Capitolo cinque || sembrava un giorno noioso...
Leah non riusciva a smettere di pensare a quello strano sogno che aveva fatto la notte appena trascorsa.
Era ancora talmente vivido nei suoi pensieri che non pareva neanche un sogno, siccome solitamente lei se li dimenticava dopo poche ore.
Eppure non riusciva a togliersi dalla testa quella visione di quelle dodici bellissime ragazze, che danzavano. La bellissima fanciulla che sembrava essersi innamorata. Soprattutto non riusciva a smettere di soffermarsi a pensare a quella canzone in quella lingua sconosciuta. Ma perché sognarsi un qualcosa che non aveva mai sentito?
O forse era colpa di quel canale che il giorno prima aveva selezionato per caso, nel quale facevano un programma interamente in arabo?
Probabilmente allora quella lingua incomprensibile era proprio l'arabo, che lei aveva sentito di sfuggita. Di una cosa era certa: nei sogni non si vede mai nulla che non si è già visto o sentito nella realtà. Secondo il suo pensiero, anche i sogni cosiddetti "premonitori", in realtà sono lo specchio di azioni già vissute o immaginate. Nulla accade per caso.
Ogniqualvolta si fermava a riflettere al finale improvviso tanto quanto terrificante, la sua mente si soffermava su quegli occhi blu che le avevano dato tanta serenità, come se gli avesse già visti in passato.
Non le erano nuovi, questo era poco ma sicuro. Così penetranti, intensi.
Immediatamente sobbalzò. Era quasi caduta dalla sedia della cucina. Certo! Ora ricordava, tutto.
La stazione dei treni, ad un tratto una confusione immensa, la gente ammassata, la paura di perdere il padre, Bobby stretto a sè.
E poi, lo Sconosciuto.
Come aveva potuto non averci pensato prima? Quegli occhi che avevano creato una perfetta connessione con i suoi, come se stessero comunicando. Il disprezzo infondato che le persone provavano per lui. E La comprensione provata per egli.
E poi, i poliziotti che lo avevano ammanettato. Suo padre che era tornato a riprenderla, e tutto magicamente era sparito dalla sua vista. Nessuno capace di darle una risposta, e il senso di colpa di non aver fatto nulla per aiutarlo.
Quel magone era durato giorni, a dire il vero. Ma il pensiero di quella scena non se ne era mai definitivamente andato dalla sua memoria, sebbene fosse ancora una bambina e gli anni passati erano ormai tredici.
Da quel momento quella scena la aveva velatamente accompagnata per tutta la vita, nonostante tutte le esperienze negative che ella aveva passato, e che avrebbero potuto facilmente sotterrare quel ricordo.
Tuttavia, c'era qualcosa di inspiegabile che la teneva legata a quella memoria. Ma non sapeva darsi delle risposte. Era più forte di lei.
Dunque, ecco spiegata almeno una delle tante immagini che si era sognata, le mancavano "solamente" le altre.
Oh, ma perché si ostinava a cercare sempre una risposta a tutto? Era un vizio che aveva da sempre, e infatti, ecco dove la aveva portata molteplici volte.
Prese il piatto vuoto e il bicchiere, lo ripose nella lavastoviglie, per poi chiuderla e accenderla. Frank aveva finito prima di lei, ed a quest'ultima spettava quindi il compito di sparecchiare le sue cose.
Passò per la cucina, e giunse in salotto. Frank era andato a riposare in camera sua, e il negozio sarebbe rimasto chiuso fino alle tre. Aveva ancora un'ora abbondante, siccome la lancetta delle due non era ancora scoccata.
Decise di accendere la tv, nella speranza di smettere di mettere in pausa i suoi pensieri.
***
Le lancette sembravano non muoversi mai, sempre ferme lì, alle diciotto. Erano così snervanti le giornate che passavano così, nessun cliente, niente di niente. Solo lei e suo padre. Si appoggiò il bancone con le mani sotto il mento, come se la sua testa pesasse.
«Leah, ma cos'è tutto questo sbuffare? Non ti obbliga mica nessuno a stare qua, piuttosto che sentirti sbuffare per l'ennesima volta, vai pure via.» Frank Si rivolse alla figlia, mentre stava mettendo a posto uno scaffale. Si stava leggermente infastidendo dal suo comportamento. Non la aveva mai obbligata ad aiutarlo al negozio, la vita era sua, e non era necessariamente costretta a seguire le sue impronte. Era proprio questo che non capiva... perché aveva deciso di aiutarlo, se poi proprio durante i giorni più "morti", non riusciva a sostenere un turno di quattro ore?
