136: Nella biblioteca
Francesca's Pov
È il mio ultimo giorno completo in ospedale e se devo essere sincera non vedo l'ora di uscire da qui. È venerdì mattina, per la precisione sono le sette e un quarto, e Cecilia è ancora in coma farmacologico, in più l'hanno messa in terapia intensiva. Non può affaticarsi in nessun modo ed io mi sento in colpa. Durante questi giorni, avendo probabilmente notato che non sto bene moralmente, Daniel mi è stato accanto ed è stato davvero un gesto carino da parte sua. Simone, Salvatore, i Fritzenwalden e company non sono stati da meno. Mia cugina Linda dice sempre che io sono eccessiva con i pensieri positivi verso gli altri, ma in questo caso forse non ho esagerato molto.
Mi alzo lentamente da quello scomodissimo letto, mi chino per prendere dallo zaino dei vestiti e vado a cambiarmi. È sempre la solita storia: dato che mi dà fastidio l'idea di farmi vedere in pigiama dai miei amici mi sveglio presto e mi cambio. Mia madre mi ha aiutata a prendere i vestiti con i colori abbinati, poi mi ha chiesto se per caso mi servisse una mano e dopo una mia risposta affermativa è entrata con me. Ammetto che non mi alletta più di tanto farmi aiutare, ma le condizioni di questo bagno mi rallentano molto ed è per questo che mi faccio aiutare dall'unica persona che non mi mette soggezione quando mi ritrovo esposta di fronte a lei.
"Okay tesoro... ce l'abbiamo fatta anche oggi!" mi dice calma mia madre.
Annuisco per poi uscire da quel buco di bagno. Appena uscita mi sento stringere in un caloroso abbraccio e riconosco subito quel tocco così familiare, delicato e soprattutto rassicurante. È proprio lui: il mio confidente.
"Ciao principessa!" mi saluta per poi sollevare una mano e sfiorarmi la zona dietro la testa, mentre con le dita lo sento tirare leggermente i miei capelli verso il basso. "Come stai?"
"Abbastanza bene, direi" rispondo. "E a te come va?"
"Lo stesso."
"Bene... io vi lascio" dice mia madre. "Amore, vado a prendere una cosa a casa e torno, okay?"
Annuisco e le rivolgo un sorriso enorme.
"Posso dirti una cosa?" chiedo.
"Quello che vuoi, piccola!"
"Beh... sai, quando siamo insieme... è come se i miei occhi non fossero avvolti nel buio... non so spiegartelo."
"Forse, però ti ho capita. E, a proposito, volevo farti una domanda. Me lo concedi, piccola?"
"Sì! Tutto quello che vuoi" rispondo.
"Quando hai iniziato ad uscire da sola?"
"In realtà una settimana prima che ci rivedessimo" gli rispondo. "Ero andata sulla spiaggia, era la prima meta che volevo raggiungere e... beh, avevo una paura che non ti so spiegare. Ti basti sapere che ho vagato per la città per tre ore prima di arrivare dove volevo ed avevo paura di chiedere se devo essere sincera. Però ho promesso a me stessa che sarei arrivata in spiaggia con il mio... beh, con il bastone bianco, anche perché mio padre mi diceva sempre che avrei fatto meglio ad affidarmi al migliore amico dell'uomo, anche perché si sarebbe sentito molto più sicuro di lasciarmi andare da sola."
"Però in quel caso, correggimi se sbaglio, quella che non si sarebbe sentita sicura saresti stata proprio tu."
"Ma mi spieghi come fai a..."
"Francé, ci conosciamo oggettivamente da sette anni, anche se mi sono bastati i sette giorni dell'anno scorso per conoscerti. Se ti avessero messo accanto quella guida ti saresti messa a gridare e se ti avessero preso le mani per fartelo accarezzare non so come sarebbe andata a finire. Comunque te la cavi bene anche come fai adesso e che io sappia si può scegliere l'una o l'altra via... l'importante è sceglierne una."
