La mia scelta
Premessa
Non sono solita interagire con i lettori nello spazio dedicato al capitolo. Questa volta mi sono concessa un'eccezione. Non ho mai neppure aggiunto video, gif o foto e sebbene consapevole della discordanza del genere musicale con l'ambientazione della mia storia, reputo questa canzone un inno alla vita da dedicare a Trisha e tutti coloro che come lei vivono la sensazione di sentirsi fuori luogo.
Buona Lettura
Potrebbe scegliere di lasciarsi andare, sprofondando lentamente nelle acque cristalline dove il suo corpo inerme sarebbe martoriato dallo scontro con le pareti rocciose che caratterizzano il lembo di costa. Oppure, potrebbe scegliere di riemergere, tentando, forse invano, di ricucire con mano tremante gli squarci della sua anima.
Non le è data possibilità di scelta, la presa sul suo ventre aumenta mentre le gambe sono bloccate da qualcosa che le circonda. D'un tratto si sente sollevare, ha gli occhi ancora chiusi mentre la testa poggia su un petto duro, il cui odore sa di vita. Una voce rotta dall'afflizione sussurra lieve: «Non farlo mai più», mentre le labbra del ragazzo poggiano baci salati sulla sua tempia.
Distesa sulla battigia, Trisha schiude gli occhi erosi, il volto di Austin è a pochi centimetri dal suo.
Le dita raggrinzite sono poggiate sulla sua nuca e, senza far pressione alcuna, il provato ragazzo la solleva e posa le labbra sulle sue, forse per l'ultima volta. Le dona un bacio caldo, lento come i battiti che pulsano nel petto di Trisha nello stesso istante.
Un bacio che lei comprende essere un addio e chiude gli occhi per trattenere le lacrime, stanca di bagnare il suo volto con la sofferenza. Austin si allontana da lei, ma non smette di inchiodarla con le pupille dardeggianti e di accarezzarle il profilo, avvicina il volto all'orecchio e le sussurra: «Ti riporto a casa».
«Non è necessario. Vado da sola.»
Trisha si alza di scatto, con tale foga da avere un leggero mancamento; affonda le unghie nella carne e i denti nel labbro per resistere, raccoglie i suoi vestiti, mentre il "Non posso " sussurrato da Austin arriva flebile alle sue orecchie.
Non posso.
È lei a non potere, non può permettere ad Austin di colmare nuovamente la distanza creatasi tra loro per, poi, discostarsi ancora, portandola alla deriva.
Volge lo sguardo nella sua direzione per un'ultima volta: dai radi capelli castani, dissipati dalla chemio, colano gocce d'acqua di mare che solcano il viso spigoloso e spento per posarsi sulle ampie spalle abbronzate e finire sugli addominali consumati dal male, lo stesso che ha segnato il loro cammino fin lì; la fronte alta è tagliata in due da una ruga di mortificazione, mentre le sopracciglia guizzano verso l'alto a mo' di esortazione e le iridi cristalline, oramai prive di luce, diventano emblema del buio pronto ad avvolgere i giorni che verranno.
Trisha indossa, ancora grondante, gli abiti che aderiscono come una seconda pelle e s'incammina verso casa, dove ad attenderla c'è l'ultimo atto.
Mia madre.
La donna che, da oltre dodici anni, aveva fissato i suoi occhi in quelli della figlia soffiando parole colme di dolore per la perdita dell'adorato marito.
I piedi strisciano al suolo mentre percorre l'intera Main Street, bambini sfrecciano gioiosi al suo fianco richiamati da genitori attenti e lei continua a immaginare quei giorni che non ha mai vissuto.
Sguardi sgomenti si posano sulla figura della ragazza, inorriditi dal suo attuale aspetto. Un sorriso sghembo increspa le sue labbra immaginando di poter mostrare loro l'anima, devastata al punto da farla apparire un abominio.
Arrivata a casa, scorge la madre in cucina, intenta in una conversazione telefonica. La voce concitata e lo sguardo preoccupato la inducono a ipotizzare chi sia il suo interlocutore, il padre.
Maggie avverte la presenza della figlia e, senza accomiatarsi, riaggancia; lascia scivolare gli occhi sulla giovane e s'incanta a osservare la chiazza d'acqua formatasi ai suoi piedi. «Tesoro, perché sei scappata via dalla presentazione? Eravamo tutti preoccupati. Austin è corso via per seguirti», la donna è agitata, parla a raffica e muove le mani freneticamente.
«È solo questo che t'interessa? Io, invece, vorrei sapere perché mi hai mentito in tutti questi anni», Trisha parla a voce bassa, non vi è alcuna emozione nelle parole pronunciate, fredde come il corpo scosso dai brividi.
I loro occhi si scontrano e, nelle sue iridi, Trisha scorge il riflesso delle sue. Maggie sostiene lo sguardo della figlia per un solo istante, poi china il capo, mortificata. «Perdonami. Era l'unico modo per difendermi dal dolore.»
