137: Promesas
Francesca's Pov
"Carlotta, per favore, lasciami andare!" dico.
"Oh, che tenera che sei! Vuoi che ti lasci andare, carina?"
"Mi sembra che te l'abbia detto chiaramente che devi lasciarla in pace! O mi sbaglio, Carlotta Fioretti?" sento dire da qualcuno che conosco e di cui mi fido tantissimo. Nell'udire quella voce mi calmo, come se non ci fosse una ragazza che mi tiene ferma accanto ad una parete e mi dice cose terribili.
"Daniel..." riesco a dire in un sussurro.
"Vuoi ancora tenerla lì? Avanti, lasciala andare! Lasciala!"
Carlotta molla la presa ed esce dalla stanza. Intanto Daniel mi si avvicina.
"Piccola, di' qualcosa, ti prego!" mi dice.
"Ho avuto tanta paura..." dico in un sussurro.
"Tieni" mi dice restituendomi la mia guida con la rotella bianca, o almeno credo. Stringo al petto quell'oggetto ed i miei occhi si riempiono di lacrime. Provo a fare qualche passo, ma mi tremano troppo le ginocchia.
Lui mi prende a braccetto e dice: "Vieni, ti riporto io in camera tua. Tra poco ti metteranno la flebo."
Annuisco e lui mi riporta nella mia camera d'ospedale.
"Che cosa ho fatto di tanto sbagliato? Perché adesso è tornata anche lei a darmi il tormento? Perché tutti ce l'hanno con me, perché?"
Lo sento accarezzarmi le guance ricoperte di lacrime e il contatto tra le sue dita e la mia faccia mi fa sentire meglio.
"Piccola, te la senti di dirmi cosa ti ha detto quella ragazza per sconvolgerti così?"
"Ha detto che sarei... rimasta sola, perché io sono..."
Non ho il coraggio di proseguire. Non ho la forza di pronunciare quella parola, è più forte di me e non so come fare.
"Non lo dire se non vuoi, tesoro! Ho capito" mi dice.
"Mi dispiace... io... n-non è facile starmi vicino, lo so... è per questo che ho paura di restare sola..."
"È vero che l'essere umano è spesso portato a tradire, ma questo non vuol dire che debba sempre tradire la fiducia di un suo simile, e tu lo sai. E poi non è per niente difficile stare accanto a te. È bello, perché sei solare, simpatica, allegra, dolcissima, hai un cuore d'oro e sei forte, ma non nascondi le tue debolezze dietro una maschera di ferro. E poi come potresti fare pietà? Non mi risulta che tu faccia niente per ottenerla!"
"No, però non è facile stare accanto ad una ragazza diversa. Perché è questo che sono: diversa."
"È vero. Sei diversa, ma non nel senso che intendi tu della parola. Sei diversa perché quando ti fidi davvero di qualcuno gli dai il tuo cuore, a rischio di ferirti. Sei diversa, perché sei disposta a tutto per far sì che gli altri stiano bene. Sei diversa perché chi crede nei canoni di forza ti considera molto fragile, ma sono state proprio le tue lacrime a permetterti di rialzarti e ad insegnarti a cadere, per non fearti troppo male. Ma soprattutto sei diversa perché quando credi con tutta te stessa in qualcosa vai fino in fondo."
"Non è sempre così, purtroppo. Vedi, io... io credevo di aver superato quell'ostilità nei confronti dei miei occhi e di riuscire a conviverci senza problemi, ma... ma non è così!"
"Piccola, stai sicuramente meglio di quando ti ho conosciuta! Non ricordi che ti si sono riempiti gli occhi di lacrime quando ti ho chiesto se ti andava di vedere il Sole? Ora riesci anche a scherzarci su e non è poco, eh?"
"Lo so, però... ogni volta che qualcuno mi dice cose di quel tipo... quelle cose che mi dice Carlotta... io ci credo per davvero e non è affatto facile!"
"È chiaro che non è facile, anche se io non posso sapere quanto sia difficile, ma ora ascoltami: ci sono tante persone che ti vogliono bene, e tu puoi fidarti di loro. E, se vuoi saperlo... tu puoi fidarti anche di me..."
"È di me che non ho fiducia!"
"E perché, Francesca?"
"Perché ho paura di adagiarmi, di farmi aiutare troppo... ho paura di allontanare quelli che amo!"
"Ma se tu a momenti fai finta di non esistere per non creare problemi a chi ti sta intorno! E poi il tuo "adagiarti", come lo chiami, è più che altro una ricerca di sicurezza, perché sei una ragazza davvero molto insicura."