"E sai anche che sei l'unico da cui non mi dispiace essere chiamata così?"
"E, se posso chiedere... perché?"
"Beh... perché sei l'unico che non mi fa sentire come se avessi combinato chissà cosa quando mi chiami così..."
Mi alzo dal letto sul quale lui mi aveva fatta sedere e gli chiedo: "Mi porteresti a vedere Cecilia? Mi hanno detto che le fa bene sentire qualcuno che le vuole bene vicino... e io le voglio bene."
"Ci vuoi andare davvero?"
"S-sì..."
"Vieni" mi dice dolcemente prendendomi per mano e sfiorando il mio polso con il pollice.
Lo sento aprire una porta e posarmi un braccio dietro le spalle per condurmi dentro.
"Francy, ma tu stai tremando! Sei sicura di voler andare fino in fondo?"
Annuisco per poi lasciarmi condurre all'interno della stanza con una delicatezza che forse appartiene soltanto a lui.
"Cecilia è qui, sul lettino che hai davanti" mi dice. "Non può parlare, ma credo che possa sentirti!"
Mi avvicino al lettino e cerco la mano di Cecilia. Sono in difficoltà per via di tutti i tubi che ci sono qui e ho paura che toccandoli potrei spostarli per sbaglio. Mi sento prendere il polso e Daniel guida la mia mano verso quella della piccola.
"Eccola qui! Coraggio, dille qualcosa, le farà piacere!"
Stringo un po' la mano della bambina.
"Ciao Cecilia! Sono sempre la solita Francy. Volevo passare a salutarti, lo sai? Domani mi dimettono e se avrai pazienza anche tu potrai tornare a casa!"
Mi accorgo del fatto che gli occhi stanno iniziando a pizzicarmi, i brividi scuotono tutto il mio corpo e non riesco nemmeno a stare in piedi.
"Francesca!" Lui mi parla e cerca di scuotermi per non farmi cadere in uno stato di trance e panico totale. "Sono qui! Mi senti?"
Annuisco semplicemente e inizio a cercare la sua mano. Trovarmi davanti a quella bambina tanto piccola, innocente e sfortunata mi spezza il cuore.
Sento il panico continuare a salire e la forza di reagire diminuire progressivamente. Non riesco a riconnettermi alla realtà. Non riesco a concentrarmi sulle dita che sono intrecciate alle mie.
"Piccola parla! Di' qualcosa!"
"Non lasciarmi andare" riesco a dirgli con un filo di voce che mi costa molto.
"Mai!" mi dice.
Lo sento tirarmi in un abbraccio e farmi appoggiare la testa al suo petto. Sento i suoi battiti e poco a poco mi calmo.
"Cecilia ti ha sentita" mi dice sottovoce. "Ti sta sorridendo, Francesca!"
Mi sfrega la schiena con una mano e con l'altra mi tiene stretta. Sento che mi tiene in piedi e mi trasporta fuori.
Mi ritrovo seduta su di un letto, probabilmente il mio. Tendo le braccia per cercare qualcosa che mi permetta di riconoscere questa stanza e quando sento sotto le dita il sacchetto di tela capisco che sono proprio in camera mia.
"Va tutto bene" mi sento dire, "va tutto bene!"
"Grazie... d-di tutto" balbetto per poi cercare le sue mani. Ho bisogno di sentirmi sicura.
Lui mi prende i polsi ed inizia a tracciarvi dei ghirigori con le dita. Sa bene che questo gesto per me è un vero e proprio toccasana.
"Va un po' meglio, vero?" mi chiede con dolcezza.
"Sì... solo che mi dispiace..."
"Per Cecilia!"
"Non è che siamo in simbiosi o qualcosa del genere? È... un po' strano che tu sappia sempre cosa voglio dire... ecco..."
"Tutto è possibile." dice dolcemente. "E ora vieni che ho una sorpresa per te!"
"Una sorpresa?"
"Non è possibile! Ogni volta che ti dico questo mi fai sempre la stessa domanda!"
"Sarà... un... un riflesso condizionato..."
