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Quando Le Donne Brillano

PROCIDA 1937

Camminava veloce lungo la stretta stradina fatta di ciottoli, i palazzi colorati con le finestre chiuse sembravano giganti addormentati in attesa che l'estate arrivasse, pronti a risvegliarsi con il vociare allegro dei villeggianti. Giovanna amava quel periodo dell'anno, la primavera, quando Procida era ancora tutta sua.
Avanzò il passo e la stradina si aprì alla spiaggia della Chiaiolella; si fermò un attimo e respirò il profumo del mare portato dalla leggera brezza del mattino. Si diresse decisa verso un gruppo di barche e quando intravide la testa scura e ricciuta ebbe un tuffo al cuore. Gli si piazzò davanti e con le mani sui fianchi:
«Allora, marinaio mi porti a fare un giro in barca?»
Bruno la squadrò, soffermandosi sulle labbra, disegnate da un leggero lucidalabbra, che erano cariche di promesse e sul quel vestitino che le disegnava le forme perfette. Si alzò e lei per guardarlo dovette alzare il volto. Le accarezzò il viso e le spostò i capelli e la baciò sul collo. Giovanna chiuse gli occhi e gli accarezzò le spalle.
«Andiamo», le sussurrò all'orecchio. Insieme spinsero la barca in mare.
Bruno remò verso un anfratto della scogliera dove c'era una spiaggetta nascosta.
Giovanna stese una coperta sulla rena, poi si sedette e Bruno le si mise vicino.
«Pare che Luca torni presto in licenza, ma non si sa quando precisamente.»
«Anche le Fiamme Nere hanno bisogno di riposo. Spero che la licenza duri poco». Bruno le accarezzò la guancia.
«Che ne dici di venire da me in albergo?» Giovanna lo disse quasi in un sussurro, era da un po' di tempo che ci pensava. Sarebbe stato più sicuro. «Ieri sono partiti gli ultimi tedeschi e non abbiamo prenotazioni per una settimana. Nessun occhio indiscreto, quindi...», aggiunse con un sorriso complice.
«Ci puoi contare!» rispose lui, eccitato all'idea di avere più tempo a disposizione con quella donna splendida, «ma come giustificheremo la mia presenza?»
«Ho pensato anche a questo», aveva l'aria soddisfatta, «l'estate sta arrivando e l'albergo ha bisogno di manutenzione».
Gli era piaciuta fin dal primo incontro casuale, ma solo con il passare del tempo l'attrazione fisica era divenuta una specie di ossessione. Quando poi Giovanna gli aveva fatto capire di essere disponibile, nonostante fosse una donna sposata, gli parve di avere toccato il cielo con un dito.
Fare l'amore con lei era fantastico, anche se non era avvenuto molte volte. Adesso, certo, avendo a disposizione più tempo e la tranquillità di una stanza, sarebbe stato diverso.
«Ora un antipasto», pensò Bruno mentre la donna, in ginocchio sulla coperta, si toglieva il reggiseno di pizzo bianco, esponendo al sole primaverile e ai suoi occhi estasiati due seni perfetti.
Si affrettò a baciarli con delicatezza, indugiando sui capezzoli che si inturgidivano mano a mano che la sua lingua disegnava dei circoli attorno a loro.
«Sei bellissima. Ti desidero come non ho mai desiderato nessuna donna».
Giovanna affondò le mani nei suoi capelli e inarcò il corpo per potersi offrire meglio alla sua bocca. Sospirò di piacere quando le sue labbra disegnarono un sentiero fino al ventre; l'esigenza di sentirlo suo, subito, la invase e alzò la gonna in un muto invito. Sentiva le mani di Bruno esplorarla e intanto lo liberava dalla camicia e da quella cintura che sembrava volerle fare un dispetto perché più tentava di aprirla più si incastrava.
«Faccio io».
Lei si sedette e seguì tutti i suoi movimenti, indugiò sulle spalle larghe, sulla vita stretta e quando si liberò di tutti i vestiti il suo desiderio era all'apice.
Bruno si inginocchiò, le poggiò le mani sulle ginocchia e lentamente le accarezzò l'interno delle cosce. Giovanna si inarcò, socchiuse gli occhi e si morse il labbro. Con una mano l'uomo accarezzò il suo intimo e con l'altra il ventre, con una lentezza che le sembrò esasperante mentre il suo desiderio aveva bisogno di esplodere.
«Bruno...».
Lui accolse la sua muta richiesta perché ardeva dal desiderio di muoversi dentro di lei, voleva sentire il suo corpo fremere.
Giovanna rimase con le gambe avvolte intorno ai fianchi di Bruno, con il viso di lui affondato tra il collo e la spalla, mentre gli ultimi sospiri e fremiti scemavano.
L'uomo si adagiò al suo fianco e lei lo cinse con le gambe.
« Perché non ce ne andiamo lontano?» le chiese accarezzandole le labbra.
«Bruno, lo sai non posso lasciare Luca e la famiglia. L'albergo è la mia vita e in questo momento difficile... hanno bisogno di me.»
Bruno si liberò della stretta e si alzò cominciando a vestirsi.
Giovanna si sedette e lo guardò interdetta mentre la paura di perderlo si faceva strada.
«Cosa fai?»
«Dai, sali in barca. Torniamo a Procida».
Il tragitto di ritorno fu silenzioso; ognuno dei due amanti era perso in pensieri negativi, nonostante entrambi sentissero ancora addosso l'odore reciproco.
Bruno aveva quella sensazione tipica dell'egoismo maschile. Era soddisfatto ma voleva l'esclusiva. In un modo o nell'altro ci sarebbe riuscito.
