio apparire debole. Semplicemente non ce la faccio più, sul serio.
"Amore mio, non restarci male!"
"E come faccio, mamma? Io mi sento come... come se..."
"Come se la tua autostima fosse stata messa sottoterra, no?"
"Proprio così."
"Vedrai che presto le tue ferite si rimargineranno."
Bene. Lei ha detto: "Rimargineranno", e non: "Guariranno", perché non potranno mai guarire del tutto, questo lo so bene.
"Come hai fatto a venire qui?" chiede la mamma.
"E-ecco, il percorso me l'ha spiegato..." balbetto diventando rossa come un peperone, "Dan. Ecco... lui... lui è stato volontario all'Univoc e ha capito al primo istante in che modo farmi ricordare il percorso."
"Che è stato volontario io lo sapevo, ma come ha fatto a non metterti ansia?"
Mi accarezza il viso e chiede: "Ti va di farmi vedere?"
Annuisco, anche se ho paura di sbagliare, ed in quel caso lui ci farebbe una figura orribile.
Esco dalla biblioteca. Ci sono le famose tre stanze sulla sinistra.
Mi avvicino al muro ed inizio a contare mentalmente le porte. Una. Due. Tre. Svolto a sinistra, arrivo ad una porta di ferro e cammino a passo svelto.
A sinistra c'è l'ascensore. Io mi c'infilo dentro, premo il tasto con il numero del mio piano e, appena l'ascensore si ferma, esco.
Sempre dritto, poi svolto a sinistra e trovo la prima porta.
C'è ancora quella voce. Possibile che quella donna non faccia altro che dormire?
Dalla seconda porta proviene sempre quel beep che mi spezza il cuore. Chissà come starà la persona che è là dentro? Spero non sia nulla di grave, davvero!
La terza porta adesso è chiusa.
I ragazzi della quarta porta ora stanno ridendo. Forse hanno chiarito e ne sono felice.
Dalla quinta porta proviene sempre la voce del bambino, ma è più un mugolio che altro.
Trovo la porta d'emergenza, quella di ferro, con la maniglia larga e spessa, e l'attraverso.
Percorro il corridoio dritto e svolto a sinistra. Ecco la mia stanza!
"Magari potresti chiedergli di farti da tutore. A scuola, intendo, visto che mi hai detto che sei costantemente in ansia." propone mia madre.
"Già fatto." le rispondo calma.
"Vedremo quello che si può fare, amore mio. Va bene?"
"Okay, grazie."
"Come va la tua febbre, amore?"
"Bene... credo. Ecco... io..."
Lei mi sorride.
"Vuoi che ti lasci un po' da sola con il tuo libro, Francy?"
"Non è necessario..."
"Beh, in ogni caso io vado a prendere Linda. Se le vuoi parlare più tardi la faccio entrare, d'accordo?"
Annuisao semplicemente. Ho molta voglia di parlare con mia cugina, però ho ancora quel peso che mi preme sul petto.
Angelica's Pov
Non so che pensare. Per quanto me l'abbia ripetuto mille volte non capisco proprio come abbia fatto Daniel a convincere Francesca. Lei è buona come il pane, ma quando si mette in testa una cosa guai a chi la vuole bloccare, ed io l'ho capito a mie spese. Forse lui non l'ha bloccata, si è semplicemente limitato a ridurre al minimo gli effetti negativi e rallentarla.
Arrivo davanti a casa di Mirko e vedo mia nipote venirmi incontro. Ha un aspetto stanco, come chi non dorme da giorni.
In effetti è vero: lei non dorme da giorni!
"Zia! Come sta Francy?" mi chiede preoccupata.
"Sta molto meglio, tesoro."
"Oh, meno male! Sai, ero molto preoccupata..."
"Io credo che lei sia un po' più tranquilla."
"Cosa? Perché lo dici, scusa?"
"Perché l'ho vista nella biblioteca dell'ospedale... aveva un libro in mano e leggeva e rileggeva una frase. Vicino a lei c'era Dan, che le ha chiesto perché."
"Credi che abbiano parlato, vero?"
"Già. È da quando lei si è ripresa che lui fa da mediatore."
"Io mi chiedo: com'è possibile che né io né tu abbiamo capito che lei non avrebbe preso bene quello che le abbiamo detto il giorno dell'incidente?"
"Perché abbiamo creduto che l'approccio diretto fosse il migliore. Solo che, come ci ha detto Daniel, l'unico modo per far cambiare idea a Francesca è metterle davanti la questione ed aspettare che decida da sola."
"Spero solo che non mi mandi via come l'altra volta."
Arriviamo in ospedale. In cortile c'è Ginevra, che vorrebbe entrare dentro, ma esita parecchio.
"Ginevra, cos'è successo?" le chiede Linda.
"Ero accanto alla porta della stanza di Francy... l'ho sentita piangere e sono entrata. Lei mi ha abbracciata e mi ha detto: "Non voglio che un giorno tu soffra per colpa mia, Sis!", poi mi ha detto che le dispiaceva che io rimanessi qui in ospedale e mi ha chiesto di anddare a divertirmi un po', magari con il mio ragazzo."
"Ti ha detto altro?" chiedo.
"Ha detto che anche se non è stato giusto che le abbiate detto quelle cose anche lei era stata molto ingiusta e che non voleva esserlo con nessun'altro. Si sentiva in colpa perché non riusciva a lasciar andare completamente la sua collera..."
"Lì, ora soltanto tu puoi fare qualcosa."
"Dan, sono io che l'ho portata a reagire così. Come posso aiutarla?"
"Appunto per questo sei l'unica che può aiutarla. Lei ieri ha detto a me che non voleva diventare la mia mente, ora questa storia di Ginevra. Va' da lei, dille tutto quello che senti, ti prego!"
Linda's Pov
Esito per qualche istante, poi annuisco.
"Farò quello che posso, promesso!"
Entro e raggiungo la sua camera. La porta è aperta, quindi inizio a preoccuparmi. In cortile non può essere. In biblioteca? Ma no, avrebbe portato con sé il libro che è sul letto! Corro di gran carriera verso il corridoio che porta alla scala attraverso la quale si raggiunge il terrazzo. La vedo seduta su di una sedia. Si stringe nel suo cappotto per il freddo, ma non sembra intenzionata a fare sciocchezze. È lontana dalla ringhiera e ha soltanto il collo proteso verso l'alto, come se fosse in ascolto. Vado verso di lei, che mi riconosce nell'istante in cui le prendo le mani, bagnate dalle sue stesse lacrime.
"Lì!" sussurra.
"Quando sei felice sei molto più bella, sai? Non importa in che modo ti occupi di te, sei bella lo stesso. Non volevo che ti sentissi diversa dalle altre, tutto qui... solo che mi sono espressa male."
"Ma io lo sono! Non perché non ci vedo, perché sono io, e ognuno è diverso da un altro..."
"Mi perdoni?" chiedo, sperando in un suo abbraccio.
"Soltanto se tu perdoni me! Non mi piace la tua idea, ma le tue intenzioni erano buone, lo so bene!"
"E che ti dovrei perdonare? Mi sarei stupita se avessi reagito con calma o senza una lacrima alla mia sfuriata, non è da te! Solo mi chiedo come tu abbia fatto a non mandarmi a quel paese!"
"Perché dovrei farti venire la claustrofobia?" chiede per poi gettarmisi tra le braccia, come una bambina in cerca di coccole. È il miglior abbraccio di sempre, perché mi ha fajto capire che ho di nuovo la mia dolce cuginetta.

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