"Lo sai che potrai fare un'altra cosa che so che ti piace molto, piccola Francesca?"
"Sarebbe a dire?"
"Potrai leggere."
"È uno scherzo, vero? Insomma, come faccio a leggere... se... ecco..."
Lui mi mette tra le mani il mio occhio a rotelle e dice: "Se vuoi camminare da sola prendilo... basta che tu ti fidi. Prometto che non te ne pentirai."
"Mi parlerai ogni tanto, vero? Ho paura di andare dalla parte sbagliata. Cioè, ho vagato molte volte per questo posto, però..."
"Tu fidati che il modo per non farti perdere lo troveremo insieme. Okay?"
Lui esce dalla stanza ed io lo seguo lungo il corridoio, fino alla zona in cui si trova l'ascensore, almeno per quello che mi ricordo.
"Stai tranquilla, dovevamo venire proprio qui." mi dice Daniel per poi farmi entrare, perché sono ancora un po' imbambolata.
Saliamo a non so che piano e una volta usciti percorriamo un altro corridoio.
"Sei ancora lì, vero?" chiedo, anche se so che lui è sempre qui accanto a me, perché è come se potessi percepire la presenza ci persone e oggetti. Sarà uno dei tanti sensi nascosti degli esseri umani, perché io ho qualche dubbio sul fatto che quelli effettivi siano soltanto cinque.
"Sì, sono qui."
Sto per fare qualche altro passo svoltando a destra perché davanti a me c'è qualcosa, una porta credo, ma lui mi dice: "No Francy, è questo il posto! Ci siamo, vieni e vedrai!"
Tendo la mano e sento sotto le dita la maniglia fredda. Il contatto con il metallo mi fa rabbrividire. È come se non riuscissi ad aprire la porta.
"Aspetta" mi dice lui mettendo una mano sulla mia e aiutandomi a frenare il tremito delle dita per permettermi di aprire la porta.
"Vuoi entrare?"
Annuisco semplicemente e faccio qualche passo esitante all'interno della stanza. Sento la rotella dell'oggetto che ho in mano sbattere contro qualcosa, lo metto dritto e mi avvicino tendendo l'altra mano.
"Quanti libri!"
Credo di avere la faccia estasiata di una bambina, perché sento ridere il mio angelo e rido di rimando.
"Ti piace tanto, vero?" mi chiede.
"Sì... Peccato che non possa leggerli!" dico.
"Fossi in te mi farei qualche domanda a riguardo! Prendine uno, toccalo e prova ad aprirlo!"
Prendo un libro tra le mani.
"Aspetta, dammi questo e siediti" mi dice Daniel togliendomi delicatamente di mano l'occhio a rotelle e facendomi spostare, credo verso una sedia.
Mi siedo e metto il libro sulle ginocchia.
È un libro piuttosto grande a dire il vero, ha una rilegatura di ferro e la copertina in cartone, ma non riesco davvero a capire. Sento la copertina del libro spostarsi e sotto le dita mi ritrovo una pagina senza scritte. Un'altra pagina viene fatta scorrere e mi sento prendere con delicatezza il polso. Il mio angelo guida la mia mano un po' più in basso della cima di quel foglio. Mi accorgo di alcune scritte in rilievo e per un soffio il libro non mi scivola di mano.
"Il Mondo nei tuoi occhi!" esclamo stupita.
Lui mi circonda le spalle con le braccia e mi lascia un bacio sulla guancia, stavolta la destra.
"Non ci posso credere! Ma com'è possibile?"
"Dopo la sala degli strumenti hanno deciso di mettere su anche una biblioteca. Io e un'altra persona che conosci ci siamo soltanto occupati di dare una mano."
"Tu e chi?"
Lo sento schioccare le dita e altre mani mi si posano sulle spalle, ma stavolta quel qualcuno mi sta proprio davanti.
Appoggio il libro sul pavimento e inizio a cercare quelle mani che trovo quasi subito.
"Stefano! Ma come... come..."