«Allora vieni all'albergo? Pranziamo insieme. » gli chiese Giovanna prima di allontanarsi dal porticciolo.
«Ma sì, certo che vengo. Ora vado a farmi una bevuta in taverna. A dopo».

Era passata un'ora dall'ora di pranzo e Giovanna aveva quella crescente sensazione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.
Andava e veniva dalla porta della cucina con la speranza di vederlo comparire all'improvviso, ma c'erano solo tre scugnizzi che giocavano a pallone sulla piazzetta antistante.
«Totò!», chiamò a gran voce e il più alto dei tre ragazzini alzò lo sguardo.
«Vieni quassù, che devo parlarti», gli disse.
«Conosci Bruno il pescatore, quello con la barca bianca e azzurra?»
«Certo Signò».
«Scendi in paese e cercalo. Digli solo che ti ho mandato io e senti che ti dice».
Intanto che aspettava andò nella hall e si mise a riordinare i documenti; le mani si muovevano, ma il pensiero era sempre lo stesso: aveva conosciuto Luca quando era appena una ragazzina, lui, di quasi dieci anni più grande, l'aveva conquistata con fiori e dolci parole; la solita storia. Avevano aperto  questo piccolo albergo e gli anni erano passati e con loro la passione e anche l'interesse reciproco; a dividerli ulteriormente la fede fascista di lui.
Un giorno era arrivato Bruno, si era trasferito nell'isola da Napoli. Il padre l'aveva mandato lì per tenerlo lontano dai guai, mentre Bruno trovava giusta una resistenza al partito unico.
Si erano incrociati spesso nella piazzetta; all'inizio si erano scambiati sguardi fugaci e poi un giorno se l'era trovato in albergo perché Luca aveva affittato la sua barca per un giro turistico e lo chiamava per qualche lavoretto di manutenzione.
Si erano scambiati qualche parola di circostanza, ma a Giovanna non erano sfuggiti i suoi sguardi eloquenti. Per giorni non aveva pensato altro che a quegli occhi e a quelle labbra.
Una mattina si era svegliata con una smania dentro e allora era andata al mare: nuotare l'avrebbe aiutata a liberare la mente e a scrollarsi di dosso il desiderio.
Aveva nuotato tanto da sfiancarsi e poi si era distesa sulla sabbia crogiolandosi al sole. Sentì un brivido: qualcosa le aveva fatto ombra; senza muoversi aprì gli occhi e davanti a lei c'era Bruno che la osservava. Sentì una scossa scuoterla, istintivamente gli sorrise, lui ricambiò e si sedette, Giovanna  gli fece un po' di spazio, ma non cambiò posizione. Non c'era bisogno di parole, i loro corpi avevano parlato per loro. Rimasero così, in attesa che uno dei due prendesse l'iniziativa.
Giovanna si sedette e gli poggiò il mento sulla spalla, il profumo di mare e salsedine e di bucato le riempì le narici e la testa. Gli accarezzò il collo e poi seguì con le labbra il percorso delle dita; sin dal primo momento quella fantasia l'aveva invasa e perseguitata.
A Bruno sembrava di sognare, ma sapeva di essere ben desto. Era stato colpito da quella giovane donna fin dal primo casuale incontro in piazzetta, l'aveva desiderata da subito ed ora lei era lì, accanto a lui e gli baciava delicatamente il collo fino ad addentare delicatamente il suo orecchio destro stimolando la sua virilità. Quando la mano di Giovanna gli accarezzò il petto e poi scese lentamente verso il basso, prese lui l'iniziativa. La abbracciò e, tenendola stretta a sé, si adagiò con lei sull'asciugamano steso sulla sabbia calda. Più calori si fusero assieme mentre entrambi si liberavano dei costumi da bagno, poi ci fu l'estasi, la prima di tante.
Da quel momento erano diventati più che amanti, la loro era una storia d'amore.
Sentì battere la porta laterale e fece una corsa credendo di trovare Bruno, sul suo volto si dipinse la delusione, lo scugnizzo era davanti a lei e subito capì che c'era qualcosa che non andava dall'espressione della sua faccia.
«Allora Totò? Che è quella faccia?», fece qualche passo verso di lui «l'hai trovato?» la sua voce tradiva l'ansia che la soffocava.
Lo scugnizzo abbassò il volto in evidente difficoltà, gli dispiaceva dare una così brutta notizia alla signora che gli dava sempre la cioccolata, ma lo guardava con quegli occhi nocciola tra la speranza e la paura e le parole gli uscirono tutte d'un fiato.
«L'hanno arrestato! I fascisti l'hanno preso. Mi dispiace signo'. Quando sono andato in piazzetta non si parlava d'altro.»
«Ma come? Perché?»
«Ha litigato con due camicie nere e l'hanno portato al comando.»
Giovanna impallidì e si dovette sedere, si coprì il volto con le mani e cercava di trattenne le lacrime. Restarono in silenzio qualche minuto poi si rese conto che così non avrebbe concluso nulla.
Totò era rimasto lì ad osservarla, forse aspettava di sapere se poteva essere d'aiuto.
«Va', non ti preoccupare, è cosa di niente, ora mi passa. Aspetta ho una cosa per te.»
Andò in cucina seguita dal ragazzino e prese dallo scaffale una scatola.
Il marito fascista faceva comodo perché non mancava mai la cioccolata agli scugnizzi, almeno serviva a qualcosa.
«Mi raccomando, dividila con i tuoi amici e acqua in bocca.»
Lui le fece un sorriso di complicità e se ne andò tutto contento.
