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133: Inaspettato...

Francesca's Pov
Piove a dirotto mentre io corro per arrivare a casa. Riesco a giungere accanto al portone e sento qualcuno urlare. Quella voce la conosco!
Corro a perdifiato su per le quattro rampe di scale e una volta arrivata davanti alla porta di casa mia i miei sospetti sono confermati: quella che grida altri non è che mia madre!
Affretto il passo e raggiungo la porta di casa, iniziando a battere energicamente i pugni contro di essa. Ma perché nessuno mi apre questa porta? Che succede?
"Signora, non si muova da qui o sarà peggio per lei..." dice un uomo il cui timbro mi è fin troppo familiare e che mi fa venire i brividi ogni volta che ce l'ho davanti.
Tiro fuori le chiavi e apro la porta per poi correre in casa.
"Ma guarda chi si vede! La mia allieva prediletta!" dice, chiaramente in tono sarcastico.
"Francesca, non ti avvicinare a quell'uomo! È armato!" mi dice mia madre tra le lacrime.
"Ti consiglio di dar retta a tua madre, ragazzina!" dice il professore. "Anzi, no! Vieni qui!"
Mi getto contro di lui e cerco di togliergli di mano la pistola che dice mia madre, ma lui mi blocca entrambi i polsi per poi spingermi verso la porta. Sento il metallo freddo dell'arma contro la mia tempia e comincio a tremare come una foglia. Rivedo in un flashback la mia vita e sento la pressione del manico di quella pistola che lui tiene contro la mia tempia aumentare sempre di più.
"Che vuoi fare, maledetto?" gli urla mia madre.
"Beh... Voglio farla finita una volta per tutte con questa ragazza che non crea altro che problemi." risponde lui, beffardo come al solito.
Quelle parole mi feriscono prima del proiettile che l'uomo sta per spararmi in testa, e a quel punto, disperata come non lo sono mai stata in vita mia, caccio un grido.
Sento due mani fermarmi i polsi e mi accorgo di aver agitato le braccia finora.
"Francesca! Francesca! Ehi, piccola, svegliati..." mi sento chiamare.
Mi agito di più nel sentirmi toccare il viso, poi riconosco quel tocco e cerco di calmarmi, ma inutilmente.
"Piccola, respira... ehi!"
Mi accorgo di iperventilare e cerco di fare un respiro profondo, ma non ci riesco. Mi manca l'aria.
Sento Daniel prendermi il polso, come se mi stesse sentendo i battiti, e provo ancora a respirare. Finalmente sento l'ossigeno arrivarmi ai polmoni e dopo un tempo che mi sembra eterno mi riprendo del tutto.
"Ti sei calmata?" mi chiede il ragazzo che mi sta ancora tenendo la mano.
"Sì... grazie."
Mi viene fuori un filo di voce.
Per un momento non sono riuscita a distinguere il sogno dalla realtà, ma avrei preferito che mi accadesse in un altro sogno. Magari con lui: il mio angelo custode, che è rimasto qui, accanto a me.
"Accidenti piccola, mi hai fatto prendere un colpo!" dice.
"Perdonami, io... io non volevo..." dico.
"Cos'hai sognato di tanto terribile da farti agitare in quel modo?" mi chiede con quel tono dolce che fin dal primo giorno mi ha fatto martellare il cuore come non mi era mai successo con nessun'altro al mondo.
"Come sai che sono ancora nel panico?" chiedo.
"Come lo so? È molto semplice: sei ghiacciata" mi risponde lui per poi prendere le mie mani e scaldarle sfregandole tra le sue. "È il tuo modo di dire che sei agitata per qualche motivo, e dice anche che lo sei molto."
Annuisco. Come diavolo faccia a capirmi sempre attraverso cose del genere non lo scoprirò mai, mi sono rassegnata, ma è talmente dolce!
"Ecco... non so se hai saputo che quando eri in ospedale sono entrati i ladri in casa mia..."
"Falsi ladri." mi corregge lui.
"Sì... beh, a dihe il vero era una sola persona" spiego.
"Il professore di musica."
"Sì... Il... ma come lo sai?"
"Non chiamare qualcuno per rinchiudermi in manicomio, okay? Io ti ho vista e mi sono anche beccato un pugno che stava per arrivare a te" mi risponde.
"Quando eri una specie di... di fantasma?"
"Esatto!"
"Beh, ho sognato di nuovo quella scena... solo che appena sono entrata... nel sogno l-lui mi ha spinta... contro la porta e mi ha puntato la pistola che aveva in testa!"
