Il ragazzo aldilà della porta
-Tutto quì? Quello che sai su casa tua è solo questo?-
-Non ci ho passato una così ampia parte della mia vita da quel che ti ho detto, per il poco tempo che ho ci ho passato potresti anche accontentarti!-
Il ragazzo guardò Ghedwes male come se avesse pensato alla risposta come sensata poi tornò alla carca.
-Beh non posso!-
-E perché no?!-
Una guardia interruppe i due litiganti affermando che era ora del coprifuoco per i cadetti e di dormire per i prigionieri. Bugiardo. Ghedwes, al contrario di Manaleb, si lamentò.
-No aspetta! Ci devi ancora il bagno e la luce!-
-Domani Principessina-
-A chi hai dato della principessina? Quì sei tu quello piu vicino ad esserlo!-
Il ragazzo sembrò non essere irritato dalla risposta della ragazza, anzi ne appariva divertito e la fissò con i suoi luminosi occhi verdi che contrastavano con il buio.
-Sei solo una schifosa Strega Corvo, non meriteresti neanche di essere viva!-
Il suo sguardo divertito si era trasfigurato in uno pieno d'odio che sembrava dar vita ad una rabbia repressa da anni. Lui non era così però, Manaleb lo sapeva perché era parte del suo potere, conoscere le persone, sentirle. Era più utile di quanto potesse sembrare, i Veggenti erano più pericolosi di quanto si potesse pensare.
-Comunque Principessina, tieni a bada la lingua-
Ghedwes preferì non infierire, nonostante lei non ne percepisse l'animo sapeva come fosse avere l'orgoglio ferito. In presenza di una guardia farsi mettere i piedi in testa da una prigioniera in catene era veramente ridicolo, soprattutto per un soldato, così abbassò lo sguardo in silenzio aspettando di non sentire più suoni da oltre la spessa porta. Appena il suo udito fino le accertò che fuori erano tutti fermi si voltò verso Manaleb facendo tintinnare le pesanti catene. L'uomo si girò a fissarla. Non leggeva il pensiero ma sapeva che come lei pensava alla sua vecchia vita, ai suoi proggetti, ma soprattutto a quello che sarebbe successo da lì a quattro giorni. Si leggeva nel suo sguardo la paura della morte. Lei l'aveva provata più volte di quanto gli altri potessero immaginare prima di scoprire di essere una dei pochi immortali reincarnati. Un corpo di passaggio di un'anima forte in cerca del suo corpo ideale. Quella condizione non la rendeva immortale ma se accettava la morte con onore avrebbe conservato la sua anima per un'altro corpo sperando nel corpo giusto per diventare a tutti gli effetti un'immortale.
-Manaleb, tutto bene?-
-Come potrebbe? Tra soli quattro giorni morirò appeso ad una corda o con la testa mozzata,o bruciato vivo, o annegato nel fiume addirittura potrebbero impalarci. Ci hai mai pensato? È un nuovo metodo più doloroso e lento per uccidere in modo teatrale ed io lo rischio-
-Non hai fatto nulla di così grave useranno o il boia, o la ghigliottina o l'impiccagione-
-Tu pensi?-
In verità aveva pensato a quei poveretti impalati ma è troppo rischioso in tempi così lunghi lasciare una strega del suo callibro in preda al dolore, perché sapeva che se voleva poteva tranquillamente andarsene da quelle prigioni. Tuttavia non era sicura per Manaleb che era solo un Veggente.
-Ne sono certa-
Sorrise ma i dubbi ricoprirono il suo volto con una smorfia schifata dall'immagine di Manaleb impalato. Si accasciò lentamente contro il muro facendo dolere gli ossuti polsi che sostenevano il poco peso del suo corpo, ormai non li sentiva più, andare lì per morire le era sembrato intelligente, ma non era così, sarebbe dovuta scappare finche poteva, finche il destino non si era ancora intrecciato a quello di Corimmber, l'uomo a cui doveva dare la lettera e che da lì a quattro giorni avrebbe incontrato per poi tornare a casa sotto forma di corvo e cercare un'altra lettera. Ghedwes si appisolò pensando alla doccia che il ragazzo aveva promesso e che avrebbe preteso il giorno seguente, voleva "morire" nei migliori dei modi.
Manuale del buon osservatore.