Giovanna si appoggiò al bancone a braccia conserte e con lo sguardo perso nel vuoto; aveva una ruga al centro della fronte che le veniva quando rifletteva per prendere una decisione importante. Rimase così, immobile, per quasi dieci minuti poi le spalle si sciolsero in un profondo respiro e si diresse nella sua camera da letto; ciò che prima era stata immobilità era diventata frenesia.
Indossò un abito non troppo scollato che le fasciava il corpo, prese lo scialle nero e si coprì la testa, non voleva essere riconosciuta. Aveva deciso che una volta tanto avrebbe sfruttato l'amicizia del marito con quelli là.
Era primo pomeriggio e i procidani erano in  casa per il riposo pomeridiano; erano un popolo di pescatori e all'alba cominciava la loro vita. Le strade erano dunque quasi deserte; imboccò la via per la piazzetta e poi per una stradina attigua: in fondo c'era la stazione dei Carabinieri.
Al piantone disse che il maresciallo Scognamiglio la aspettava. Lui non fece domande, evidentemente era una cosa normale che ricevesse delle donne.
Fu accompagnata in silenzio, Giovanna si teneva stretto lo scialle sperando che nessuno la riconoscesse. L'uomo bussò alla porta e all'invito di entrare aprì la porta e le fece spazio per farla entrare.
Giovanna entrò e sentì la porta chiudersi con discrezione dietro di lei. Rimase ferma, si sistemò lo scialle sulle spalle; Scognamiglio seduto dietro la scrivania alzò la testa dalle carte che stava leggendo e quando si rese conto chi aveva davanti la sua espressione cambiò dal sorpreso al soddisfatto. Giovanna lo paragonò ad un gatto che pensava che di lì a poco avrebbe catturato il topolino.
«La signora Giovanna! Ma che bella sorpresa! Accomodatevi, prego.» disse sorridente offrendo una sedia di fronte alla sua scrivania.
«A cosa devo il piacere della visita?»
«Marescià, mi dispiace disturbare nel primo pomeriggio, ma ho un problema grosso e spero che me lo possiate risolvere.»
«Ditemi, cara Giovanna: farò tutto ciò che mi è possibile.»
«Conoscete Bruno De Filippo, il pescatore?»
«Eh sì che lo conosco. Lo abbiamo appena arrestato. Ha ingiuriato il Duce ed è venuto alle mani con due bravi camerati che volevano solo farlo ragionare.»
«Marescià, Bruno stava lavorando al nostro albergo, su incarico di Luca, mio marito che voi conoscete bene. Un vero fascista, rispettoso ed educato. Ora Luca è partito, come sapete, ma aveva lasciato a Bruno l'incarico di sistemare gli scarichi dei lavandini nelle camere, che si intasano sempre.»
«Mia cara signora, dobbiamo aspettare il processo. Domani viene il giudice Longo da Napoli. »
«Ma voi potete liberarlo, intanto. Lo faccio stare da me all'albergo e garantisco che non fuggirà fino al processo. Ma intanto potrà andare avanti con il lavoro. Abbiamo già tante prenotazioni.»
«Liberarlo subito, dite, eh?» e dicendo ciò il maresciallo si era alzato e, girando attorno alla scrivania, aveva posato una mano sulla spalla della donna.
«Se ne può parlare. Ma intanto vediamo cosa c'è sotto questo scialle.»
Giovanna strinse lo scialle rivolgendogli uno sguardo di disapprovazione.
«Su, non fate la timida, una così bella donna come voi...» e spostò delicatamente la mano di lei facendo scivolare lo scialle ed esponendo il vestitino che copriva le sue forme, ma le lasciava intuire.
Scognamiglio le pose una mano sul ginocchio nudo e, lentamente la fece salire lungo la coscia della donna.
Giovanna allungò la sua mano destra e lo fermò.
«Marescià, non possiamo mica fare qualcosa qui, con il piantone dietro la porta e vostra moglie al piano di sopra. Venite più tardi all'albergo: saremo tranquilli e nessuno potrà disturbarci.»
Il maresciallo valutò la situazione e in fondo Giovanna aveva ragione, sarebbe stato un peccato bruciare così la bella occasione che la sorte gli aveva regalato.
Lei si alzò, stringendosi lo scialle addosso, sfoderò un sorriso tentatore e tra i più falsi che avesse mai fatto in vita sua.
«A malincuore vi lascio andare», il maresciallo in un tentativo di galanteria le prese la mano e la baciò, «ma tra poche ore...»
«Marescià, grazie» disse con voce civettuola, «vi aspetto alle 20. Perdonate l'orario, ma sapete com'è: il paese è piccolo...»
«Non temete Giovanna, sarò molto discreto.»
«Grazie.»
La donna uscì dalla caserma visibilmente agitata. Sentì le campane rintoccare l'ora e pensò di andare a chiedere aiuto al podestà. In fondo era amico di Luca, erano cresciuti insieme.
Si diresse sicura verso la sua abitazione: se era fortunata avrebbe risolto il problema senza dovere dare una padella in testa al maresciallo.
Giovanna bussò a casa di Antonio Criscuolo e dopo qualche minuto venne ad aprire la cameriera.
«Ciao Giovanna, perché sei qui?»
Lei fece uno sguardo afflitto.
«Mariella, mi devi aiutare: devo parlare con Criscuolo di una cosa importante, va' a chiamarlo!»
«Ma non posso, a quest'ora sta riposando...»
«Mariella, chi è alla porta?»
Alle spalle della donna comparve il podestà che quando vide Giovanna spostò in modo deciso la cameriera.
«Ma prego accomodatevi. Sicuramente per venire a quest'ora ci sarà un valido motivo. Andiamo nel mio studio.»
Così dicendo le fece spazio per farla entrare e Giovanna lo seguì nello studio.
Antonio le indicò una poltrona e lui le sedette di fronte.
