Prologo
Roma, 30 ottobre 2020
Antoine de Saint Éxupery, l'autore del celebre libro "Il Piccolo Principe", diceva che chi è felice ha un cielo pieno di stelle che sente ridere, e non gliene importa che gli altri lo credano pazzo: è passato un anno da quando il mio, di cielo, è diventato piuttosto affollato.
Mi chiamo Anita Cecchi e sono un'artista del pane, modestamente parlando: so cucinare qualsiasi cosa, specialmente prodotti da forno, ed è grazie a questi ultimi che la mia vita è cambiata, e che ho conosciuto quello che oggi è il mio grande amore.
Eppure un anno fa non mi sarei mai immaginata né di intraprendere una carriera internazionale, né di essere di nuovo felice; la mia storia infatti comincia con un divorzio, avvenuto il 29 ottobre del 2019.
Sono stata sposata per cinque anni con Giuseppe Lojacono, insegnante di educazione fisica di origini siciliane, ma nato e cresciuto a Centocelle, un quartiere popolare della periferia est di Roma; ci siamo conosciuti all'università La Sapienza: lui frequentava lo IUSME, io la facoltà di Economia; vivevo in affitto in una graziosa stanza a Piazza Bologna e non ero molto abituata al caos della grande città: sono nata a Firenze e ci ho vissuto fino ai diciannove anni, ma la verità è che all'epoca scappai letteralmente dalla mia famiglia; i Cecchi infatti sono una delle più importanti famiglie dell'alta borghesia fiorentina: mio padre Arnoldo possiede una catena di ristoranti sparsi in tutto il Centro Italia; mia madre Arianna ha origini nobili e non ha mai potuto soffrire le mie scelte, facendo continuamente i paragoni con mia sorella minore Emma detta "la figlia perfetta", quella che era rimasta a Firenze e aveva sposato il fidanzato storico Fabrizio Bottai, anche lui appartenente alla crema della città.
Quel mondo immobile pieno di regole non scritte mi infastidiva, perciò finito il liceo me ne sono andata e dopo cinque anni di fidanzamento ho deciso di diventare la signora Lojacono: sognavo un uomo che mi amasse per le mie qualità e non per il mio cognome, una vita magari ordinaria che però non mi avrebbe mai soffocata, e una famiglia semplice residente in un quartiere popolare che tuttavia non sarebbe mai stata intrappolata in certi schemi; per questo appena conobbi la mia ex suocera Assunta, vedova dell'amatissimo marito Gaetano, la sua numerosa famiglia e il resto della gente di Centocelle mi trovai subito bene: erano persone semplici, con abitudini lineari e le mentalità magari un po' basiche, ma che non li avrebbero mai tormentati.
E invece i cinque anni di matrimonio con Giuseppe e la convivenza con la sua ingombrante tribù sono diventati progressivamente un incubo: io casalinga mi ci ero fatta volentieri, per scelta e non perché me lo avessero imposto, ma nessuno di loro mi è mai stato grato per questa mia dedizione; il mio ex marito, da ragazzo gentile e premuroso che era durante il periodo del nostro fidanzamento, si è trasformato in un essere dispotico e sgarbato, a cui non è mai andato bene praticamente niente di quello che facevo: le camicie non erano abbastanza stirate, le lenzuola non sapevano di fresco, la disposizione degli oggetti andava fuori dai suoi schemi; all'inizio pensai che fossero solo fissazioni, ma poi imparai a capire che erano manifestazioni di scontento delle quali, tuttavia, cercavo una spiegazione.
Ma la cosa peggiore era il fatto che fosse perennemente in combutta con sua madre nel darmi addosso: la signora Assunta, da perfetto luogo comune di suocera, non faceva che rimarcare quanto lei, nella gestione dell'economia domestica, fosse decisamente migliore di me e di quanto fossero belli e forti i suoi pargoli, che aveva messo al mondo tra i ventidue e i venticinque anni, mentre Giuseppe e io muravamo a secco.
I figli non sono mai arrivati, nel nostro caso, ma non perché fossimo sterili: ovviamente Assunta aveva addossato la colpa a me, ricordandomi continuamente che l'altra sua figlia Fabiola e il marito Ivan Ventresca di bambini ne avessero addirittura tre; questi ultimi erano abbastanza imbarazzati, soprattutto mia cognata: lei è sempre stata l'unica con cui andavo veramente d'accordo nella famiglia Lojacono, era una delle poche persone con cui mi sono potuta sfogare, tra una manicure e una ricostruzione delle unghie: lavora in un centro estetico in Via dei Castani, la strada principale di Centocelle, è una vera nail artist; il marito ha un'autofficina in Via dei Platani.
L'unica mia peculiarità ai loro occhi era la cucina: passando molto tempo dentro casa sono diventata molto brava ai fornelli, non solo per il pane e i suoi derivati, che pure hanno fatto la mia fortuna; ho letteralmente spignattato per ore, nei giorni feriali e festivi, con le gambe gonfie per il tempo passato in piedi, al fine riempire i loro stomaci somiglianti alle stive degli aeroplani, ma comunque mi hanno sempre trattata come se facessi semplicemente il mio dovere.
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le chat di WhatsApp dello smartphone di Giuseppe, piene di ragazze rimorchiate nella palestra da lui frequentata in Via delle Giunchiglie: una volta lo pedinai e lo scoprii con orrore a scopare con la sua ultima conquista nelle docce dello spogliatoio femminile, così non ci ho visto più; per questo il pomeriggio del 29 ottobre 2019, alle diciotto e trenta, ci siamo ritrovati da un avvocato per firmare le carte per il divorzio.
Da quel momento in poi è cominciata la mia avventura: un po' strampalata, a tratti folle e addirittura pandemica da un certo punto in poi, ma che mi ha resa immensamente felice.
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