Capitolo quattordici || eclissi di luna
«Che cosa succede...?» chiese la ragazza, assai confusa. Oltrepassò Arthur per capire perché si fosse bloccato di colpo e... oh. A pochi metri da loro la foresta si interrompeva bruscamente per lasciare spazio ad un lungo fiume, che li separava dall'altra parte della foresta. Come avrebbero fatto?
Tale corso d'acqua era all'incirca largo quarantacinque metri, spropositato! E non avevano ancora constatato quanto era profondo.
Leah non era una grande amante dell'acqua, sebbene se la cavasse molto bene in quasi tutti gli sport, per quanto riguardava il nuoto non si poteva dire la stessa cosa.
Quando era bambina, aveva rischiato di annegare nella grande piscina della scuola elementare durante una lezione, e da lì, lei aveva ufficiosamente chiuso con tale sport. Ogniqualvolta le sue due "amiche" del tempo le chiedevano di venire con loro al mare, lei ovviamente non poteva declinare, ma quando arrivavano in spiaggia lei preferiva starsene seduta sulla sabbia, a fissare l'orizzonte. E poi, l'acqua era fredda anche d'estate! Ci aveva provato una volta ad entrarci, ma era si era bagnata solo fino alle ginocchia, non sapeva come facevano le sue, ormai ex, amiche a farsi un intero bagno!
Forse era lei strana... lo aveva sempre pensato, e quell'episodio era uno dei tanti che lo confermava.
In ogni caso, per lei, attraversare quel corso d'acqua pareva un'impresa quasi impossibile, come avrebbero fatto? E poi, una volta usciti, con che cosa si sarebbero asciugati? Avrebbero dovuto cambiarsi, e poi si sarebbero dovuti cambiare le scarpe, non sapevano se l'acqua li avrebbe trascinati lontano, se essa fosse stata fredda, era solo metà aprile!
«E ora come facciamo ad oltrepassarlo?» chiese lei, probabilmente un po' presa dall'ansia del momento. Ci doveva essere un altro modo per passare. Dovevano per forza immergersi in quel lurido corso d'acqua?
Arthur, dal canto suo, non le rispose subito, ma riprese a camminare, per avvicinarsi meglio al fiume e analizzare meglio la situazione, aveva già in mente cosa fare, lo sapeva perfettamente. Aveva perso il conto di tutti i fiumi che aveva dovuto attraversare nel corso di quei tre secoli, per lui era un gioco da ragazzi, un piccolo problema. In realtà quella frase la aveva detta per avvertirla, per vedere la sua reazione. Non essendo più solo doveva rendere conto ad una seconda persona e farle da babysitter...
E da una parte, sperava che lei ci ripensasse, tornasse indietro e riprendesse l'autobus e poi altri mille, per tornare a Boston. E ancora più in profondità, aveva un po' di timore per lei, sicuramente non aveva mai affrontato questo tipo di prove, chissà come avrebbe fatto.
Già il fatto che glielo avesse chiesto con quella voce tremante non portava a nulla di buono, non voleva avere tra i piedi una ragazzina paurosa. Di per sé l'impresa non era affatto difficile, ma il minimo errore dettato da qualsiasi emozione sarebbe potuto essere stato pericoloso, e lui non aveva voglia di correre rischi.
Ma lei, doveva affidarsi a lui e basta, sennò conosceva - più o meno - la strada per tornarsene indietro. Le regole le dettava lui e così si sarebbe dovuto fare.
«Dobbiamo e basta. Senti, tu seguimi» esordì, dopo aver guardato per svariati minuti il luogo: non sarebbe stato difficile oltrepassarlo, se Leah avesse collaborato.
Quest'ultima, credeva quasi di non ricevere più risposta, talmente tanto tempo che il suo interlocutore era rimasto in silenzio. Ma cosa significava "tu seguimi"? Cos'era un cagnolino? Lei doveva avere certezze!
L'uomo, poggiò lo zaino sgualcito a terra e dopo averlo aperto ne estrasse una lunga corda rovinata.
«Sì ma non voglio rischiare la vita per...» commentò la giovane mentre lui legò la gomena ad un vecchio rampino.
«Vuoi rimanere qui?» spostò lo sguardo su di lei, impassibile, serio. Quegli occhi blu sembravano quasi perforarle le viscere. Non voleva rimanere lì. Voleva accompagnarlo, ovunque esso fosse andato, ad ogni costo. E poi, forse quella poteva essere la buona volta per affrontare le proprie paure. E sfidare se stessa.
Scosse la testa decisa.