Sento che se continuo a parlare scoppierò a piangere, ho gli occhi che mi danno un tremendo fastidio. Forse non sono l'unica ad averlo notato visto che sento il mio Angelo delle Risate, (lo chiamo così per il suo mestiere e perché è davvero dolce, come soltanto un angelo sa essere), tracciarmi dei cerchietti sul dorso della mano destra, quella che ancora tiene stretta tra le sue.
"E... e poi ha detto che stava per togliere di mezzo una ragazza che crea solo problemi!"
"E meno male che quella che crea problemi sei tu! Guardando come stai anche lui capirebbe di essere l'unico che non fa altro che creare problemi su problemi" scatta lui voltando il mio viso verso di sé, come se volesse farsi guardare dritto negli occhi. Mi dispiace di non poterlo fare...
"È... è che..."
"Non mi dire che ci credi, ti prego" mi dice.
Abbasso il viso e lui capisce di aver fatto centro, mi attira a sé e mi abbraccia forte facendo attenzione a non toccare l'ago che mi serve per attaccare le flebo e che non potrò togliere finché sarò qui.
Quell'abbraccio per me è una medicina, mi fa passare tutto, e poi è come quella tachipirina (o come si chiama) che mi davano quando ero bambina: talmente dolce che non avevo difficoltà a mandarla giù. Ora che sono cresciuta quella che prendo è molto più amara, tanto quanto lo sono certe cose che succedono nella mia vita.
Insomma, non dico che la tachipirina è come la vita, sarebbe assurdo!
Dico soltanto che da bambini tutto è più semplice, che le favole si trasformano in realtà molto più facilmente che per i ragazzi o per gli adulti e che l'innocenza dei bambini li fa sorridere molto più spesso di quanto accada a noi. Sarà per questo che per me i bambini sono degli angeli scesi dal Cielo, che ti trasmettono pace e tranquillità.
Naturalmente ci riescono anche alcuni adulti, e uno di questi ce l'ho accanto.
Peccato che l'atmosfera di questa stanza mi sembri soffocante e che quella sensazione tanto spiacevole che si prova dopo un incubo sia ancora presente.
"Credo che se non ti faccio uscire non potrò mai aiutarti a toglierti dalle scatole questa tensione." mi dice infatti il mio angelo.
"Ma non mi fanno uscire dall'ospedale..." sussurro.
"E chi ha detto che devi uscire dall'ospedale?"
"Non capisco... che vuoi fare?"
"Tu fidati di me. Ti prometto che non ti farò fare nulla di pericoloso o che tu non voglia."
Mi sento prendere la mano e scendo con cautela dal letto. Lui mi mette addosso la sua giacca per coprirmi ed io infilo un paio di scarpe sempre per il freddo, ma lui mi porta fuori in braccio per non fare rumore e riesce ad evitare di farne lui stesso camminando. Credo che siamo vicini al cortile dato che sento il vento battermi con prepotenza dritto sul viso.
"Siamo vicini al cortile?" gli chiedo in un sussurro.
"Sì, e stiamo per uscire." mi risponde lui. "Ma come hai fatto?"
"Beh... ecco... è stato... i-il vento" balbetto in risposta, "è che... i-io..."
"Hai sentito il vento batterti sul viso, vero?"
"Sì... È stato questo!"
"In realtà ho un motivo preciso per averti portata qui!"
"Ah... e quale? Cioè... voglio dire..."
"In una delle tasche della giacca che ti ho dato dovrebbe esserci qualcosa che ti servirà" mi dice.
Frugo nelle tasche e trovo un pezzo di stoffa con un laccio che credo serva a tenerlo attaccato non so dove. Continuo ad osservare a modo mio l'oggetto e capisco di cosa si tratta.
"Una benda? Ma perché? A cosa mi serve?"
"Potresti mettermela?" mi chiede lui.
"Co-come, scusa?"
"Potresti mettermi quella benda sugli occhi? Desidero che tu sia sicura che non sto barando!"
"D'accordo, ma non capisco cosa vuoi fare." gli dico sempre più confusa.
"Eeeh, sei proprio curiosa! Aspetta, quando mi metterai la benda capirai!"
"Ma questa... è la benda che ti hanno messo per quel gioco del cacciatore e degli uccellini o sbaglio?"
Ricordo che lui mi è venuto incontro dopo il gioco in questione. In realtà quello che avrebbe dovuto bendarsi era Giorgio, ma dopo pochi secondi gli aveva passato la benda, frustrato a causa della sensazione che a quanto pare aveva provato, e quando ho toccato quella stoffa mi è sembrata davvero familiare.
