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Concedimi un dubbio!

Il freddo investe il corpo di Trisha appena Austin si allontana per, poi, stravaccarsi sul letto, la sua pelle ancora vibra sebbene non sia più a contatto con quella del ragazzo, i cui ansimi spezzano le sue stesse parole, «Non possiamo continuare». Le iridi di Trisha sono colme del suo volto, è stupita e insoddisfatta. «Non prima che tu sia libera, non ti dividerò con nessuno». Le palpebre della giovane si abbassano lente, le unghie affondano nel copriletto azzurro e la testa si muove piano.

«Io già lo sono, da stasera. Ti voglio, Trisha, ma non solo per una notte. Voglio viverti ogni giorno, assaporare ogni tuo respiro, possedere ogni tuo battito.»

«Che cosa dovrei fare?» le sue labbra s'incastrano tra i denti quando la mano di Austin agguanta la sua.

«Lascia Luke, come ho fatto io con Caroline prima di entrare in questa stanza. Stai con me!» non un fiato fende l'aria intorno a loro, Trisha non trova le parole per replicare.

«Perché non parli? Non vuoi, vero?» Il pomo di Adamo si alza e abbassa veloce e le ciglia si scontrano tra loro.

Trisha ingoia la sua stessa saliva, annaspa nell'ossigeno che inspira, «Ci conosciamo da tanto tempo, perché proprio ora? Fino a qualche settimana fa non ci rivolgevamo neppure più la parola. Non voglio i tuoi rimorsi né la tua gratitudine».

I palmi di Austin affondano nel letto, si dà una lieve spinta per tirarsi su, «Pensi davvero che sia per questo?» un ghigno increspa la bocca che poc'anzi era su quella di Trisha, «Perché non dici chiaramente che per te, quanto successo stasera, è solo un errore? Perché non ammetti che non lo vuoi lasciare? Non preoccuparti, lo accetto».

Le parole muoiono sulle labbra secche di lei, la rassegnazione storpia, invece, i lineamenti del suo viso di Austin prima che la porta si richiuda alle sue spalle.

Con gesti lenti e meccanici, Trisha infila il pigiama e sprofonda sotto la coperta. Invano, tenta di raggiungere il mondo dei sogni mentre combatte una guerra silenziosa contro le lenzuola.

Il gelo si annida sotto pelle, penetra nelle ossa, scorre insieme al sangue da quando le tue mani hanno abbandonato il mio corpo, da quando i tuoi gemiti non abbracciano i miei. Il tuo silenzio tortura la mia mente, la tua assenza ruba il mio respiro.

I piedi scalzi battono il pavimento, con passi incerti giunge fino al piano inferiore, il buio accompagna la sua avanzata, arriva dinanzi alla porta della sua stanza e innalza le nocche per battere sull'anta benché non sia necessario; la porta è schiusa e, prima di addentrarsi nella camera, inspira quel profumo che sa di casa. «Non riesci a dormire?» vorrebbe rispondere alla sua domanda, potrebbe gridargli "neppure tu, sei alla finestra, di spalle, a guardare una notte illuminata da poche stelle, dove le nostre solitudini si scontrano e si avvicinano inesorabilmente l'una all'altra, consapevoli che non potranno mai più fare a meno l'una dell'altra".

Avanza piano, le sue braccia esili agguantano i fianchi dell'amico che teme di perdere, «Ho paura di quello che potremmo essere, stanotte, però, tienimi con te».

Le loro falangi s'intrecciano e il letto di Austin accoglie i corpi dei due, stretti in un abbraccio. «Per troppi anni ho rincorso una vita che non mi apparteneva. La superbia che ha accompagnato i miei passi mi ha allontanato inesorabilmente da te. Avevo smesso di respirare, molto prima della scoperta della malattia. Per tornare a vivere, mi hai fatto respirare la tua di vita e adesso non posso più farne a meno. È stato allora che ho capito che quello che provo per te si chiama amore.»

Le sue parole la investono con la forza di un uragano: E anch'io so di amarti, lo so da quando mi tiravi le trecce, seduto nel banco dietro il mio, in prima elementare se vedevi che parlavo con un altro bambino. Lo so da quando t'intrufolavi, perché geloso, nella mia stanza se qualche amichetta di scuola veniva a giocare con me. Lo so da quando durante la gita in seconda media cacciasti dalla mia camera le altre ragazze cui la condividevo perché volevi dormire con me. Non lo chiamavo amore, non lo conoscevo il suo significato, l'ho scoperto solo quando ho temuto di perderti per sempre.

«Le parole che descrivono i miei sentimenti si fermano sulla bocca, Austin. Non possono uscire, non posso concedermelo. Non ora, quando quel che siamo è frutto di un destino che ci ha incatenato senza che lo avessimo scelto.»

Erano diventati cenere di un'amicizia infantile, avevano visto il loro rapporto logorarsi giorno dopo giorno e solo il sopraggiungere della notizia della malattia di Austin li aveva uniti nuovamente.

«Le aspetterò quelle parole, dovessi impiegarci tutta la vita, dovessi vivere altre mille vite. Dove sono sicuro che t'incontrerò di nuovo. E dove non permetterò alla mia vanità di allontanarmi da te.»

Trascorrono la notte stretti l'uno all'altra, senza dormire, aspettando un'alba che temono possa dividerli ancora.

I primi raggi di sole invadono la stanza di Austin, lei scivola via dal suo abbraccio e sussurra una promessa nel suo orecchio, ossia che nessun ostacolo si interporrà tra loro.

«Svegliati, pigrona!» lo squittio della madre interrompe il breve sonno in cui era sprofondata, «Ho preparato la colazione per te e Austin, vai a svegliarlo tu?» la donna si allontana solo dopo aver udito un mugolio di assenso dalla figlia.

Trisha indugia per altri dieci minuti, molteplici immagini scorrono veloci dinanzi ai suoi occhi, fotogrammi sfocati del sogno che affiora dalla sua mente: un uomo senza volto che stringe con possanza le braccia intorno al suo corpo, non pronuncia parola alcuna limitandosi a serrarle con gli arti il busto; il respiro le viene a mancare e torna a fiatare quando l'uomo si allontana fino a scomparire per sempre.

Si concede una lunga doccia per ottenere ristoro e tardare l'attimo in cui andrà da lui, infila i vestiti scelti come un automa, distratta dai pensieri che si sovrappongono e s'incastrano in un unico nome, ma l'incessante bussare alla porta del bagno la desta dalle sue riflessioni. «Tesoro, ti vuoi sbrigare? La colazione si fredda, va' a svegliare Austin!»

Sbuffa infastidita, esegue, però, gli ordini materni, certa che, altrimenti, la donna non la smetterebbe.

Bussa alla porta della camera dove ha dormito la notte precedente, ma non riceve risposta; comprende che anche Austin, come lei, si è addormentato all'alba. Entra senza aspettare ulteriormente, si avvicina alla finestra per scostare le tende che lei stessa ha chiuso prima di andar via, per impedire alla luce del sole d'infastidire il suo sonno.

«Buongiorno, ti conviene svegliarti prima che arrivi mia madre, non sarà gentile come me. Non tollera che disertiamo la sua ricca colazione», si volta appena per guardarlo mentre ancora dorme. Le lenzuola del letto sono sfatte ma nessun corpo vi giace, ispeziona l'intera camera con circospezione prima di notare Austin riverso, privo di sensi, sul pavimento del bagno.

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