«Facendo soffrire me? Era questo l'unico modo che conoscevi per non sentire il dolore? Tutte le sofferenze che hanno sfiorato la mia anima non le ho mai riversate sugli altri! Finivo inesorabilmente per chiudermi in me stessa. Logoravo la mia mente, ma non infliggevo dolore agli altri.»
L'ira, quella stessa che lei aveva sempre silenziato, straripa dalle parole urlate in direzione della madre. Un movimento impercettibile alle sue spalle la avverte della presenza di qualcun altro, richiamato dalle grida.
«Tesoro, cosa succede?» la voce di Annie è pregna di preoccupazione, mentre un odore familiare arriva alle narici di Trisha. Lui non proferisce parola, sembra che le abbia raggiunte unicamente per ascoltare il dolore della ragazza e annegare nello stesso. «Annie, chiedilo a mia madre oppure a tuo figlio. Sono stanca di dover subire passivamente, di affogare nel marcio gettato da chi professa di amarmi. Voglio solo rimuovere ogni ricordo che la mia mente si ostina a elaborare.»
«Trisha, adesso vedi solo il buio...»
«Annie, la mia vita è buia. Volevo portare la luce nell'esistenza di chi amavo e mi sono ritrovata con l'esserne priva. Sono stanca. Voglio essere la mia priorità. Lontana da qui!»
«Tesoro...» Maggie non riesce a proseguire, bloccata dalle mani di sua figlia che si alzano per indurla a tacere.
«I tuoi genitori dove abitano?»
«Augusta. Ogni volta che andavo da loro oppure li sentivo per telefono, chiedevano di te, avrebbero voluto tanto conoscerti.»
«Chiamali e dì loro che vorrei trascorrere le vacanze lì.»
«Tesoro, tuo padre abita lì con la sua nuova famiglia.»
Trisha avverte un sussulto, un corpo irrigiditosi alle sue spalle, a cui segue un lieve sussurro. «Che cosa significa?» Austin è incredulo e, altresì, consapevole che nessuno risponderà al suo quesito.
«Augusta è una grande città, non rischio d'incontrarlo. Sempre meglio di vivere sotto lo stesso tetto di due persone la cui presenza è fonte di rammarico per me.»
Volta le spalle alla madre, oltrepassando Austin e Annie senza soffermarmi a salutare. Si maledice poiché ha convolto nella sua ira anche l'ignara Annie e promette mentalmente di scusarsi con lei appena riuscirà a elaborare frasi prive di disillusione. La donna non le concede il tempo di farlo, raggiungendola in camera per accertarsi delle sue scelte e per scoprire cosa sia davvero successo. Il silenzio di Trisha, però, la induce a desistere e, mossa da sincero desiderio di alleviare le sue pene, si accinge ad aiutarla con i bagagli.
Maggie compare alla porta della camera di Trisha per informarla dell'entusiasmo con cui è stata accolta la decisione della ragazza da parte dei suoi genitori. La attendono per l'indomani, è sufficiente un taxi per il porto, il battello per la terraferma e una corriera che arresta la sua corsa a pochi isolati dalla casa dei nonni. La donna si premura di trascrivere l'indirizzo su un post-it bagnato dalle sue lacrime.
Prova ad abbracciarla mentre Trisha resta inerme con gli occhi puntati oltre le sue spalle, regalando un sorriso, a mo' di saluto, unicamente ad Annie. Maggie si allontana dalla stanza in un silenzio carico di mortificazione, Annie resta al fianco della ragazza, soffiando parole smorzate dalla commozione: «Austin mi ha raccontato cosa è successo oggi. Non farlo mai più. Porteresti alla disperazione tante persone. La tua vita è cara a molti, credimi. Ti sembrerà di non esserne capace, un giorno, però, tutto questo dolore cesserà e sarai pronta per essere felice. Aspetta quel giorno! Non ho mai visto mio figlio piangere, se escludiamo quando era neonato. Oggi il suo racconto era rotto da lacrime amare. Ti voglio bene.»
Sono le ultime parole che Trisha le sento udire prima della partenza.
Resta sola, pronta per un'altra notte insonne, ma un impercettibile ticchettio alla porta la distrae dalle sue elucubrazioni. Uno sbuffo si poggia sulla bocca prima di alzarsi e aprire l'uscio, quasi presagisse chi si cela dietro il battente. Austin è poggiato al muro, indossa la solita t-shirt e i pantaloncini da basket con cui ama dormire, batte la testa contro la parete e serra le palpebre con foga, per celare le venature rossastre della sclera. «Ho saputo che partirai domani. Vuoi che ti accompagni?»
Guardarlo, per lei, equivarrebbe a far vacillare la sicurezza acquisita nelle ultime ore. «Non occorre, grazie.» Trisha richiude la porta con un tonfo secco.
Quella porta che resterà chiusa per troppo tempo.
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