Questa frase me la dice con un sorriso che mi fa pensare che lui provi tenerezza nei miei confronti e la cosa non mi dispiace per niente.
"Piccola! Dai, non fare così!"
Mi accarezza il viso con la mano destra e con la sinistra mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Ti va di fare una cosa dopo la flebo?" mi chiede.
"Cosa esattamente?" chiedo di rimando.
"Sfogarti un po', Francesca" mi risponde lui senza smettere di sorridere. "E ora sdraiati che sta arrivando un'infermiera."
Mi distendo sul letto e sento dei passi avvicinarsi. La donna che è appena entrata mi mette la flebo ed io cerco di rilassarmi nonostante il fastidio quasi insopportabile che mi provoca il continuo tirare dell'ago.
"Fra!" mi sento chiamare e quasi stacco la flebo per il salto che faccio sul letto a causa dello spavento.
"Giorgio! Maledizione, ma lo fai apposta! Perché diavolo mi fai prendere un colpo ogni volta?" chiedo.
"Perché mi piace vedere la tua faccia quando entro di soppiatto e ti chiamo" risponde lui.
"KILLER!" dico scherzosamente.
"Oh, esagerata! Vogliamo continuare ancora a lungo?"
""Vogliamo" hai detto?" chiedo.
"Sì... perché?"
"Tu e chi, scusa?" chiedo ancora.
"Io e te, no?"
"Ah, okay" dico tranquilla.
"Ma perché?" mi chiede Giorgio.
"Perché siamo in tre qui dentro se non ci hai ancora fatto caso, eh?"
"Ovvio che ci ho fatto caso, e anche lui credo si sia accorto di me quando ti ho chiamata."
"Ah... va bene! Credevo fosse uno scherzo!" dico timida.
"No, in realtà era una sorpresa e ti dirò di più: domani alla festa in maschera ci sarò anch'io. Partiremo insieme dopodomani. Io, tu e Ginevra."
"Non sai quanto vorrei venire ad abbracciarti, ma sono qui per via di questa stupida flebo!" dico con un velo di tristezza nella voce.
"Tranquilla, ci penso io." dice Giorgio per poi avvicinarsi.
Lo sento appoggiare le mani sulle mie spalle e stringermi forte a sé, poi si aggrega anche il mio angelo. Si mettono a sedere entrambi accanto a me sul letto e mettere entrambi il viso nell'incavo del mio collo. Uno da un lato e uno dall'altro.
"Sapessi che maschera ti hanno procurato i tuoi genitori!" mi dice Giorgio per poi staccarsi da me.
"Perché, voi l'avete vista?" chiedo curiosa.
"Sì, però è una sorpresa." mi risponde Daniel per poi prendermi la mano sinistra. "Ti basterà avere pazienza fino a domani e potrai saperlo!"
"Accidenti! Sarà molto dura avere pazienza! Sai che sono curiosa, e anche molto..." dico.
"Lo so che sei curiosa, però ti prego, non fare quegli occhi dolci perché ho promesso che non avrei rivelato la sorpresa e tu sai che io mantengo sempre la parola data!"
"Lo so! Me lo dici spesso e tu sai bene che mi fa molto piacere, quindi cercherò di non farti gli "occhi dolci", come li hai chiamati tu poco fa!" dico.
Lui mi fa voltare la testa verso di sé e mi lascia un bacio a stampo sulle labbra. È talmente dolce!
Lo sento posare una mano dietro la mia spalla sinistra e inizio a tremare come una foglia d'autunno.
"Accidenti se ti batte forte il cuore!" dice.
"Perché... i-io vado nel pallone con tre cose: i nomi, il contatto fisico e... ed anche i complimenti..."
"Il contatto fisico e i complimenti lo capisco, ma... i nomi? Perché?"
"Perché a volte vengo chiamata in talmente tanti modi che non so quando mi devo girare..."
"Tu stai tranquilla che un modo per fartelo capire lo troveremo..."
Mi sfiora piano i capelli e quando gli sento dire la parola: "Troveremo" mi viene spontaneo sorridere. Si vede che con i plurali avrò sempre e solo questa reazione.
"Francesca, devo togliere la flebo!" mi dice una voce che non conosco, quindi credo sia un'infermiera.
Mi stacco di colpo dall'abbraccio sbattendo la testa contro la spalliera del letto e sento sorridere entrambi i ragazzi. La donna mi stacca la flebo e sento che mi passa una mano sul braccio.
"Com'è che sei così rossa?" mi chiede.
"È che..." inizio a balbettare.
"È che lei aveva un po' caldo nella zona del viso, le capita spesso" spiega Daniel.