«Ditemi pure.»
«Podestà...»
«Ma no! Cosa sono queste formalità,» la interruppe e si mosse un po' più vicino a lei, «chiamatemi pure Antonio, posso chiamarvi Giovanna?»
La donna strinse le mani, sospettando già come sarebbe andata a finire.
«Antonio», disse con voce suadente e vide nei suoi occhi un lampo di soddisfazione, «da quando Luca è partito tutte le responsabilità sono le mie all'albergo. Finalmente quando avevo trovato qualcuno, quel Bruno De Filippo, che mi aiuta in quei lavori che non posso fare io, lui si fa arrestare.»
«Ho saputo, mia cara. Le notizie girano in fretta nella nostra piccola isola. Quindi vi servirebbe una mano, diciamo così, per farlo tornare libero?»
«Avete compreso perfettamente, podestà... Antonio.»
«Sì, penso proprio che potrei intervenire su Scognamiglio. E' un testone, ma è anche un bravo fascista, sa ubbidire agli ordini. Certo, non sarebbe un compito del podestà, questo, ma del giudice. Ma per Giovanna tutto si può fare.»
«Grazie, Antonio.»
«Ma...»
«Sì?»
«Giovanna, sapete certo che io e Luca ci conosciamo da una vita. Abbiamo frequentato le stesse ragazze e ci siamo scambiati tanti segreti. Beh, quando il buon Luca ha cominciato a uscire con quella splendida guagliuncella, molto più giovane di lui, che ora è un bel po' cresciuta ed è qui davanti a me, i suoi racconti di come l'ha iniziata ai riti dell'amore non sono stati un segreto per me.»
Giovanna arrossì e abbassò lo sguardo. Dentro di sé era furente nei confronti del marito e del suo amico, di cui ora aveva bisogno. Non disse nulla, poi guardò il podestà negli occhi, voleva vedere dove voleva arrivare, anche se non aveva difficoltà a immaginarlo.
«Luca è in Spagna a coprirsi di onore. Sono certo che non avrebbe nulla in contrario se la sua signora ammazzasse la noia con il suo più caro amico.
Mi farebbe piacere provare di persona qualcuna di quelle abilità nell'alcova di cui tanto ho sentito raccontare.»
«Ma Antonio...» provò a iniziare la donna.
«Tranquilla, nessuno saprà mai nulla, Luca per primo. Sono un uomo d'onore!»
«Se queste sono le condizioni per far liberare il De Filippo, devo accettare.»
«Brava Giovanna, sapevo che vi sareste convinta. Cominciate a togliervi quel vestito.»
«Ma no, Antonio, non qui. Mariella è sicuramente dietro la porta ad origliare e lo saprebbe presto tutto il paese. Venite voi da me in albergo.»
Lui rimase per un momento interdetto e Giovanna in cuor suo sperò che rifiutasse, ma Antonio fece un sorriso compiaciuto.
«Avete ragione, potremo godere di tranquillità e avremo tanto tempo a disposizione, ma ora datemi un bacio.»
Così dicendo le andò incontro, ma Giovanna fece uno scatto indietro.
«Vi prego Antonio,» disse dolce, ma nascondeva la rabbia che montava in lei «non mi tentate, non bruciamo così il momento importante che vivremo.»
«Ancora una volta avete ragione.»
«Allora vado, corro a casa per preparare tutto, vi aspetto alle 20 e 30. Mi raccomando di essere puntuale.»
«Sì, a stasera».
Giovanna uscì dalla casa del podestà infuriata. «Maledetti fascisti! Mannaggia a Bruno che si è messo in questo guaio e ora devo trovare un modo per uscirne».
Faceva caldo e aveva sete si fermò alla fontanella bevendo con le mani, che poi si passò sul viso e sul collo.
Come se l'acqua le avesse rinfrescato anche i pensieri, ebbe un'idea. Avrebbe messo al loro posto quei due che non vedevano l'ora di saltare nel suo letto. La soluzione si chiamava don Pasquale, il parroco. Pensò che il suo intervento  avrebbe fatto desistere il podestà e a sua volta sarebbe intervenuto sul maresciallo.
A quell'ora lo avrebbe trovato in sacrestia e lì con calma gli avrebbe mosso la sua supplica.
Camminò veloce lungo la stradina che la portò alla piazzetta e vide alcune donne uscire dalla chiesa. Aspettò che si fossero allontanate ed entrò in chiesa. Si fece il segno della croce e poi si diresse verso la sacrestia e bussò.
«Avanti,» invitò don Pasquale.
Giovanna aveva ripassato mentalmente tutto il discorso durante la strada ed entrò decisa.
«Signora Giovanna!» il parroco le andò incontro e con voce piacevolmente sorpresa,  « Come mai siete qui? E a quest'ora!»
«Don Pasquale,» la donna cercò di tenere ferma la voce, «ho bisogno del vostro aiuto.»
«Dimmi pure figliola, siediti e raccontami tutto!» gli indicò una sedia e ne prese un'altra e si sedette accanto a lei.
«Sapete che Luca, mio marito, è in Spagna a combattere contro il comunismo».
« Certo che lo so! Un bravo patriota.»
«Beh, prima di partire ha lasciato l'incarico di fare certi lavori all'albergo a De Filippo Bruno, il pescatore.»
«Eh, lo conosco, lo conosco: una pecorella smarrita, purtroppo. Mai in chiesa, mai i sacramenti.»
«Don Pasquà, quello è un problema suo. Quello che importa a me è che è stato arrestato dopo che ha litigato con due camicie nere. Ma era ubriaco, poveretto. E ora i lavori all'albergo sono interrotti a metà e non so come fare».
