17. "Piano C"
Devo dire due cose importanti. La prima, mi scuso se questo capitolo è orribile, ho provato a riscriverlo tre volte e proprio non mi esce in un altro modo, questo era il più decente quindi eccolo qui. Seconda cosa, che è la più importante. Odio doverlo chiedere basandomi su dei numeri, ma è l'unico modo in cui me ne posso accorgere: la storia si sta facendo noiosa, non vi ispira più? Perché ho notato che è da qualche capitolo che i commenti sono diminuiti moltissimo, e questo mi dispiace. Non tanto per il numero in sé -chi mi segue da un po' sa che non sono quel tipo di persona che controlla sempre le visualizzazioni o fa cose del tipo "aggiorno dopo un tot. di voti e commenti"-, ma mi dispiace sapere che la storia non ha più grande interesse per voi. Detto questo mi dispiace, cercherò di capire come migliorare ❤️
Ho preso davvero in considerazione l'idea di bruciare quel dannato vestito, soprattutto dopo essermelo levato e aver messo una tuta da casa.
Casa mia, finalmente. Manca solo Pumba, che recupererò domani mattina quando Alex andrà a lavorare. Ho ancora le chiavi, tanto, nella mia borsa.
Mi stendo sul divano, chiudendo gli occhi. Sto disperatamente provando a non pensare a cosa stia facendo Alex in questo momento, ma è piuttosto difficile. Forse è perché sono mezza ubriaca, o forse semplicemente perché ora me lo immagino come un cucciolo abbandonato. Ha esplicitamente detto che odia quei tipi di eventi, ed io l'ho lasciato lì. Però Linda ha ragione: lo avrei messo solo in imbarazzo. Per quanto possa far male, è meglio così.
«Zeus, ti detesto.» Borbotto, chiudendo gli occhi. Lo detesto per ogni volta che gli ho chiesto di fulminarmi e non l'ha mai fatto, e, anzi, mi ha mandato qualche disgrazia. Come se non ne avessi già di mie.
Sono passate due ore da quando ho lasciato quello stupido evento e ancora non ho il coraggio di accendere il telefono. So che Alex tra poco tornerà a casa e mi cercherà, oppure mi chiederà per messaggi in che senso mi sono sentita male. Credo di essere in uno stato di dormiveglia quando sento il campanello. Eppure la prima volta continuo a pensare che sia un sogno, perciò non mi muovo. Alla seconda volta, però, mi innervosisco e mi alzo.
Apro la porta, trovando un Alex con un sopracciglio inarcato e la camicia sbottonata sui primi bottoni. Si è anche levato la cravatta. Sono incinta, dice una vocina nella mia testa. «Mi sa di déjà-vu.» Commenta lui, con l'accenno di un sorriso. «Solo che mancano le tue meravigliose pantofole.»
Mi sposto leggermente, per farlo passare. «Come sapevi che ero qui?» Non che ci voglia molto, sia chiaro, e adesso che ci penso potevo andare da Leah per non essere trovata. Ma quando uno è deficiente è deficiente, non c'è nulla da fare. Magari il mio subconscio sperava che venisse a cercarmi.
«Sono andato ad esclusione.» Chiude la porta alle sue spalle e si appoggia, incrociando le braccia al petto. Cerco di non osservare i muscoli contratti delle braccia e delle spalle. «Perché te ne sei andata?»
«Mi sono sentita male.» Riprovo con questa scusa, ma Alex sbuffa. Capisco che sia arrabbiato, mi ha anche detto di rimanergli vicino. Ed io ho fatto tutto tranne quello.
«Pensavo che fossimo nella fase dove più o meno ci possiamo dire tutto. Andiamo, Penny, perché te ne sei andata?» Sembra soltanto preoccupato ora. Mi guarda negli occhi mentre sospira e si porta una mano tra i capelli.
Mi mordo l'interno della guancia. «Beh, questo è più meno. Dovresti tornare lì, Alex, per l'azienda.»