«No. E se entrasse qualcuno? Tu sei impegnato, devo darti una mano. Non sbufferò più, promesso.» sorrise infine. La realtà era che il suo inconscio si era auto convinto di stare aspettando qualcuno. Come se fosse un'azione totalmente incontrollata, un segnale che le era arrivato dall'esterno le diceva "tieniti pronta". Ma lei sapeva che non era così, era solo una sua stupidissima convinzione senza fondamento. A volte le succedeva di avere questi momenti particolari, e quello, a quanto pareva, era il giorno delle stranezze.
Ad un tratto il campanellino della porta suonò. Era entrato qualcuno! La ragazza sobbalzò, il cuore le batteva a mille. Come se fosse entrata una star di Hollywood, le sue dita ticchettavano sul bancone impazientemente. I suoi muscoli erano più tesi che mai. Iniziò ad agitarsi. Aveva quella strana sensazione che i suoi presentimenti si stessero per avverare, che d'ora in poi la sua mente si sarebbe liberata da quella sensazione di "sull'attenti" che la attanagliava.
«Buongiorno.»
Riconobbe subito quella voce così flebile: la signora Agatha. La sua vicina di casa. Era un'anziana signora, la considerava quasi come se fosse sua nonna, e in fondo un po' lo era. Quando era piccola e Frank non riusciva a starle dietro a lavoro, perché troppo impegnato con il negozio, la lasciava per un paio d'ore alla cara vecchia Agatha, che con enorme piacere le faceva compagnia, e la cosa era reciproca.
La signora era rimasta quasi sola, il suo unico figlio non aveva nipoti e si era trasferito poco lontano da Boston, mentre suo marito era venuto a mancare quando entrambi avevano sui cinquant'anni.
Il padre di Leah non poteva esserle più riconoscente, e la donna era dello stesso avviso: finalmente aveva trovato dei cari amici con cui passare il tempo, e una bambina che colorasse le sue noiose giornate.
Nonostante Leah fosse cresciuta, i rapporti non erano mutati, anzi, la considerava ancora la nonna che non aveva mai avuto, e quando si ritagliava un poco di tempo libero, la andava spesso a trovare.
Agatha dal canto suo, grata di questo rapporto che si era creato tra di loro, ogni tanto, regalava ai due una delle sue deliziose torte fatte in casa, ed entrambi non potevano proprio rifiutare.
«Ciao Agatha!» esclamò Leah, cercando di celare la sua leggera delusione.
E così per la seguente mezz'ora rimasero tutti e tre a parlare del più e del meno, nel frattempo era entrato un solo cliente a comprare un trapano.
Quando l'anziana signora se ne fu andata, mancavano solamente trenta minuti alla chiusura, per la contentezza della ragazza. Era sfinita, sfinita anche senza aver fatto nulla. Strano vero? Indicibile. Ciononostante, aveva ancora quella strana sensazione che la opprimeva dicendole che sarebbe dovuto succedere qualcosa, da un momento all'altro. Non riusciva proprio a scacciarla dalla testa.
I seguenti venticinque minuti passarono a fatica, era quasi ora di chiudere.
«Puoi occupartene tu a chiudere? Io devo ricevere la chiamata dall'azienda di lampadine, domani dovrebbero arrivare e andrò personalmente a consegnarle a Cust.» chiese Frank a sua figlia. Anche per lui la giornata non era stata delle migliori, soltanto la chiamata di quell'azienda avrebbe potuto tirarlo su di morale. Quasi nessuno era entrato a comprare qualcosa, a differenza delle giornate scorse, questa, era davvero infruttuosa.
«Sì papà, non ti preoccupare. Adesso sistemo le ultime cose e chiudo.» replicò lei.
Il padre sparì magicamente a casa, e lei rimase sola nel locale.
"Che silenzio" pensò. In quell'istante non era passata nessuna macchina, c'era un silenzio tombale, e una pace incredibile.
Uscì e Decise di andare a chiudere la saracinesca.