"Hai buona memoria" mi dice lui. "Comunque vuoi mettermela o devo aspettare l'alba qui fuori?"
Cerco di trattenere le risate, senza risultato, quindi nascondo il viso nella stoffa della sua giacca per non farmi sentire, dopodiché, una volta recuperata la calma, gli metto la benda.
"Adesso siamo uguali, in tutti i sensi!" mi dice. "Posso vederti come mi hai visto tu la prima volta?"
"Sì... d'accordo."
Lo sento posare le mani ai lati del mio viso ed iniziare a sfiorarmi i capelli, ma in modo leggermente diverso. È sempre un tocco delicato, ma mi sembra che lui voglia contarli.
Sto per chiedergli cosa stia facendo, ma lo sento spostare le mani verso la mia fronte e rabbrividisco, perché...
""Oh, accidenti! Povera Francesca, tu... tu scotti, hai la febbre"!"
Quella frase mi risuona in testa e pensando che dopo, per merito di quella febbre, ho ricevuto il mio primo bacio sulle labbra, per giunta proprio da chi speravo di riceverlo, non posso evitare di sorridere come un'ebete.
"Ci stavi pensando anche tu, vero?" mi chiede, sorridendo a sua volta, e da questo immagino che mi abbia sentita sorridere o tremare.
"Sì... anch'io stavo pensando a quello..."
Ci stavo pensando, perché quella febbre ha preceduto il mio primo bacio.
Ci stavo pensando, perché è stata la più bella carezza sulla fronte che mi abbiano mai fatto da quando ho memoria, l'unica che mi abbia fatto sentire una scossa e un batticuore unici e irripetibili.
"Beh... nessuno c'impedisce di rifarlo, anche se adesso più che febbricitante sembri imbarazzata." mi dice.
"Forse perché è quello che sono, in fondo."
"Permetti?"
Capisco quello che vuole fare, quindi gli rispondo con un semplice: "Sì."
Lo sento avvicinarsi sempre di più al mio viso e cercare le mie labbra, ma dato che ora mi sta tenendo le mani capisco che sta andando leggermente fuori mira.
"Prova... un po' più verso la tua destra" gli dico.
Tempo tre secondi e sento le nostre labbra scontrarsi.
Tempo una frazione di secondo e sento il cuore fare delle vere e proprie acrobazie, degne solo di un circense, ancora meglio se si parla di un trapezista.
Sono tesa, molto tesa, e lui se ne accorge, percorre le mie braccia con le mani e si ferma quando trova la mia schiena. Lo sento stringere a sé il mio corpo e il cuore continua le sue capriole, ma mi sento bene qui, tra le sue braccia. Dico davvero, non potrei chiedere nulla di meglio.
Anzi, se anche potessi chiedere di meglio probabilmente non lo farei. Non chiederei di vedere, perché mi basta questo. Non chiederei di far sparire il glaucoma come per magia, perché quando sono con lui dimentico tutto.
Lo sento staccarsi lentamente, risalire lungo le mie spalle con le mani, percorrere le zone laterali del mio viso e fermarsi sui miei occhi. Lo sento sfiorarne i contorni, come ho fatto io quel giorno in cui gli ho chiesto di descrivermi come mi vedeva, quel giorno in cui non mi aspettavo che mi descrivesse non solo come mi vedeva con gli occhi, ma anche in altri modi... in tutti i modi.
Percorre tutto il mio viso con entrambe le mani, lentamente e con delicatezza, e quando arriva al collo si ferma.
"Puoi metterti di spalle?" mi chiede.
Per tutta risposta mi volto e mi sento posare le mani sulle spalle e guidare per tutto il cortile. Beh, a dire il vero ad un tratto lui fa condurre a me il percorso e mi viene da sorridere dato che fino ad oggi ho guidato solo Sery e Ginevra, la prima per ovvie ragioni, la seconda perché aveva una benda.
"Lo conosci proprio bene il posto!" mi dice.
"Sono diventata una frequentatrice abituale dell'ospedale... prima o poi s'impara almeno qualcosa di un posto se ci si va spesso, no?"
Mi volto verso di lui e gli chiedo: "Come ti senti? Voglio dire..."
"Con la benda?"
"Sì, con la benda!"
"Più o meno, ma credo sia perché non ci sono abituato... se mi dai tempo riuscirò a... farci amicizia!"
"Lo sai che non sei costretto a farlo, vero?"
"Io no, ma tu lo sei e mi fa male quando ti sento dire che vorresti guardarmi come ti guardo io." ribatte lui.