«Cara Giovanna, mica vorrai che venga io a fare quei lavori?»
«Certo che no! Ma forse potete intercedere con il maresciallo per farlo rilasciare. E magari con il podestà».
«Che sono entrambi due bravi cristiani e mi rispettano. Perché no?»
«Grazie padre, speravo proprio nel vostro aiuto».
«Faccio quello che posso. Ma sono così solo... Quanto mi piacerebbe un pò della tua compagnia, Giovanna...»
«Ma certo Don Pasquà, prometto che vi verrò a trovare ogni tanto. Se avete da fare il bucato o da cucinare.»
«Veramente intendevo un altro tipo di compagnia... sai anche noi sacerdoti siamo uomini. E quando vediamo una bella guagliona come te... Perché non vieni un momento nella mia modesta stanza, lì saremo in pace. E non devi neppure spogliarti, mi accontento di poco.»
«Nella stanza di un sacerdote? Ma state scherzando? Il Padre Eterno non mi perdonerebbe mai!».
Lo guardò negli occhi e sentì torcersi le budella, poi le parole le uscirono automaticamente con un tono tale che stentò a riconoscere la propria voce. «Ma magari da me in albergo staremo più tranquilli e avremo più tempo a disposizione».
«Sì, Giovanna, sì!»
«Allora venite alle 21 e mi raccomando siate puntuale».
La donna quasi scappò fuori dalla chiesa e si diresse all'albergo; mentre percorreva la strada un senso di rabbia e nausea la invase. Quando arrivò andò direttamente in bagno, voleva lavare via quella sensazione sgradevole. Quando uscì dalla doccia c'era una nuvola di vapore e con l'asciugamano pulì il vetro. Guardò il suo riflesso e parlò a se stessa: «Non posso andare avanti così, non ho intenzione di cedere al ricatto di quei tre, ma dopo aver messo in atto le mie intenzioni non posso più vivere a Procida anche perché Bruno sarebbe in pericolo: la soluzione è una sola».
Si vestì in fretta, aveva poco tempo e tante cose da fare. Scrisse tre bigliettini poi si affacciò alla finestra per vedere se Totò stava ancora giocando nella piazzetta. Lo vide con il pallone sotto il braccio che si avviava verso casa.
«Totò!» chiamò a gran voce «Totò, vieni qui.»
Il ragazzo corse verso di lei.
«Ditemi signo'.»
«Mi devi fare un favore grande grande e ti sarò per sempre riconoscente.»
«Tutto quello che volete, comandate pure!»
Giovanna gli diede i biglietti e poi gli sussurrò all'orecchio ciò che voleva che facesse per lei.
Totò la guardò a bocca aperta.
«Ma siete sicura?»
«E tu me lo puoi fare questo favore?»
La voce della donna ebbe un tremito, se avesse rifiutato sarebbe stato un bel problema.
Lo scugnizzo fece un sorriso furbo.
«Ma certo che lo faccio, state tranquilla.»
«Allora va e grazie.» dicendo questo gli diede un bacio sulla guancia. Totò diventò rosso e scappò via.
Giovanna lo guardò fino a che non imboccò il vicolo, poi entrò in albergo.

Le campane della chiesa suonarono le 20 e, quasi in contemporanea, si sentì bussare discretamente alla porta laterale.
La donna non tardò ad aprire e il maresciallo Scognamiglio con una bottiglia di vino le fece un sorriso smagliante.
«Ho messo in fresco questo Lacryma Christi del '34 per te, anzi, per noi, Giovanna.»
«Che bel pensiero, Marescià!»
«Basta con questo Marescià, chiamami Salvatore. Oggi e in futuro, spero.»
«Ci sarà tempo per pensare al futuro...Salvatore. Ora pensiamo al presente», disse la donna con un sorriso civettuolo.
Era uno schianto: un abito molto scollato a tubino che la fasciava, di colore blu notte. Tacchi alti e calze molto chiare. Trucco semplice: le labbra con un rossetto rosa e ombretto azzurro. Un inebriante profumo al gelsomino. I capelli neri acconciati con uno chignon molto morbido con qualche ciocca un po' ribelle che le cadeva sulla fronte e sul collo.
Il maresciallo avvertì l'azzeramento della salivazione e, istintivamente, pose il berretto d'ordinanza con nonchalance all'altezza del proprio inguine per non rendere immediatamente evidente la sua reazione alla vista di Giovanna e al pensiero di quanto sarebbe avvenuto di lì a poco.
«Vieni, Salvatore», disse la giovane donna prendendolo per mano e guidandolo con andatura maliziosamente ancheggiante verso la stanza dell'albergo che aveva scelto per il loro tête-à-tête.
La camera era fresca e pulita, le pareti tinte di un tenue beige, un grande letto matrimoniale accostato alla parete sovrastato da un crocifisso e da una foto del Duce.
Giovanna non fece neppure a tempo a chiudere a chiave la porta che già Scognamiglio le era addosso come una piovra.
«Piano, Salvatore, vai piano. Abbiamo tutto il tempo. E non dimenticare che questo è un do ut des.»
«Che fai mi parli in inglese? Ma sì, mi attizza di più. Anche se sarebbe proibito, ma tanto nessuno lo saprà mai...»
Lei alzò gli occhi al cielo e si trattenne dal ridere.
«Con tutto il rispetto, Salvatò: è latino, e vuole dire che io dò una cosa a te e tu ne dai una a me».
Dicendo ciò Giovanna estrasse dal cassetto di un comò un foglio di carta dattiloscritto e lo porse al maresciallo.
«Dovresti firmare l'autorizzazione al rilascio del De Filippo».