"Benissimo!" ci dice l'infermiera. "Ora vi lascio! Ah, e abbiate cura di questa ragazza che come lei ce ne sono poche... e tu tieniti stretto il ragazzo che ti sta tenendo per mano perché anche di persone come lui ce ne sono poche!"
Detto questo esce dalla stanza ed io mi siedo sul letto.
"Quell'infermiera non ha detto una cosa sbagliata!" dice Giorgio. "Sei una ragazza davvero nobile!"
Mi copro il viso con le mani e mi alzo dal letto per poi camminarvi intorno e sciacquarmi il viso con acqua gelida.
Improvvisamente, però, mi appaiono davanti le immagini degli sgarbi della figlia di quella strega della mia maestra, il suo continuo gettare benzina sul fuoco, per cui scoppio a piangere e inizio a battere le mani sotto il getto d'acqua del lavabo.
Sento dei passi allontanarsi ed altri avvicinarsi alla porta del bagno nel quale sono rinchiusa. Dei colpi delicati annunciano che qualcuno è fuori dalla porta e aspetta che io faccia qualcosa.
"Posso entrare, Francesca?" mi sento chiedere.
Non posso cacciarlo via, lui non se lo merita, ma non voglio che mi guardi, non voglio che veda quella che tutti chiamano fragilità. Non voglio che veda i miei occhi gonfi di pianto.
"Sì... però non mi guardare..."
Sento la porta aprirsi e mi copro il viso con le mani per essere sicura che lui non veda i miei occhi.
Lo sento tirarmi in un abbraccio e strofinare una mano su e giù per la mia schiena. Mi prende una mano e se la porta sugli occhi, poi la lascia e inizia a toccarmi il viso per capire cosa mi succede, credo.
"Non volevi che ti vedessi piangere, vero?"
"Daniel, io..."
"Da chi altro ti vorresti difendere, piccola Francesca?"
"Non è da te... che m-mi voglio difendere" dico tra le lacrime.
"E da chi, allora? Perché fai così, tesoro mio? Perché?"
"Per niente..."
"Francesca, non tenerti tutto dentro, non ti fa bene!"
"Lei è tornata! Lei mi distruggerà, capisci? È sempre stata d'accordo con la madre quando si trattava di farmi del male!"
"E tu dimostrale che non la temi! Lei non è il tipo da temere e posso dirtelo perché la conosco!"
"Come fai a conoscerla?"
"Eravamo nella stessa scuola e lei era la classica bulletta di quartiere. Pensa che una volta se la prese anche con Diana. Lei era al secondo anno e Carlotta al quarto. Un giorno, durante l'intervallo la portò in cortile e le gettò addosso del fango. Non so cosa le avrei fatto, credimi!"
"E poi?"
"Beh, poi pensai di renderla ridicola dicendole che quelli erano giochi da bambini e che quello che aveva fatto poteva tornarle indietro in qualunque momento. E, infatti, mentre correva per allontanarsi, mia sorella le inciampò addosso sporcandola tutta di terra."
"Mi dispiace... per tutt'e due, ma ti confesso che Carlotta se l'è cercata..."
Lo sento ridere e percepisco il contatto tra le sue labbra e la mia guancia ricoperta di lacrime.
"Stai meglio?"
"Io... io... a dire il vero non lo so" rispondo in un sussurro.
Lui mi prende le mani e mi fa alzare per poi chiudere l'acqua che ho lasciato aperta.
"Usciamo di qui prima che questo peso cresca ancora." mi dice per poi condurmi fuori.
Percorriamo di nuovo il corridoio di prima, fino all'ascensore, poi lui mi fa entrare e lo sento premere un bottone. L'ascensore sale e quando si ferma lui mi riprende la mano e mi conduce verso una zona da cui proviene un vento gelido.
Sono distratta perché cerco di capire dove siamo, al punto che lui è costretto ad avvertirmi e trattenermi dal cadere a causa di uno scalino.
"Ferma!" mi dice stringendo appena un po' la presa sulla mia mano in modo che possa recuperare un equilibrio sufficientemente stabile. "Okay, scendi!"
Scendo dal gradino e lui mi porta in mezzo al terrazzo, perché ho capito di essere nel terrazzo dell'ospedale.
"Okay, ora tira tutto fuori..."
"Non capisco... che devo fare?"
"Grida Francé, grida!" mi dice lui.
"Che?"
"Prendi un respiro profondo e poi grida..."
"Allora non mi prendi in giro!"
"Ma no, per niente! Fidati, è liberatorio!"