Lui annuì.
Improvvisamente, lanciò il rampino a vuoto. Ma che cosa stava facendo? Voleva buttarlo in acqua?
Ma poi, la ragazza osservò meglio e, in mezzo al fiume c'era un masso, non troppo grande, ma grande abbastanza perché il rampino facesse presa in maniera solida, così da permetterne l'attraversamento, almeno fino a metà.
Successivamente, lui si legò la corda in vita, e porse la restante estremità a lei, che fece lo stesso.
«Allora seguimi e fai quello che ti dico, ah e vedi di non dare aria alla bocca» non era uno di troppe parole, non gli andava di spiegare tutto, odiava la teoria, e in quel momento era inutile, come la maggior parte delle volte. Bisognava solamente agire.
Leah lo aveva capito, e si limitò ad annuire. Niente fiato alla bocca... niente urla... niente di niente. Ce l'avrebbe potuta fare.
L'uomo si immerse nell'acqua torbida del fiume, senza alcun tentennamento. La giovane, invece, prese qualche secondo in più. Era profonda, se a lui arrivava alla vita, a lei come minimo avrebbe toccato il torace. Almeno, era abbastanza calma, magra consolazione.
Vedendo che Arthur la stava fulminando con lo sguardo, si decise ad entrare.
Era gelida!
Che odio, che odio. Era bagnata fino al midollo. E improvvisamente il suo respiro inizio a diventare affannoso. Entrare in acqua profonda, ovvero quando essa le arrivava massimo fino a sotto il seno, le metteva una strana agitazione. Il battito le accelerava, l'aria sembrava non arrivare più ai polmoni, come se l'acqua le opprimesse la cassa toracica, e come se non bastasse non riusciva a muoversi con agilità. Non vedeva l'ora di uscire da quella situazione.
Il suo compagno stava procedendo spedito, quasi correndo, come se lo facesse da quando era nato. E lei, invece, si muoveva a fatica.
Ma doveva farsi forza, e andare avanti, voleva per caso rimanere lì un solo minuto di più?
Sfidò la flebile corrente che le impediva di camminare dritta, per fortuna che era legata ad Arthur, sennò probabilmente sarebbe annegata.
Cercò di pensare a cose belle: suo padre, il centro di Boston, il suo libro preferito, la sua amica...
Quando chiuse gli occhi le sembrò quasi di avere queste cose davanti, e la sua andatura si vede assai più spedita.
In men che non si dica si trovava già presso il masso dove lui la stava aspettando quasi impazientemente.
Era arrivata a metà! Senza svenire o altro! Era una piccola grande conquista, avrebbe voluto esultare, ma l'impresa non era ancora completa.
«Aggrappati al masso» enunciò improvvisamente Arthur. In seguito a ciò, staccò il rampino da esso, e lo lanciò sulla sponda del fiume, ancorandola bene al terreno. Quell'ultimo tratto sarebbe stato estremamente facile.
Successivamente, procedette, e Leah, dopo un respiro profondo, lo seguì, avendo ormai trovato il modo di affrontare tale impresa.
L'uomo era ormai uscito, e aspettava solo lei. Ma, quando stava per puntare il piede sul bordo del fiume per salire, la terra si sbriciolò, e lei cadde in acqua.
Stava per morire, lo sentiva.
Il suo battito stava diminuendo, e stava immettendo numerose quantità d'acqua.
Ma, improvvisamente, una mano s'immerse nell'acqua e afferrò la sua, riuscendo così, a tirarla fuori, e a salire sulla terra ferma.
Ci volle qualche secondo perché la ragazza metabolizzasse quanto appena successo. Quella era la mano di Arthur, che la aveva tratta in salvo.
Lui aveva per un attimo avuto una lieve paura, che potesse succederle qualcosa, non sapeva se era per puro egoismo o altro, ma sapeva che era bene aiutarla.
Doveva avere qualche problema con l'acqua, a quanto pareva. Sarebbe stato un grosso intoppo questo, se non avesse superato questa sua fobia.
Ma dopotutto, l'importante era che stesse bene, anche se era una cosa che non voleva ammettere.
Lei era fradicia dalla testa ai piedi. Lo erano entrambi. Con la sola differenza che uno ne era completamente abituato, l'altra no.
«Grazie» proferì lei, ancora seduta sull'erba fresca, mentre lo guardava dal basso verso l'alto. Gli era davvero grata, e per la prima volta dopo tanto, iniziò a ricredere che in realtà non era poi così burbero e menefreghista come voleva dimostrare.