«Ecco vedi stupido cervello, se soltanto iniziassi a non darmi noie... non è successo nulla.» brontolò tra sé e sé mentre cercava la chiave del lucchetto per chiuderla.
«Scusi... state chiudendo?» una voce profonda, decisa, la scosse dai suoi pensieri fatti ad alta voce.
Leah trasalì. Mille brividi le percorsero la spina dorsale, e una strana sensazione di tranquillità prese possesso della sua mente, come se fosse stata accontentata in qualche modo, come se quello che stava aspettando fosse finalmente arrivato, anche se quel qualcuno non lo aveva mai visto, anzi mai sentito. La voce non le ricordava nessuno, eppure le era così famigliare...
Aveva quasi il suo respiro sul collo.
Si girò di scatto, e non potè credere a chi aveva davanti. Le gambe le stavano per crollare, come un castello di sabbia, il fiato si era accorciato, per la enorme sorpresa che era apparsa davanti di lei.
Era, no, non poteva essere, e a quanto pare sì.
Che brutti scherzi che le giocava l'immaginazione! Scosse leggermente la testa.
Si concesse due secondi per riprendersi dallo sbigottimento, e i suoi occhi si immersero "per sbaglio" in quelli dell'uomo, in quel blu oceano così particolare, intenso, come se proprio le onde dell'intero Pacifico fossero intrappolate nei suoi occhi. Erano davvero particolari e, doveva ammettere, misteriosi.
Non poteva essere altri che lui, sì, ne era certa: lo Sconosciuto era proprio davanti ai suoi occhi.
Ma come faceva ad essere lui?! Era uguale a tredici anni fa!! Neanche mezza ruga, un capello bianco. Lo stesso viso, la stessa corporatura. Gli stessi capelli neri, la barba assente. Su di lui era come se il tempo si fosse fermato per sempre. Il suo aspetto era identico, proprio come se lo ricordava. In un nano secondo tutte quelle sensazioni provate quel lontano cinque marzo del 2005, si ripresentarono: comprensione e poi, quella strana energia che le pareva lo legasse a lui. Eccole davanti a lei, tutte le domande senza risposta che si era posta dopo che si era allontanata da lui quella mattina.
Le venne subito in mente quel sogno che aveva fatto da poco. Erano indubbiamente i suoi occhi. Ora che ce li aveva avanti non aveva più dubbi. Perché li aveva sognati proprio in quel momento? Forse c'era un collegamento? Un segnale?
Baggianate, solo pure casualità.
«Sì, ma se vuole può entrare.» non poteva lasciarselo scappare, doveva assolutamente averlo sotto gli occhi per un po', e magari riuscire a capirne qualcosa sul suo conto.
Chissà che cosa gli era capitato in quei tredici anni, se la polizia lo avesse rilasciato, o peggio, lo avesse arrestato. Il suo reato, e perché tutti lo ignoravano?
«Grazie.» rispose. Anche lui, quando quella ragazza dall'aspetto mediocre, si era girata, aveva riconosciuto in quegli occhi azzurri una certa famigliarità. Certo, Leah, a differenza sua, era cresciuta, e per lui era molto più difficile collegare l'immagine di una bambina a quella di una giovane donna basandosi solo ed esclusivamente sugli occhi, tuttavia in quella figura così ordinaria, era riuscito a riconoscere la sua straordinaria unicità.
Quel collegamento sovrumano che aveva sentito anni prima, era ricomparso, pareva che le forze dell'universo li unissero, e che entrambi, in realtà si conoscessero oltre a quell'episodio, dove i loro volti, di certo non erano così vicini come in quel momento, e le dinamiche erano differenti. Erano Come due vecchi amici, o un'anima divisa a metà...
Ma proprio tramite a quella particolare sensazione, che mai aveva provato, era riuscito a riconoscere quella bimba che lo guardava così intensamente quella mattina, col suo orsetto stretto stretto, e quegli occhioni azzurri, mentre lui stava per essere preso dagli sbirri.
Sentiva che lei, era diversa. Come se riuscisse a comprenderlo in qualche modo, e viceversa, a discapito dell'intera umanità che lo disprezzava, anche se le prime parole che si erano scambiati erano avvenute solamente in quell'istante. Come spiegare lo stupore di sentirsi collegati a qualcuno con il quale apparentemente non sembra esserci alcun tipo di giunzione?