Mentre l'uomo leggeva, lei gettò un rapido sguardo al quadrante del suo orologio da polso: le 20:15, doveva tergiversare per un quarto d'ora.
Salvatore spostò lo sguardo dal foglio a lei che gli sorrideva con sguardo innocente.
Giovanna aveva paura che lui sentisse il suo cuore battere all'impazzata e gli porse la penna.
«Ma sì, in fondo è solo una testa calda,» firmò e le porse il foglio, «per te farei ben altro.»
«Grazie.» poggiò il foglio sul comò e il maresciallo le fu alle spalle e cominciò a baciarle il collo.
«Il tuo profumo mi fa impazzire», le mani scivolarono lungo i fianchi e cominciarono ad alzare la gonna.
Giovanna fu tentata di afferrare la lampada e dargliela in testa, ma poi sospirò e fece un finto gemito.
«Salvatore, piano ti prego, per me è la prima volta con un uomo che non è mio marito». Lui allentò la presa e lei si girò e posandogli  una mano sul torace spostandolo. «Sai sono imbarazzata e vorrei che tu facessi una cosa per me». Intanto gli slacciò la cravatta e tirò i due capi in modo da fargli abbassare la testa, poi gli sussurrò all'orecchio: «Te lo dico così perché mi vergogno un po'» fece una pausa ad effetto, «vorrei essere io a spogliarti, ma tu non mi devi guardare mentre lo faccio.»
«Sì, tutto quello che vuoi!»
Giovanna pensò trionfante che lo aveva in pugno. Lo fece sedere sul letto e lo bendò e cominciò togliendo la giacca, poi gli sbottonò la camicia.
«Salvatore che bell'uomo che sei.» lo adulava e intanto era rimasto in mutande. «Ma che sbadata!» disse improvvisamente «ho lasciato il vino in cucina, vado a prenderlo.»
«Ma no, andrai dopo» protestò lui, allungando una mano per afferrarla. Ma Giovanna era già accanto alla porta reggendo i suoi vestiti sul braccio destro e il prezioso ordine di rilascio nella mano sinistra.
«Salvato' faccio in un attimo, tu non ti muovere. Non puoi neanche immaginare la sorpresa che ho per te».
Non aspettò la risposta, chiuse la porta a doppia mandata e andò a buttare i vestiti nello stanzino.
Si sistemò l'abito e i capelli e mise il rossetto; appena in tempo perché la pendola del salone rintoccò le 20:30 e nello stesso momento sentì nuovamente bussare alla porta.
Andò ad aprire e fece uno sguardo languido al podestà.
«Antonio, finalmente sei qui!», gli disse, nascondendo una leggera delusione: l'uomo non aveva nulla in mano, né vino né tantomeno fiori.
«Meglio così», pensò, vuole una cosa sola. «Sarà più facile.»
Notò lo sguardo rapace dell'uomo, che dal viso scese verso il seno e le gambe, come se fosse al mercato e stesse apprezzando un quarto di manzo.
«Seguimi, Antonio. Ho riservato al nostro incontro la migliore stanza del mio albergo», e si diresse verso la camera del secondo piano più distante da quella dove era rinchiuso il maresciallo.
Una volta dentro, la donna chiuse la porta a chiave e si diresse verso la finestra per tirare le tende.
«Brava Giovanna, vedo che siete dei buoni fascisti, tu e Luca», disse il podestà spostando lo sguardo dalla foto del Duce a quella del Re d'Italia, appese alle pareti, inframezzate da una pittura a olio del Vesuvio con un pennacchio di fumo in cima.
«Lo saremo sempre, Antonio. Anche ora...»
Antonio le andò incontro, la prese per i fianchi, la spinse sul letto e in un attimo le fu sopra. Giovanna fu presa dal panico pensando di non riuscire a sfuggirgli e cominciò a dimenarsi.
«Sì, continua così. Mi piace!» le grugniva all'orecchio.
Presa da istinto di sopravvivenza e approfittando del fatto che si era spostato nel tentativo di toglierle i vestiti, gli diede uno schiaffo.
Il podestà rimase basito; lei gli diede una spinta e si alzò mettendosi a debita distanza.
«Come ti sei permessa?» disse, tenendosi la guancia con una mano. Giovanna lo guardò e quasi le venne da ridere: con le braghe abbassate e quell'aria contraddetta era innocuo.
«Ma Antonio, stai rovinando tutto!», gli disse sistemandosi i vestiti con aria suadente. «Avevo immaginato il nostro primo incontro in tutt'altro modo.»
Il podestà rimase in silenzio a bocca semiaperta per qualche istante e la donna ne approfittò.
Gli si avvicinò e gli accarezzò la guancia su cui l'aveva schiaffeggiato.
«Che ne dici di spogliarti e sederti sul letto? Poi lo farò anche io», gli sussurrò all'orecchio.
Antonio non se lo fece ripetere, si tolse il resto dei vestiti, rimanendo in mutande e calzini e si accomodò sul letto sotto lo sguardo soddisfatto di Giovanna.
«Ma che sbadata! Tu mi travolgi caro.»
Aprì il cassetto del comò e prese il foglio dove c'era la libertà per Bruno.
«Un patto è un patto: per favore puoi firmare la liberazione del De Filippo?»
«Tutto quello che vuoi, sono stanco di aspettare.»
Antonio firmò e lei poggiò il foglio sugli abiti del podestà.
Giovanna calcolò che mancava veramente poco alle 21; doveva solo prendere un altro po' di tempo.
Cominciò a togliersi le forcine dello chignon e i capelli neri le caddero morbidi sulle spalle. Poi lentamente spostò il vestito lasciando scoperte le spalle.
Intanto lui la guardava affamato.