«Dai, asciugati e andiamo» si limitò a risponderle, mentre la squadrava dal basso verso l'alto.
No, forse era rimasto sempre uguale.
***
Fortunatamente, avevano trovato un posto adeguato nel quale accamparsi provvisoriamente, almeno finché non avessero trovato la famosa grotta, che secondo i calcoli di Arthur, era nelle vicinanze.
Era passato un giorno, ma di essa nessuna traccia. Quella stessa sera, alle undici, ci sarebbe dovuta essere stata l'eclissi di luna, e Arthur era furioso. Tutto remava contro di lui! Loro sapevano, sapevano che quella era la soluzione, e non volevano che lui la scoprisse, lo odiavano, sapevano che facendo quelle cose avrebbero dovuto perdonarlo per forza! E poi quella ragazzina gli aveva fatto rallentare tutti i piani, colpa sua e del fatto che andasse lenta come una tartaruga! Altrimenti avrebbe avuto più tempo per cercare e non sarebbe stato in questa situazione, solo, solo sarebbe dovuto stare fin dall'inizio!
«Se dici che non deve essere lontano, deve essere così. Non disperarti prima del tempo» cercò di rassicurarlo Leah. Sapeva anche lei che il tempo stringeva, ma non sarebbe stata la prima volta nel corso della storia che il risultato sperato arrivasse all'ultimo.
«Non abbiamo tempo! Tra poche ore ci sarà l'eclissi e noi saremo al punto di partenza se non troviamo quella maledetta grotta!» esclamò agitando in aria la mappa sgualcita.
«Beh, ma ci sarà un'altra eclissi nel caso in cui...»
«Sì, tra cinque anni! E io nel frattempo cosa faccio? Okay che ti sembra che io abbia tempo da perdere, ma dopo tre secoli qui c'è qualcuno che ha voglia di far muovere il tempo più velocemente» l'uomo riusciva sempre a smontare ogni sua parola, e lei non riusciva a farlo calmare, e questo atteggiamento la faceva innervosire. Tuttavia cinque anni erano molti, e neanche a lei faceva piacere aspettare così tanto. Ma dentro di sé sentiva che non erano tanto lontani da quel luogo.
«È anche colpa tua se siamo in questa situazione, se soltanto ti fossi mossa di più!» sputò le sue sentenze, con un'indicibile asprezza, accecato dall'ira.
«Volevi farmi morire scusa?! Sai che per me è la prima volta? Dammi un po' di tempo! Ma pensi che sia sempre colpa degli altri o prima o poi deciderai di farti un esame di coscienza?!» la giovane non ne poteva più di sentirsi attaccata da lui. Ne era davvero esausta, e aveva bisogno di stargli lontano per un po'. Prima o poi sarebbero arrivati alle mani, ne era quasi certa. E per evitare questo, o per rimandarlo il più possibile, aveva scovato una nuova tecnica: allontanarsi il più possibile da quell'essere.
«Senti, non voglio più sentirti, vado a cercare della legna per il fuoco, e nel frattempo vedi di darti una calmata» furono le ultime parole che la ragazza pronunciò prima di voltargli le spalle e addentrarsi nel bel mezzo della foresta. Più lontani, meglio per entrambi.
Era così tranquillo lì, niente liti, niente voce fastidiosa di Arthur, solo il canto di alcuni volatili spezzava un silenzio che altrimenti sarebbe stato totale.
Le fronde degli alberi le facevano ombra, coprendo il sole, lasciandone passare solo qualche raggio.
Una folata di vento la fece rabbrividire. Era così bella la primavera, una primavera che stava per lasciare spazio ad una splendida estate.
Continuava a procedere, alla ricerca di qualche legnetto, guardava attentamente a terra, ma non faceva altro che calpestare foglie secche, nulla di più.
Ma ad un tratto, dopo forse un quarto d'ora di cammino, si fermò bruscamente.
Quella davanti ai suoi occhi non era forse... una grotta?
Era camuffata da piccola altura, le piante la avevano coperta quasi completamente, e sembrava piuttosto grande come posto.
Poteva scommetterci la casa che quella era la grotta! Ne era assolutamente certa! Era come se lo sentisse dentro di sé. Decise di non entrare, preferiva farlo con Arthur, anche perché non sapeva esattamente cosa cercare.
Si mise a correre il più veloce possibile ed a urlare, mentre si dirigeva all'accampamento.
«L'ho trovata! L'ho trovata!!!!!»
L'uomo sentiva queste urla in lontananza, cosa aveva da fare scena?