"Però per te è più facile! Non sei introverso, e poi per tre mesi all'anno ti eserciti stando in mezzo alla gente... in più io mi vergogno."
"Va bene, tranquilla! Se non te la senti va bene."
"Me la sento, ma mi vergogno."
"Se lo facessimo insieme saresti più tranquilla?"
"Per te non è un problema, vero?"
"No, perché dovrebbe essere un problema? L'hai detto anche tu che mi esercito per tre mesi all'anno!"
"Grazie!" dico stringendolo in un abbraccio.
"Pronta?"
"Pronta!"
"Okay."
A quel punto iniziamo a contare insieme: "Uno... due... tre... AAAAAAAAAAAH!"
Ironia della sorte? Concludiamo il grido con una risata congiunta e un abbraccio.
"È normale che mi sia venuto da ridere adesso?"
"Normalissimo!"
"Dici davvero?"
"Non hai sentito che abbiamo riso insieme?"
"Sì, ho sentito! Ehm... posso chiederti un'altra cosa?"
"Ovvio, parla!"
"Avrei bisogno di un bacio" gli dico sottovoce.
"E dov'è il problema? Quanti ne vuoi, piccola!" dice, poi sento le sue labbra sulle mie e spontaneamente sorrido.
"Grazie mille!"
"Per un bacio?"
"No, per tutto! Per quello che fai per me, per come mi stai vicino, per come mi sopporti..."
"Mi stai prendendo in giro, Francesca Bernardi, eh?"
"Come? N-no!"
"Cioè... tu saresti... insopportabile?"
E detto questo scoppia nuovamente a ridere.
"Sei arrabbiato con me?" chiedo timidamente.
"No, perché mai dovrei esserlo? La verità è che mi fai molta tenerezza!"
"Tenerezza?"
"Sei troppo dolce con quelle guance rosse, e anche quando esageri con la tua modestia, al punto da sentirti addosso tutti i difetti del mondo! Mi dispiace, ma sei anche troppo tenera quando lo fai."
"Lo so che te l'ho detto anche prima, però..."
Abbasso drasticamente la voce, in modo che neanche gli alberi dei quali sento muoversi le foglie possano sentire.
In fondo sono creature viventi anche loro, no?
"Grazie." dico.
"Dovresti farmi un piccolissimo favore, però." mi dice Daniel.
"Va bene. Se posso perché no? Che... cosa dovrei... fare?"
"Questo!" mi dice mettendomi una mano davanti alle labbra, chiusa a pugno, come se volesse farmi cantare.
"Così? Cioè, a freddo? Insomma, io..."
"Se te la senti, è ovvio!"
"Per me non è un problema, ma per te va bene anche se ci metto solo questa come strumento?" chiedo indicando la gola.
"È quella che m'interessa, non crearti questo problema. Te la senti?"
"Sì..."
Prendo un profondo respiro e stringo forte le sue mani per farmi coraggio.
"Pero no vino nunca, no llegó,
y mi vestido azul se me arrugó,
y esta esquina no es mi esquina,
y este amor ya no es mi amor...
peró no vino nunca, no llegó,
y yo jamas sabré lo que pasó
me fui llorando despacio,
me fui dejando el corazon..."
["Però non venne ?è venuto* mai, non arrivò, ?è arrivato*, e il mio vestito azzurro si stropicciò, (si è ssropicciato), e questo angolo non è il mio angolo, e questo amore non è più il mio amore... Però non venne (è venuto) mai, non arrivò, (è arrivato), ed io non saprò mai quello che accadde, (è accaduto), me ne andai (sono andata) piano, piangendo, me ne andai (sono andata) lasciando il cuore..."]
Lui mi abbraccia ed io gli sorrido.
"Posso chiederti perché hai scelto proprio questa?"
"Beh, in realtà io non mi riferivo... ad una persona, in questo caso..." dico con un velo di tristezza nella voce.
Lui mi passa una mano sul viso, come se questo contatto servisse a far capire che sono triste.
"Non capisco... che fai?" gli chiedo.
"Sei calda e hai il viso contratto... ti viene da piangere, vero?"
"Un po'" ammetto. "Ma dove hai imparato a..."
"Me l'hai insegnato tu" mi risponde lui. "Quando si è sul punto di piangere il viso si riscalda e a volte, se si cerca di trattenere le lacrime, la mascella si contrae per farlo. Però adesso mi dici cosa ti prende?"
"Ho scelto questa... perché penso ad un miracolo che non avverrà mai..."
"Quale miracolo, Francesca?"
"Quello di poterti guardare negli occhi, di vederti sorridere invece di doverlo capire dalla tua voce... quello di vedere i miei futuri figli... muovere i primi passi, ecco..."
