La ragazza che non poteva essere qui
Vi chiedo di leggere fino alla fine, anche se vi sembrerà un capitolo senza nesso logico.
Buona lettura
In un altro luogo, in un altro momento.
I lunghi capelli castani poggiano sul candido cuscino, onde ribelli circondano il volto emaciato, i colpi di sole, che in passato rischiaravano la chioma, appaiono ormai smunti, le palpebre sono chiuse e neppure un movimento impercettibile le smuove, la bocca carnosa è violata da un tubo, uno simile invade le strette narici, cicatrici sbiadite sono impresse sulla candida pelle.
Un ticchettio debole è emesso da un freddo macchinario, i battiti riecheggiano nella camera silenziosa, rimbalzano sulle pareti bianche prima di posarsi sul pavimento poco battuto.
Fotogrammi sfocati si annidano tra le pareti della sua memoria sopita: una bambina che poggia le mani paffute sul suo viso, tracciandone i contorni e le sembra di avvertirne i delicati polpastrelli imprimere la carne, il vento scompiglia i lunghi capelli, due corpi stretti fendono l'aria piegandosi sull'asfalto grigio, una motocicletta striata di rosso accompagna i loro movimenti; infine, labbra che si posano lievi sulle sue e palmi ruvidi che marchiano la sua pelle liscia.
E, poi, la voce, la stessa che non risiede nella sua mente, ma le giunge da fuori, asfittica e grondante di rimpianti. Parole soffiate a mo' di nenia, un nome spesso pronunciato e vibrante di passione.
Poco più di un anno per cercare di incastrare pezzi di quella storia impadronitosi dei suoi pensieri sconnessi.
Una lastra di vetro separa la ragazza dal giovane che ne rimira le fattezze così simili a quelle di una dea, sebbene la lunga degenza ne abbia ottenebrato lo splendore.
Un sospiro pesante si poggia sulle sue labbra, i denti digrignano mentre le palpebre arricciate oscurano la visuale; muove passi incerti in direzione della porta, la mano è poggiata sul battente, vacilla prima di oltrepassarla.
Siede sulla poltrona nera, pochi centimetri lo separano dal giaciglio di quella ragazza a cui nessuno ha mai vegliato il sonno, oltre un anno in cui nessuna anima si sia mai caricato di quel dolore.
Il camice bianco è distrattamente poggiato sul bracciolo della poltrona, le lunghe gambe sono incrociate, le spalle rigide sfiorano appena lo schienale mentre le mani si congiungono accanto alla sua bocca. I polsi vibrano, le iridi dello stesso colore del cielo in tempesta si riempiono della sua figura, le pupille si sgranano a ogni ansimo represso, gocce di sudore imperlano la fronte e ciocche castane vi si attaccano, sbuffa sonoramente per ricacciarle indietro mentre la voce di sua madre continua a infastidire le orecchie. «Non vuoi lenire il suo dolore, vuoi solo zittire i tuoi sensi di colpa. Non assumerti responsabilità che non hai, è stato solo un incidente!»
Un anno disseminato dalla costante dedizione a quel viso privo di nome, appagato da un sonno senza fine e storpiato dalla solitudine di una camera asettica dove è arrivato sporco di sangue e di terriccio.
Una coperta bordeaux finisce sulle ginocchia, inala il profumo di lavanda con cui è stata lavata la sconosciuta, mentre un altro odore, quello di qualcun altro, invade le sue narici.
Non deve scavare a fondo per ricordarne la provenienza, è un profumo che popola i sogni ogni notte e lo culla nel tepore del suo letto.
Spegne ogni ricordo che inumidisce le pupille, focalizza l'attenzione innanzi a sé, scruta ogni dettaglio possa donargli una speranza, un segno di ripresa che giunga inaspettato.
Il suo è un corpo che non trova pace, cambia posizione sulla poltrona più di una volta per, poi, alzarsi di scatto, solca il pavimento di marmo grigio, le mani finiscono nei capelli e li stringono con possanza, annaspa nel suo stesso respiro cercando un motivo valido a quel che ha fatto finora e che si accinge a proseguire.
È una guerra, combattuta contro la razionalità e che non proclama né vincitori né vinti, ma tormenta ogni suo risveglio e lo accompagna fino all'attimo in cui quella storia prende vita attraverso le sue parole.
La seduta della poltrona sprofonda nuovamente sotto il suo peso, inspira forte e schiarisce la voce roca prima di dar vita a quella farsa.
«Eravamo rimasti a quando...»
Spazio autrice
Non temete, non ho sbagliato storia.
Vi sembrerà assurdo ma vi assicuro che alla fine della storia vi sarà tutto chiaro.
Non vi è nulla di trascendentale, paranormale o fantascientifico. Ogni cosa avrà la sua spiegazione logica, anzi medico-scientifica.
Se qualcuno se lo stesse chiedendo, non è Roxane, la defunta ragazza di Luke.
C'è qualcuno tra i miei lettori che può ipotizzare di chi si tratti.
A presto
Baci
Mariarosaria
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