Giovanna si accarezzò le braccia e poi il viso scendendo lungo il collo, sfiorandosi appena i seni.
«Spogliati! Ora.» ordinò lui.
«Abbi pazienza», si sedette sulla poltroncina e alzò leggermente l'abito sulle cosce e si abbassò per slacciare i cinturini delle scarpe lasciando intravedere la biancheria. Rimase seduta e quando stava per togliere le calze: «Oh, ma come sono distratta! Non ci credo!» e si mise le mani sulle guance come se fosse disperata.
Ancora una volta Antonio la guardò basito.
«Che succede adesso?»
«Ho dimenticato di portare il vino per ... dopo. Dobbiamo fare un brindisi a noi due.»
Si alzò come una furia.
«Ma no! Aspetta dove vai, non importa!»
«Tranquillo, ci metto un attimo!»
Intanto aveva preso gli abiti dell'uomo e il foglio e uscì dalla stanza chiudendo a chiave.
Gettò i vestiti nello stanzino e si diresse nella sua stanza. Indossò un abito e delle scarpe  più comode, mise nella borsetta i fogli del rilascio e controllò che ci fosse il denaro necessario. Prese la valigia, scese in cucina e la nascose, la pendola suonò le 21 e per la terza volta bussarono alla porta.
«Don Pasquale! Ma come vi siete conciato?» Giovanna non poté fare a meno di ridere. «Va bene che il nero va di moda, ma sembrate un carbonaro», aggiunse, vedendo il completo nero del parroco, dalla giacca, al pullover a collo alto, pantaloni e scarpe.
«Non posso rischiare di essere riconosciuto, cosa penserebbero i parrocchiani?»
«E io cosa dovrei dire, Don Pasquà? Sono una moglie con il marito in guerra. Anche io rischio molto a farvi entrare».
«Giovà, non avrai mica cambiato idea, vero?»
«Ma no, certo che no. Entrate pure che ho del buon vino in fresco».
«Al buon vino non si può rinunciare. Ti seguo».
Arrivati in salotto lo fece accomodare su una poltroncina e tornò in breve con la bottiglia di Lacryma Christi appena stappata.
«A noi!» disse la donna alzando il bicchiere.
«Prosit!» rispose il prete e mando subito giù tutto il calice in un unico sorso. «Ma gustatelo un po', questo vino.», suggerì Giovanna, versando altro liquido ambrato nel bicchiere vuoto.
«Non abbiamo tutta la sera, cara Giovanna. Avevamo un accordo.»
«Ma certo, certo», rispose lei passandosi con finta indifferenza un dito sul labbro inferiore, come ad asciugare una invisibile goccia di vino. «Finite con calma di bere e poi andiamo nella mia stanza da letto».
A metà del secondo calice, mentre si gustava il vino con più calma, Don Pasquale udì distintamente un forte rumore. Qualcuno stava battendo alla porta con impazienza.
«Chi sarà mai, a quest'ora? Non aspettavo nessun'altro», disse la donna fingendo preoccupazione. «State qui e non parlate!» intimò al parroco.
Poi si diresse verso al porta d'ingresso senza fretta, giusto per far spazientire ulteriormente i nuovi ospiti.
Aprì e dovette spostarsi per non essere travolta dalle tre furie che entrarono sventolando i bigliettini che Totò aveva consegnato loro.
Due erano ingioiellate e truccate, una, molto più anziana, indossava un vestito da casa e pantofole.
«Ora mi spiegate cosa vuol dire questo!» disse con voce stridula la moglie del podestà.
«E questo?» le fece eco la moglie del maresciallo.
La terza donna, che altri non era che la perpetua del parroco, spostò in malo modo le due apostrofando la giovane con un: «Sei una donnaccia!»
E la Criscuolo: «Cosa credi, solo perché sei più giovane di fare i tuoi comodi con mio marito?»
Giovanna le guardò tutte e tre, prese i bigliettini dalle loro mani in modo deciso, stava per cedere al bisogno di urlare contro di loro tutto il suo disprezzo. Invece la sua voce fu calma e decisa, tanto che lei stessa se ne meravigliò.
«Sono stata costretta a farlo, ero andata per chiedere un aiuto e volevano approfittare di me. Andate in salotto e lo vedrete con i vostri occhi», disse rivolto alla perpetua. Poi alle due mogli: «Questa è la chiave della stanza 5 e questa è della stanza 26.»
Non se lo fecero ripetere, scattarono come cani da caccia in cerca della preda. Giovanna avrebbe voluto assistere alla scenetta, ma il tempo stringeva; doveva fare in fretta perché aveva giusto mezz'ora di tempo. Indossò lo scialle, prese la valigia e uscì senza voltarsi indietro.
Arrivò davanti al piantone con in mano gli ordini di scarcerazione e con fare sicuro.
Intanto Don Pasquale, sentito il trambusto, si era rifugiato dietro la tenda del salotto. Ma non fu difficile alla furibonda perpetua scovarlo in pochi secondi.
«Non è come sembra, Rosina» disse con un filo di voce il prete. «Quella giovane fedele voleva confessarsi lontano da occhi indiscreti e ho voluto esaudirla».
«E quello nei due bicchieri è il vino dell'Eucarestia, vero? Manca l'ostia però! Andiamo, venite subito con me. Lo so io chi si dovrebbe confessare stasera».
Don Pasquale abbassò lo sguardo evidentemente imbarazzato; la donna gli prese la mano e lo strattonò fuori dall'albergo.
Il podestà sentì le chiavi girare nella toppa e scattò dal letto pensando che finalmente si era decisa a tornare. La porta si spalancò e quando Antonio realizzò chi aveva davanti rimase immobile.
«Antonio, mio caro» disse con voce stridula, «aspettavi qualcun'altra?»