Più la sentiva avvicinarsi più capiva, la voce si faceva più limpida... la aveva trovata, la grotta!
Andò in contro a dove proveniva la voce, e le venne incontro.
«La grotta?» aveva il fiatone, il cuore in gola.
«Sì, non sono entrata ma ne sono certa! È lei! Lo sento» replicò la ragazza all'uomo. Aveva le guance rosse dopo quella lunga corsa, ma gli occhi illuminati di una strana luce, che rifulse anche in quelli di Arthur.
L'uomo aveva tutti i motivi del mondo per non crederle non avendo le prove, per mandarla a quel paese come tutte le altre volte, ma sapeva che aveva ragione. Lo sentiva. Sentiva che aveva ragione, che ci aveva visto giusto. Lo sapeva ancor prima di vedere il posto. Ed eccola, la loro connessione. Sapevano entrambi di essere sulla strada giusta, senza dirselo, senza aver bisogno di conferme.
Il solo contatto di quelli occhi blu con quegli azzurri, non aveva paragoni. Non aveva esplicazioni. Niente poteva essere descritto, i loro occhi parlavano da soli, si connettevano da soli. Come tredici anni prima, e come avrebbero fatto in futuro.
Leah lo condusse nel posto indicato. Quando arrivarono, non esitarono un minuto di più ad entrare.
Arthur accese una fiaccola improvvisata con un accendino che aveva in tasca e un grosso ramo trovato a terra. Fece cenno a Leah di entrare, e stargli dietro, non dovevano separarsi.
Pian piano la lieve luce che era presente all'entrata scomparve dopo pochi passi.
Dentro era buio, quasi non si riusciva a vedere oltre al proprio naso.
L'uomo faceva luce con la fiamma, ma non era molta, necessaria solo a vedere cosa c'era scritto sul muro.
Ad un tratto videro delle iconografie.
«Oh...» si lasciò sfuggire la giovane.
Uomini con animali, uomini con armi, donne, bambini, strani esseri antropomorfi. Forse erano dèi. Chissà da quanti secoli si trovavano lì, e nessuno ne conosceva l'esistenza. Nessuno avrebbe mai più potuto leggerle, tranne loro. Loro forse sarebbero stati gli ultimi ad entrare lì dentro, gli unici nella faccia della terra a capirne le scritture, a riportare in vita un qualcosa che forse sarebbe stato ritenuto morto per sempre. Ma là, in quell'istante, era tutto tornato in vita. Quegli uomini parlavano, quelle donne tenevano in braccio i figli urlanti.
Il gruppo di uomini stava tenendo un rito sciamanico. Tutto era vivo. Vivo come Arthur, e Leah.
Era come se, entrambi, stessero vivendo lì, secoli e secoli addietro, in quella tribù. In quel luogo. A contatto con quelle credenze. Ma, vennero tirati fuori da questo stato di trance grazie alla voce di Arthur: «È questa».
L'iscrizione. Era davanti ai loro occhi.
Con la fiaccola fece luce sulle parole, scritte in una lingua apparentemente incomprensibile, ma che lui sembrava conoscere meglio della propria. Come faceva?
«"L'umano empio trarrà l'indulto per aver contravvenuto gli dèi, qualora si impegni a prestare giuramento, unicamente, quando, in cielo, la Luna verrà occultata. Solo allora i numi celesti accoglieranno la richiesta di perdono. Ma che l'essere umano rimembri: non sarà così semplice ottenere tale amnistia! Tre cose sarà costretto a compiere successivamente:
piantare la sacra ortensia davanti al tempio del dio Sole, il diamante illuminato da perenne luce viola, e il ciondolo della donna che con gli dèi conversa."» lesse tutto d'un fiato.
Entrambi, rimasero in silenzio. Ma mille pensieri si stavano accavallando nelle loro menti. Leah pensava che fosse una cosa quasi impossibile, e Arthur, stava già pensando a come trovare gli oggetti richiesti nel minor tempo possibile.
«Beh, non è poi così difficile come credevo. Alla fine sono solo tre cosette da trovare e per quanto riguarda la pena di vivere una vita piena di disgrazie, direi che non è un mio problema visto che la sto già vivendo. Di conseguenza, come sempre non ho nulla da perdere, un motivo in più per iniziare le ricerche» proferì Arthur, alquanto tranquillo, una volta uscito dalla grotta.
Non aveva mentito infatti: non aveva nulla da perdere e tutto da guadagnare. Sperava, che almeno quello lo avrebbe portato al perdono divino. Ma internamente temeva, che quella fosse la sua ultima opportunità. Ne aveva provate migliaia, invano... o questa o nient'altro.