"Hai intenzione di continuare a balbettare o ti decidi a dire qualcos'altro?" chiede Stefano.
"Ma stai sempre a scherzare, Parker?" chiedo guadagnandomi un sorriso da parte di Daniel e sorridendo di rimando.
"Dovrò ricordarmi di non prenderti in giro altrimenti ti vendicherai, non è vero?"
"Non lo so, giudicherai tu!"
Mi volto prima verso Daniel e poi verso Stefano, rivolgo un sorriso ad entrambi e dico: "Grazie!"
"Non lo dovresti neanche dire, piccola!"
Detto questo il ragazzo alle mie spalle alza una mano e mi sposta la solita massa di ricci.
"Quelli vanno sempre in avanti" ammetto.
"Non fa niente, l'effetto è carino." mi dice lui.
"Confermo!" si aggrega Stefano. "Ah, e... che cosa te ne pare della sorpresa?"
"Cosa me ne pare? Che è una meraviglia!" rispondo con un sorriso enorme.
Stringo entrambi in un abbraccio e dopo qualche secondo Stefano mi dice: "Quarto piano, terza porta sulla destra!"
"A quanto pare il 3 è il mio numero fortunato!" dico sempre ridendo.
"Perché dici questo?" chiede Stefano.
"Perché per alcune strade i gradini vanno a tre, nel senso che se ne salgono o scendono tre e poi c'è un tratto pianeggiante, poi altri tre e di nuovo lo stesso. Qual era la mia camera nella casa di montagna? La terza porta sulla destra. Quanti scalini salgo e scendo al bar in cui lavoro? Tre all'entrata e tre più all'interno! Il 3 settembre mi è capitata una cosa bellissima e una ragazza che conosco è nata nella mia stessa clinica, però il 3 aprile!"
"Però! Si vede che hai dimenticato una cosa..." mi dice Stefano, "tu sei nata il 4."
"Lo so, infatti anche il 4 mi piace."
"Avete finito o ne avete ancora per molto?" ci chiede Daniel.
Scoppiamo tutti a ridere.
"Sai come tornare, non è vero tesoro?" mi chiede Daniel.
"Sì... credo di sì." rispondo.
"Facciamo così: tu se vuoi resta qui tranquilla e se hai problemi chiama, d'accordo?" propone Stefano.
"Va bene, io ci sto." rispondo.
Resto sola nella biblioteca e raccatto il libro appoggiato sul pavimento. Lo metto sulle ginocchia per poi iniziare a leggerne le prime pagine. Conosco già la storia raccontata in questo libro, ma è sempre bello rileggerla. È una storia che mi prende ogni volta, che mi attrae, che mi lascia sempre con il fiato sospeso, anche se la conosco a memoria.
"Sei rimasta la stessa di sempre, Francesca!"
Quella voce mi fa rabbrividire.
Non ci credo! Non può essere!
"Che c'è? Non mi hai riconosciuta?" mi chiede ancora la ragazza che è ancora qui.
"Carlotta..." riesco a sussurrare.
"Esatto! Che c'è, i tuoi amichetti ti hanno abbandonata?" mi chiede lei.
"Che t'importa? Chi sei per venire a mettere bocca nella mia vita, eh?"
"Una persona che sa bene che molto presto tu rimarrai sola!"
"Io non ti credo, strega!"
"Sei rimasta la stessa! Mia madre aveva ragione a dire che sei un'asina!" dice.
Il libro mi sfugge di mano a quel ricordo e sento Carlotta muovere a destra e a sinistra il bastone bianco.
"Carlotta, per favore, dammelo! Senza quello non posso uscire da qui, dammelo! Per favore!"
"Lo vuoi, carina? Bene! Vediamo se riesci a prenderlo!" dice per poi lanciarlo fuori dalla stanza.
Di nuovo! Di nuovo la stessa scena!
"Ed ora veniamo a noi, bambina! Dobbiamo dirci un bel po' di cosette, sai?" E mi spinge indietro, costringendomi a mettermi con le spalle al muro.
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