"Ehi! Nessuno dice che sia facile, però..."
"Cosa?" chiedo.
Lo so anch'io che sono esagerata, che posso vedere a modo mio, ma non posso evitare di desiderare un pezzo che mi manca.
"Dimmi cosa vuoi che faccia, piccola! Ho bisogno che tu stia bene, quindi dimmi che cosa vuoi che faccia!"
"Promettimi che se un giorno ti venisse voglia di allontanarmi me lo dirai, che sarai sincero!"
"Posso promettertelo... ma non ci si stanca di una ragazza che ha un cuore enorme. Ci si stanca di una ragazza capricciosa, di una ragazza vuota, di un'oca che non pensa ad altri che a se stessa, a farsi bella, non certo di una ragazza che vede meglio di tutti quelli che conosce... messi insieme! È un paragone orribile, ma è come se una persona ricca e vuota si stancasse dei beni materiali!"
"E invece?"
"E invece loro ne vogliono, ancora e ancora. Io voglio tenerti vicina e aiutarti quando sarà necessario farlo. Voglio aiutarti, se ti servirà, a conquistare... la tua libertà."
"Chissà quanto ci vorrà per quello..." dico.
Forse un giorno, una settimana, un mese, un anno, o forse addirittura... una vita intera.
Lui, quasi mi avesse letto dentro, mi dice: "Aspetteremo!"
"Aspetteremo insieme?"
"Ovvio piccola! Aspetteremo insieme!"
"Promesso?"
Lui posa le sue labbra sulle mie e dice contro di esse: "Sì, promesso!"
Daniel's Pov
"Sì, promesso!"
Due parole. Un vincolo. Il vincolo migliore di sempre, perché per me non c'è niente di meglio dell'essere legato a questa creatura, tanto piccola e delicata quanto determinata e coraggiosa. Non voglio farle del male, perché semplicemente non potrei. Lei ha già sofferto molto e non sarà per me che starà ancora male se potrò evitarlo.
La sento stringere un po' la presa sulle mie mani e lascio che lo faccia se questo la fa sentire tranquilla.
"Vorrei restare così... per sempre" mi dice.
"E non sei la sola, tesoro, ma adesso è meglio tornare alla realtà, altrimenti starai male di nuovo." le dico.
"A-accidenti... inizia a fare davvero freddo!"
La vedo stringersi nel cappotto che a quanto pare non le serve un granché e inizio a strofinarle le braccia per scaldarla.
"Va meglio?" le chiedo quando noto che ha smesso di tremare.
"Molto, grazie" risponde lei per poi voltarsi di spalle e tendere una mano. La prendo e la stringo forte nella mia.
È così piccola e delicata la sua mano, almeno quanto lei! A volte ho paura di sentire le sue ossa fare rumore se dovessi stringere troppo la presa. Quel sorriso che ha sul volto, però, mi rassicura... forse dopotutto non le sto facendo così male come credo.
"Non mi fai male... anzi, mi fa piacere." mi dice come se mi avesse letto nel pensiero.
"E meno male che sono io che ti conosco come le mie tasche!" le dico ridendo.
Torniamo nella sua stanza e lei si mette seduta sul letto. Le hanno portato un brodo che a dir la verità sembra più che altro dell'acqua scaldata che si usa per calmare i dolori al ventre.
"Ti hanno portato... questo." le dico mentre le metto la scodella tra le mani.
"Con questa mi riscaldo." dice per poi scoppiare a ridere e iniziare a bere quella roba. Ha una faccia sconvolta, poverina!
"Prova di resistenza?" le chiedo.
"Sì... qualcosa del genere." mi risponde lei.
"Avanti, dammi qua!" le dico togliendole di mano la scodella e il cucchiaio.
"Che vuoi fare, scusa?" chiede.
"Tanto la prova l'hai superata! Ora bevi, questa è fredda, piccola!"
Mi prende di mano il bicchiere e vedo che butta giù tutto il liquido.
"Proprio non ce la fai ad andare piano..."
"Con l'acqua mi è difficile..."
Arrossisce e abbassa il viso.
"Sei tremendamente dolce!" le dico.
"E... e tu non sei... da meno."
La stringo forte a me e le lascio un bacio sulla fronte.
"Vedrai che qualsiasi cosa accada finirà bene, tesoro" la rassicuro. "La festa, l'operazione di Cecilia, la tua... TUTTO!"
"No! Non ho bisogno che cerchi di rassicurarmi con questa frase... mi basta che mi resti accanto!"
"Allora lo farò, promesso!"
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