Perché mai dopo tutti quei decenni avrebbe dovuto anche solo pensare di comprendere un essere umano che non fosse stato lui?
Era giunto lì per caso in realtà, gli serviva una padella, perché la sua unica gli si era rotta, non si aspettava di certo di trovare quella bimba, o meglio dire, giovane donna.
Entrambi erano assorti nei loro pensieri, cercando di dare una risposta a quella scossa improvvisa. A quella comunicazione che avveniva attraverso le loro menti. Ma non riuscivano a capacitarsene, e quindi cercavano di non darlo a vedere. Nessuno osò affrontare l'argomento, d'altronde che cosa avrebbero potuto dire?
Leah lo fece entrare, e aspettò che prendesse ciò che gli serviva. E se fosse stato una specie di stalker? Come aveva fatto a trovarla dopo tutti quegli anni? Boston era grande... o forse neanche troppo visto che il giorno prima aveva visto il suo ex. Lui sicuramente la aveva riconosciuta, era come se lo sentisse.
Si fermò a pensare a come era vestito: di certo non era troppo benestante, aveva i vestiti leggermente sgualciti, portava la giacca benché fosse aprile, e pure le scarpe da montagna, che erano forse vecchie di anni.
«Scusi, ma non avete le padelle in acciaio inox?» chiese improvvisamente.
«No, abbiamo solo quelle in alluminio rivestite in ceramica, ma dobbiamo riordinarle e arriverebbero dopodomani mattina. Gliene metto una da parte.» la ragazza cercò di dimostrarsi il più docile possibile, anche se avrebbe voluto riempirlo di domande, ma non poteva. Doveva cercare di convincerlo a ordinare quelle dannate pentole. In qualche modo però, sentiva che quell'anima fosse assai sfuggevole, e quindi doveva fare con cautela se voleva estorcergli le informazioni necessarie.
Quella, era certa, non sarebbe di certo stata l'ultima volta che lo avrebbe visto. C'era un motivo se entrambi si erano rivisti, e no. Lui non poteva essere uno stalker, non sembrava affatto il tipo. Anzi, sentiva che anche lui fosse alquanto sorpreso di averla rivista.
«Beh allora non vorrei disturbarla ulteriormente, mi dispiace per il disturbo, ma...» forse era meglio andarsene, soprattutto perché non riusciva a sopportare quell'energia che si era creata tra di loro. Anche perché, come avrebbe mangiato il giorno dopo senza padella? Ma soprattutto, perché quella ragazzina insisteva? Come mai non lo aveva snobbato e subito dopo liquidato, come avrebbe fatto chiunque dopo averlo visto? Tutto ciò era molto strano, ci conviveva da quasi tutta la sua esistenza con quel tormento, tanto da farci l'abitudine.
E invece, una giovane commessa vista per caso un decennio prima, sembrava davvero interessata alla sua persona.
«No!» esclamò Leah, forse con troppa irruenza, e se ne accorse, poiché subito dopo si ricompose «Cioè, emh, no... non si preoccupi. Anzi, sarebbe un piacere accontentarla. Venga, così intanto mi segno.» sorrise accomodante.
L'uomo, anche se non voleva, la seguì, come se le gambe camminassero da sole. Gli serviva quella maledetta pentola, e anche subito, dannazione! Ma non riusciva ad uscire da quel negozio.
«Se vuole gliela recapitiamo pure a casa. Mi dica pure l'indirizzo.» doveva tenerselo stretto a tutti i costi, doveva e ardeva dal desiderio di sapere qualcosa in più su di lui. La consegna a casa, in realtà non era contemplata, a meno che non ci fossero ordini importanti, se Frank la avesse sentita l'avrebbe messa alla gogna, ma per lo Sconosciuto questo ed altro. Inoltre la consegna la avrebbe fatta personalmente lei, ovviamente.
L'interlocutore sbiancò improvvisamente. Che diamine stava succedendo? Consegna a casa? Certo! Via della speranza n° duemilaecredici.
«No, no. Vengo a ritirare tutto io.» rispose, sulla difensiva. Come se qualcuno lo avesse violato.
«Okay. Allora mi serve solo il suo nome.» perché rifiutare la consegna a casa? Certa gente era davvero stramba...
Peccato però. Ma almeno avrebbe saputo il suo nome, dopo anni.
«David Brown»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro