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7

Quanto di più difficile

[Marinette]





Era accaduto tutto troppo in fretta: un attimo prima stava riflettendo sulla domanda che Chat le aveva posto, l'attimo dopo la stanza aveva iniziato a ruotare su se stessa. Davanti a lei pareva ora esserci, non più un solo cumulo di coperte, ma ben tre.

Il ragazzo aspettava una risposta, lo sapeva bene, eppure Marinette sembrava essere fin troppo dimentica degli avvenimenti subito precedenti al presente per potersi concentrare sul discorso che avrebbe voluto articolare.

Stava per comunicare al compagno il proprio malessere, poiché non voleva credesse che il silenzio in cui regnava la camera fosse causato da una mal disposizione nei suoi confronti. Poi la situazione peggiorò. 

Sporse il busto in avanti, così da appoggiarsi più saldamente al letto.

Un dolore acuto la colpì improvvisamente all'altezza della nuca, come fosse stata punta da due insetti nello stesso istante, sia dal lato destro che dal sinistro. D'istinto, portò le mani sulle orecchie, ritraendole subito dopo, spaventata e confusa: erano i suoi orecchini – il suo Miraculous – a bruciare.

Socchiuse gli occhi, mentre il calore del ferro pareva intensificarsi ancor più. Una strana fitta le colpì il torace, le gambe, le braccia.

«Tikki!», chiamò, terrorizzata da ciò che le stava accadendo e dalle conseguenze che un simile evento avrebbe potuto avere sulla kwami.

Il Miraculous non funzionava più? L'aveva forse rotto? I lobi bruciavano, così come il collo; una debolezza innaturale le avvolgeva le membra. Possibile, si chiese, che non le fosse concesso di riposare nemmeno per un istante?

Percepì appena la flebile vocina della coccinella che le rispondeva: «Mar- Ladybug!».

«Tikki, Plagg, cosa sta succedendo? Cosa ha Ladybug?».

Il fuoco si espanse e un sibilo di dolore si fece largo dalla bocca tremante della giovane, il labbro inferiore intrappolato con violenza fra i denti. Sentiva le forze venirle meno.

«Deve aiutarla, Chat Noir!».

«Cosa? Come? Che devo fare?».

«Parlale, è lì accanto a te», intervenne Plagg. «Tikki non può avvicinarsi a lei in questo stato».

«Ma Plagg-».

Chat, tuttavia, sembrava aver messo da parte la discussione tra i due kwami.

Marinette si accorse concretamente di lui solo quando arrivò a scuoterla per le spalle. Allora sussultò, spalancò gli occhi chiusi senza consapevolezza. Tentò di allontanarsi per cercare un modo di sopprimere il dolore, la respirazione più frettolosa del normale e le ciglia bagnate.

Lui non glielo permise. «My lady, per favore», supplicò. «Dammi la possibilità di aiutarti».

Le parole le uscirono dalle labbra prima che potesse rendersene conto, eppure, paradossalmente, con una fatica immane. «Il Miraculous», sputò finalmente lei tra i denti. «Sta bruciando».

Vide quella che doveva essere la mano del ragazzo avvicinarsi all'orecchio destro e seppe che anche lui aveva percepito il calore improvviso quando si ritrasse di scatto. Lo sentì deglutire, poi interpellare nuovamente il kwami della Fortuna.

«Io non credo di saperlo», pigolò quell'ultimo. «Mi dispiace tanto».

«Okay, va bene lo stesso Tikki», rispose Chat, il tono che lasciava trapelare una parte del nervosismo. «Passerà, My Lady. Ti giuro che passerà. Devi essere forte come solo tu sai esserlo un altro po', okay? Anche se per te non sarà il massimo — lo interruppe un riso agitato — prova a concentrarti sulla mia voce».

La ragazza lo rimbeccò brevemente, portandosi le mani sulla fronte.

«Ecco, così ti voglio. Prendi dei bei respiri», continuò lui. Incominciò poi a inspirare ed espirare, in modo tale che anche lei potesse seguire l'esempio, le mani sempre ben ancorate sulle sue spalle.

La presenza di Chat Noir, constatò, aveva su di lei come un potere calmante e ciò, per quanto naturale si stesse rivelando, le mise addosso uno strano senso di colpa.

«Pensa a qualcosa per distrarti, qualcosa di piacevole».

Era ovvio credere che le sarebbe venuto naturale volgere la propria attenzione su fantasie riguardanti il giovane Agreste: appariva normale, dopotutto, un'abitudine. Quando però fece per visualizzare il suo volto, un altro viso ben conosciuto, quello di Chat, le si parò davanti, con tanto di maschera e orecchie da gatto. In realtà, non riusciva a vederlo. Poteva solo intuire la forma confusa del suo volto, il profilo degli zigomi e la mascella leggermente pronunciata; la linea dritta del naso, le labbra stese sopra la dentatura ben allineata.

Il super-eroe s'era infiltrato senza poche pretese fra le pieghe della sua mente, surclassando quasi il compagno di classe e mandandole la testa in...

In sovraccarico.