Lui spalancò la bocca in una smorfia e fece un passo indietro; lei si chiuse la porta alle spalle, poi si sentì un gran trambusto.
La moglie del maresciallo entrò in silenzio, vide il marito seduto sul letto; ancora come l'aveva lasciato Giovanna, bendato.
«Giovanna, visto, non mi sono mosso.»
La donna si avvicinò e gli tolse la benda.
«Bravo, rimani fermo, anch'io ho qualcosa per te!»
«Ma... ma...» balbettò il maresciallo «che ci fai tu qui?»
«Te lo faccio vedere subito che ci faccio io qui!»
La moglie chiuse la porta, ma le urla si sentirono per l'intero albergo e anche fuori.

Erano passata una settimana da quando Bruno aveva visto arrivare il piantone, aprire la porta della cella e sentirsi dire che era libero. Appena uscito vide Giovanna: si abbracciarono e si baciarono e non ci vollero troppe spiegazioni. Si diressero verso Marina Grande e partirono immediatamente con la barca per cominciare una nuova vita insieme.

Luca con il grosso zaino in spalla era sbarcato con il primo traghetto del mattino da Napoli e già si era reso conto che c'era qualcosa di strano.
Aveva attraversato il porto salutando con calore i vecchi amici e i conoscenti che aveva incontrato, ma le loro risposte avevano un qualcosa di falso, di imbarazzato.
Procedendo verso il suo albergo, ansioso di fare una sorpresa a Giovanna, scorse Antonio Criscuolo, contento di rivedere il compagno di bravate e bevute di gioventù, quello fra i suoi amici di un tempo che aveva fatto più carriera.
Il podestà stava procedendo in direzione opposta alla sua, ma quando lo vide si fermò e fece dietrofront. Poi, con passo svelto imboccò una stradina.
«Strano», si disse l'uomo, «un amico che evita di incontrarmi. Che sarà successo?»
Arrivato all'albergo trovò la porta principale d'ingresso chiusa, ma non a chiave. Nessuna meraviglia, la moglie era all'interno. L'aveva avvertita del suo arrivo con un telegramma il giorno prima.
«Mi starà facendo una sorpresa», pensò, «la troverò a letto, nuda con le sole calze e le giarrettiere, come piace a me».
Invece la stanza da letto era vuota, il letto rifatto.
Nel giro di pochi minuti Luca si rese conto che l'albergo era deserto: no Giovanna, no turisti o villeggianti.
«Caspita, devo assolutamente capire cosa è successo!» si disse, e partì quasi di corsa alla ricerca della moglie.
Passando davanti alla chiesa vide Don Pasquale seduto con gli occhi chiusi a godersi il sole del mattino.
Quando gli fu davanti e lo chiamò per nome,  il sacerdote spalancò gli occhi e aprì la bocca senza parlare, come se avesse visto un fantasma.
«Che succede qui, Don Pasquà? Siete tutti strani, Giovanna non è in casa.»
«Ma cosa dici Luca? Mi hai solo spaventato. Mi ero appisolato. Non so niente di Giovanna, non la vedo da una settimana».
«Non è possibile, almeno alla messa della domenica ci veniva sempre».
«Che ti devo dire Luca? Vai da Scognamiglio, lui saprà sicuramente qualcosa».
«E perché mai il maresciallo dovrebbe sapere che fine ha fatto mia moglie?»
«Oh! Ma quante domande che fai! Ho detto così tanto per dire», si alzò con fare scocciato «ora scusami, ma ho da fare. Buona giornata.»
Luca lo vide entrare in chiesa, si girò e vide due donne che lo guardavano insistentemente; era sempre più perplesso. Allora si mise nuovamente in cammino arrivando in breve alla stazione dei carabinieri e vide uscire proprio il maresciallo.
«Buongiorno Scognamiglio, cercavo proprio voi.»
«E perché mai?»
«Sono tornato a casa e non ho trovato mia moglie. Sono preoccupato.»
«Ascolta il mio consiglio,» rispose acido «certe femmine è meglio perderle che trovarle. Buona giornata».
Il maresciallo se ne andò lasciandolo a bocca aperta.
«È inutile che fate, tanto nessuno ha il coraggio di dirvela la verità.»
Luca si girò e vide Totò che stava appoggiato al muretto con sotto il braccio il suo inseparabile pallone.
«Che ne sai tu?» rispose aggressivo.
«Eh! Sapeste quante cose so io!» si piazzò davanti a lui e lo guardò con aria sfrontata.
«Allora parla.»
«Lo sa tutta Procida che il maresciallo, il podestà e perfino don Pasquale volevano stare con la signora Giovanna» fece una pausa ad effetto, «ma lei non ha ceduto e ora tutta l'isola ride alle loro spalle. Mi dispiace perché la signora Giovanna mi dava sempre la cioccolata».
Frugò nella tasca dei pantaloncini e tirò fuori una lettera sgualcita.
«Questa è per voi.»
Senza aggiungere altro lo scugnizzo se ne andò, non lasciandogli il tempo di ribattere.
Girò tra le mani la busta; c'era scritta, nella grafia che riconobbe come quella di Giovanna, una sola parola: Luca.
Non poteva aspettare di tornare a casa e aprì subito la busta strappandola in malo modo.

Luca, vado via, mi sono innamorata di un altro. Addio.

Giovanna si crogiolava al sole di una spiaggetta del livornese. Sentì il tocco leggero di Bruno che disegnava i contorni del suo viso e piano piano scendeva verso il collo, esplorando poi le linee dei suoi seni. Lei sospirò e lui assaporò le sue labbra che sapevano di sole e di mare.











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