«È comunque una bella sfida» replicò la ragazza, alquanto intimorita dalla mole di difficoltà che avrebbero dovuto affrontare, e il tempo immenso che avrebbero dovuto metterci. Per lui non valeva nulla, ma per lei il tempo passava, eccome...
«Sì, ma nulla di insuperabile» minimizzo l'interlocutore; povero illuso che era quell'uomo!
«Ora però dobbiamo fare un falò, in vista di stasera, dove io presterò giuramento agli dèi. Dovremo metterlo qui davanti alla grotta. È anche il posto perfetto per vedere il momento esatto dell'eclissi» concluse, prima di darle le spalle e dirigersi all'accampamento.
Dopo alcune ore e l'intero accampamento spostato sotto ordine dell'uomo, i due, erano pronti al giuramento. O perlomeno, Arthur lo era.
Erano quasi le undici, e i due avevano il naso puntato verso il cielo, in attesa del momento.
C'era già tutto l'occorrente. Il testo era ben impresso nella mente dell'interessato, sapeva esattamente cosa doveva fare e dire.
Ed ecco, alle undici in punto che la luna, sola, luminosa nel blu scuro del cielo senza nubi, quasi scomparve assumendo un colore rossiccio, coperta dall'ombra della terra. Uno spettacolo mozzafiato, da ammirare per ore ed ore, se solo non fosse stata una questione di vitale importanza agire in quel momento.
Il fuoco, a terra, ardeva e bruciava ogni ramoscello che incontrava sul suo cammino, lo faceva tanto velocemente che dovettero alimentarlo più volte. La luna era esattamente del colore del fuoco, sembrava ardere e bruciare proprio come esso.
Leah guardò il cielo, e poi Arthur, e poi di nuovo il cielo.
«È ora.»
L'uomo annuì, prima di quasi urlare testuali parole: «Invoco il perdono degli dèi immortali, io, peccatore terreno, colpevole di essere contravvenuto ad una legge divina! Ho mancato di rispetto agli dèi, e chiedo il loro perdono. Prometto di trovare il diamante illuminato da luce viola, il ciondolo della donna che conversa con gli dèi e di piantare la sacra Ortensia davanti al tempio del dio Sole, come prova del mio pentimento!»
E quando finì di pronunciare tali parole, si alzò una folata di vento, nel cielo notturno di Aprile. Un vento freddo, pungente. Ma Arthur sembrava quasi non essersene accorto.
A Leah per un momento parve di sentire come una forte presa addosso. Come se qualcuno la stesse bloccando. Cercò di dimenarsi, invano. Era Lui. Con tutto il suo impeto, la sua potenza. Pronto a scagliarsi contro quell'indifesa ragazza di diciannove anni, che tanto detestava, e che pur impegnandosi, riusciva solamente a flettere come un giovane arbusto, ma non a spezzare, come avrebbe desiderato.
Aveva ascoltato la richiesta di Arthur. Ma non era intenzionato neanche a prenderla in considerazione. Tuttavia, questo, i due non lo potevano sapere. Speravano ancora, di potergli far cambiare idea.
E così, come quel vento era venuto, se ne andò. Leah si liberò da quel senso di soffocamento che aveva sentito poco prima. Cadde a terra, gli occhi spalancati. Cosa le era appena successo? Ma certo, sapeva già la risposta. Era stato lì. E glielo aveva fatto capire, ma per nulla in maniera amichevole. Sentiva che, lui la voleva fuori da quella situazione, che aveva capito che dovevano sbrigarsela solamente lui e il diretto interessato, e al tempo stesso le aveva fatto capire di essere inutile lì. Non era ben accetta.
«Tutto bene?» Fu l'unica cosa ce lui riuscì a chiedere dopo che si era catapultato verso la ragazza, preoccupato. Cercò di alzarla dal terreno. La guardò negli occhi. I due sbatterono le palpebre all'unisono. Lui era ancora colmo di adrenalina, non era riuscito a metabolizzare il tutto. E la situazione critica della compagna non lo stava rassicurando.
«Credo che il dio di cui parli sia a conoscenza del tuo intento. Ha ascoltato tutto» quasi sussurrò, un flebile vocìo. Il tutto prima che chiudesse gli occhi. Svenne, tra le braccia dell'uomo.
Quella notte la sola luna rossa fu testimone di tale avvenimento, che sembrava quasi sorridere beffarda davanti alle figure impotenti dei due.
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