«Ho capito», balbettò, stringendo gli occhi quando il bruciore si mostrò più forte che mai.

Fece per parlare di nuovo ma, scostandosi con un movimento brusco, gli orecchini che portava finirono per sfiorare inavvertitamente il Miraculous del ragazzo. Non le era chiaro come fosse successo, la parte di tessuto che avrebbe dovuto coprire l'anello era scomparsa nel nulla: al suo posto, un foro di piccole dimensioni dai bordi nerastri.

Lampi. Luce improvvisa, accecante.

Marinette percepì il corpo balzare indietro contro la propria volontà. Strinse i denti.

Silenzio, poi la voce di Plagg, incerta e sorpresa: «Nooroo?».

Cosa?

Se si guardava intorno, poteva notare con chiarezza le conseguenze che quella strana esplosione aveva portato con sé, dal letto innaturalmente girato su un fianco alla figura, ormai quasi completamente priva di una copertura che la rendesse irriconoscibile, affianco ad esso.

Quasi si aspettava che, da un momento all'altro, qualcuno si introducesse nella camera, poiché era probabile che tutti quei rumori sospetti avessero attirato fin troppa attenzione. Ciò, con sua grande sorpresa, non accadde.

Distolse lo sguardo, impedendosi di concentrarsi troppo sui lineamenti eccessivamente familiari del partner, catalizzando l'attenzione sulla figura minuta che stava a terra.

«Il kwami della farfalla», sussurrò Marinette, a voler dar conferma, concretizzare le proprie teorie. 

Fece per avvicinarglisi, mentre quello socchiudeva gli occhi, stanco come Tikki dopo l'uso del Lucky Charm, e ritrovò più potente di prima il dolore alla caviglia e alla spalla. A compensare, però, s'accorse di non sentir più alcun tipo di fastidio alle orecchie e ne rimase immensamente grata: il Miraculous era salvo.

«Il kwami di... Papillon? Cosa ci... Perché è qui? Come può essere? Non dovrebbe essere con lui?». Fu Chat Noir a porre quelle domande, ma incarnò null'altro che l'eco dei suoi stessi pensieri. 

Non aveva risposte da dargli, nessuna rassicurazione o consiglio. Non poteva nemmeno guardarlo. Appariva tutto fin troppo privo di logica. Di nuovo, le sembrava d'essere tornata nel covo di Papillon, mentre tutto continuava a sfuggirle di mano.

«Gabriel Agreste è scomparso». Lo disse prima che qualcosa potesse frenarla dal farlo, prima che avesse modo di pensare alle conseguenze.

Credeva, chissà perché, che Chat già ne fosse a conoscenza, eppure il pensiero di ciò che era accaduto gridava troppo forte nella sua mente: impossibile trattenerlo ancora.

«È colpa mia. L'ho ucciso io».

Silenzio.

 «No», la negazione arrivò più decisa di qualunque altra risposta si sarebbe mai aspettata: nessun rimproverò, né la tristezza né il disgusto che sarebbero potuti risultare normali. «Non è possibile». 

Lo sentì stroncare brutalmente la frase, incapace di concluderla.

«Chat...».  

Non faceva quasi più caso al freddo del pavimento, la stanchezza delle membra.

«No. È impossibile».

«L'ho ucciso», ripeté lei, le sopracciglia aggrottate, Nooroo ormai sui palmi delle mani. Non si era mai sentita tanto debole. «È morto tra le fiamme di quell'incendio, bruciato assieme a tutto ciò che resta di Villa Agreste. Suo figlio è sparito da allora ed è praticamente certo che anche lui abbia fatto la stessa fine. Lo dicono tutti: le televisioni locali, quelle nazionali; i giornali e perfino i passanti. Il sindaco stesso ha fatto le sue condoglianze — condoglianze, non rassicurazioni sulle ricerche ancora in corso — agli amici e compagni di scuola del ragazzo.
Era in casa, forse nella sua stanza a giocare ai videogiochi, a leggere qualcosa o chissà cos'altro, aspettava che qualcuno lo salvasse, magari. Ma non c'era nessuno, lì. Io stavo combattendo contro il suo stesso padre, senza nemmeno saperne la ragione. Sono morti, li ho uccisi». 

«Noi stavamo combattendo, non tu. Noi. Adrien è vivo, potrebbe esserlo anche Gabriel».    

«Hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto? Sono morti, nessuno potrà riportarli indietro».

«Dobbiamo andare dal Maestro Fu, Tikki, lui potrebbe saperne più di noi su questa storia».    

Marinette sgranò bocca ed occhi, sbigottita. «Sono morti», ribadì, una nota isterica nella voce distorta. La testa le pareva tanto leggera da farla sentire inconsistente.
«Sono morti, sono morti entrambi!».

Nel mentre, il ragazzo s'era alzato a fatica, aveva chiesto al proprio kwami di trasformarlo.

«Ladybug», pronunciò quindi, ben attento a tener gli occhi chiusi. «Ti affiderei la mia stessa vita, l'ho già fatto. Questa volta però devi fidarti di me. So quel che dico».

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