Abbiamo litigato solo una volta, e qualche ora dopo ci siamo baciati. Ma ancora mi ricordo il pranzo in cui mi ha ferito come non mai, in un modo che non pensavo fosse possibile. Era arrabbiato, ed era evidente. Ora non è arrabbiato, è frustrato. «Chi diavolo se ne frega di quell'azienda, Penelope! Non me ne importa niente se devo ammazzarmi per averla, soprattutto se devo rinunciare a te. Mio padre potrebbe pure licenziarmi stasera, non rimpiango e non rimpiangerò mai di aver lasciato quella stupida casa per venire da te.»
Scuoto lentamente la testa. Non è per questo che abbiamo messo su questo teatrino. Non dovrebbe andare così. «Non voglio questo, Alex. Non voglio essere la causa per cui tu rinunci a tutto quello che hai lottato negli anni. L'hai detto tu che in pratica è l'azienda di tua madre. Devi tornare a quell'evento e prendertela.» Ma senza di me, perché lo metterei troppo in imbarazzo. Questo però non glielo dico, e non dico neanche chi mi ha messo in testa questi pensieri.
Lui sorride e si avvicina così tanto che il suo respiro si mescola al mio. Le sue labbra sono vicine, troppo per non tentarmi. «Sai cosa voglio io, invece?» Mi prende entrambe le mani, stringendole tra le sue. Mi guarda negli occhi quando parla. «Voglio stare con te, Penelope. Non con quella gente.»
Forse sono un'idiota. O forse mi sto innamorando. È per questo che mi alzo sulle punte e premo le labbra sulle sue, spinta da un moto di coraggio.
Se il nostro primo bacio era dolce e lento, questo è tutto il contrario. Questo esprime desiderio, quello che noi entrambi abbiamo cercato di soffocare in queste settimane insieme. Mi lascia le mani soltanto per prendermi per la vita e sollevarmi, perciò gli circondo la vita con le gambe. Ci baciamo con così tanta intensità che quando smettiamo abbiamo il fiatone, ed Alex mi incastra tra lui ed il muro. Mi viene da ridere, ma smetto quando mi bacia il collo. «Il piano A è andato, e anche il B a questo punto. Hai qualche idea per il piano C? Perché io ne ho alcune.»
«Mi affido a te.» Sussurro, allontanandolo leggermente soltanto per sbottonargli la camicia. Alex mi guarda, e sorride. C'è una luce diversa nei suoi occhi, una che non gli avevo mai visto. Mi chiedo se sia così anche per me, se stia scoprendo un lato completamente nuovo. Quando la sua camicia è caduta a terra lo riprendo a baciare, questa volta più lentamente. Voglio assaporarmi ogni momento di stasera, perché credo di sapere cosa stia per succedere. «La mia camera è al piano di sopra.» Sussurro, ad un palmo dalle sue labbra.
Alex ridacchia, questa volta lui sta spogliando me. «Troppo distante, Penelope.» Mi ristringe a sé, portandomi in soggiorno. So che non è proprio il momento, ma mi metto a ridere. «Sono felice che sei divertita mentre stiamo per fare l'amore, Penny.»
«Scusa.» Mi adagia sul divano e resta un attimo in piedi, ad osservarmi. Stranamente non sono ancora in imbarazzo sul mio corpo, forse perché ho ancora i pantaloni ed il reggiseno. «Che c'é?»
Scuote lentamente la testa e si china per lasciarmi un bacio sulla testa. «Sei bella. Dovrei davvero santificare la mia macchina per essersi fermata qui davanti.»
Cerco di trattenere un sorriso e lo bacio di nuovo. È mio, per la prima volta. Non per finzione, non perché ci ricaviamo qualcosa. Ma perché entrambi vogliamo essere dell'altro. Anima, corpo e mente. Mi innamoro di ognuna di queste tre che appartengono a lui.
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