"Però tu i colori me li hai fatti vedere... in un modo un po' speciale, ma me li hai fatti vedere! Il buio che vedo io è il male minore, insomma, poteva succedermi anche di peggio e poi anche se a volte mi sento triste e dico che mi piacerebbe molto che i miei occhi guardassero altre cose oltre a quello... non posso rimpiangere qualcosa che non è mai stata mia perché io non ho mai visto niente... fin dalla nascita. Anzi, devo ringraziarti perché sei stato disposto a passare mezz'ora al buio insieme a me, e pensa che non è una cosa da tutti... È... è una cosa da angeli!"
"Ti piacciono proprio gli angeli, tesoro!"
Gli sorrido timidamente come per dargli ragione, poi rabbrividisco e mi stringo nella sua giacca per scaldarmi.
"Vieni" mi dice con dolcezza, "è ora di rientrare."
"Aspetta... hai dimenticato che hai ancora gli occhi bendati?" gli chiedo. "E poi... io... io dovrei dirti almeno un grazie."
"E dovresti anche spiegarmi il perché di questo ringraziamento!"
"Vedi... la prossima settimana, di lunedì, sarò in Sicilia perché mi devo operare. Ti ringrazio perché riesci a farmi dimenticare tutti i problemi e a farmi sorridere in ogni occasione!"
"Non è merito mio! È merito del tuo cuore che accoglie i miei tentativi!"
Lui mi mette la benda tra le mani ed io la rimetto nella tasca della sua giacca, poi torniamo dentro.
"La guardia non sa che sono qui in ospedale" mi dice di punto in bianco, "quindi riguardo quello che è successo stanotte... shh, acqua in bocca, mi raccomando!"
Naturalmente me l'ha detto a bassa voce quindi, con tono altrettanto basso, mi avvicino a lui tremando leggermente per l'imbarazzo e gli indico di leggermi le labbra. Infatti dico senza un filo di voce: "Promesso..."
Lui mi lascia un bacio a stampo e mi accompagna verso il mio letto per poi andare via senza fare rumore.
Simone's Pov
Oggi vado anch'io in ospedale a vedere come sta Francy. Mi dispiace di non esserci stato finora, ma ho avuto problemi e l'ho spiegato a Giorgio, Daniel ed Alice. Quest'ultima mi è stata vicina.
È vero, non ci sopportavamo fino a qualche tempo fa, ma ho scoperto che è una ragazza davvero dolcissima e di buon cuore.
Mi sono fatto pregare un bel po' prima di farmi aiutare, ma alla fine mi sono deciso a farlo ed è stato un bene. Anche se il problema non è risolto ho il cuore un po' più leggeho perché so di poterne parlare.
Ora sta venendo a prendermi per portarmi in ospedale, è stata davvero gentile ad offrirmi un passaggio per arrivare fin lì.
Sento una scampanellata e corro ad aprire.
I miei dormono ancora mentre io sono già pronto per uscire e spero tanto che Francy stia bene. Non merita di soffrire, proprio lei non lo merita perché è una ragazza meravigliosa.
Vedo Alice raggiungermi e lei mi chiede: "Andiamo?"
"Sì, andiamo."
Siamo nella sua auto e lei si sta dirigendo verso l'ospedale quando la sento chiedermi: "Ti sei mai innamorato?"
"Beh... una volta sì, ma ho scoperto che a lei piaceva giocare con i sentimenti delle persone che la circondavano..."
"È anche per questo che stai male?" chiede.
"No, lei è una vecchia ferita."
"Quindi stai male per tua sorella."
"Sì, sto male per mia sorella. Non posso credere che lei abbia una simile malattia, te lo giuro! Non posso crederci!"
Scoppio improvvisamente in lacrime ed Alice ferma l'auto per poi spostarsi dal sedile del guidatore e stringermi a sé.
È l'abbraccio più bello di sempre: senza una parola, ma con tanto, anzi, troppo affetto.
Un troppo che vorrei fosse una costante nella mia vita. Un troppo che mi piace, che mi fa sentire bene...
Spazio Autrice
Hola chicoooos, hola a todooos, holaaa!
Visto che domani parto e sto crollando mi è venuta voglia di pubblicare un ultimo capitolo prima di andare in vacanza. Beh, ho pensato che la questione Alice-Simone, da quando l'aveva trattata Daniel nel capitolo 22, fosse rimasta un po' in sospeso ed ho pensato di raccontare qualche stralcio anche di queste due vite che sembrano distanti, ma... okay, basta!
Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto, vi voglio bene e... Hasta luegooo!

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