I corvi, quelli veri, non volano a nord da anni per timore di quelli "falsi" cioè le streghe e gli stregoni della specie Corvo Messaggero o figli della morte dato che la portano con se dalla nascita. Dati i precedenti motivi ogni osservatore è tenuto dal comando del regno ad uccidere tutti i corvi avvistati a dirigersi a nord e tenerne il conto. Una volta uccisi devono essere messi nei sacchi appositi in dotazione ad ogni osservatore regale. Se non si hanno a disposizione sacchi adatti la procedura è molto semplice: per prima cosa il vostro compito è bruciare il corpo dell'animale che scomparirà lasciando perfettamente intatti piume, penne e ossa. Successivamente raccogliere le ossa e le piume in un contenitore qualsiasi da riempire di fango o sabbia ed immergere il tutto in acqua, la corrente porterà via la terra e i residui verranno polverizzati. Se la procedura non funzionasse, caro osservatore il tuo Corvo Messaggero era solo un corvo disorientato.
Il Capitano Osservatore della contea di Wedhk
Non c'era un modo particolare per capire quando svegliarsi. Manaleb era ancora abituato ai giorni esterni e si svegliava con una certa precisione sul sorgere vero e proprio del sole e le guardie solitamente arrivavano una decina di minuti dopo che lui si era svegliato. Quella mattina era trepidante poteva giurare di vedere il sole oltrepassare le rocce per venire ad illuminare, come da una finestra, quel buco di cella. Era pronto, in piedi davanti alla porta ad aspettare il ragazzo dagli occhi verdi, probabilmente era felice anche lui, come Ghedwes, di fare al doccia. Ma il ragazzo non arrivò, non subito almeno, e non di buon umore. Era chiaro che lo avevano pestato il giorno prima. Ematomi bluastri e violacei risaltavano sul viso e sul corpo facendo brillare ancor di più gli occhi verdi. Candide bende ne fasciavano le braccia ed alcune erano macchiate di rosso. Ghedwes lo guardava stupita, non riusciva a capire tanta vioenza nei confronti di quel cadetto che tutto sommato stava facendo un'ottimo lavoro. Albeheret fissò Ghedwes come se pensasse che fosse colpa sua poi da solo capì che non era così, non poteva essere così, lei era sempre stata lì dentro da quando lui era arrivato e certamente le guardie non lo avrebbero picchiato solo perché lo voleva una prigioniera con cui tra l'altro non parlavano da quando era sotto il suo controllo. E allora perché non riusciva a non odiarla? Ci aveva provato molte volte, a capirla, ma non ci era riuscito, mai. Si era arreso e ormai si limitava a sopportare di parlare con quell'essere ancora per tre giorni.
-Vi ho portato la luce come promesso e sta sera farete la doccia. Se volete vi offro dei vestiti nuovi già oggi dopo esservi lavati in cambio di qualche racconto-
-Caro il mio soldatino parliamoci chiaro-
Ghedwes lo guardava, e Albeheret guardava lei chiedendosi cosa volesse di più quella sanguisuga, probabilmente se non fosse nelle prigioni sarebbe da qualche parte nei boschi a vivere come una selvaggia, per non parlare dell'uomo, per anni aveva vissuto come un uomo normale rubando: cibo, lavoro e soldi al magnifico regno di Zortaj e agli altri abitanti dello stesso, regno che, tra l'altro, serviva. La ragazza riprese il discorso attirando nuovamente l'attenzione del soldato.
-Noi ti raccontiamo delle nostre vite ed otteniamo aiuti, ma non mi fido abbastanza per dirvi altro. Di preciso queste informazioni a cosa servono? Il regno le userà contro il popolo magico vero?-
-Ad una strega come te non dovrebbe cambiare, e comunque tra tre giorni morirai, cosa ti importa di cosa accadrà dopo?-
-In accademia c'era una specie di motto che tutti conoscevano, ripetevano e riconoscevano come proprio. Noi portiamo la mala novella della morte imminente, la fine della vita con gioia e fatica compiuta, ma non sol questo è il nostro compito, anzi esso è parte della conoscenza, perché noi portiamo ciò che di giusto e di sbagliato uno ha donato in vita. Ed in vita noi errori non dobbiamo commettere per non ricevere una lettera da un corvo dalla penna nera. In pratica dice che non dobbiamo ricevere lettere alla fine della nostra vita altrimenti sarebbe come essere un umano- Si voltò verso Manaleb e aggiunse - O un Falso- L'uomo rabbrividì all'ultima parola che probabilmente per magici aveva un qualche significato più profondo di un semplice infiltrato nel mondo umano.
Albeheret osservava i due lanciarsi sguardi di disapprovazione e si ritrovò a pensare che erano simili a due bambini. Uno: ingenuo e capriccioso ma facile da sottomettere anche se non altrettanto facile da ferire. L'altra: forte, decisa, all'apparenza, terribilmente orgogliosa, troppo per ammettere di essere stata ferita ma al tempo stesso astuta ad ingegnosa come un bambino in missione segreta per rubare le caramelle dalla cucina dell'orfanotrofio, come lui quando rubava i dolci dalla cucina del suo orfanotrofio immaginando di rubarle dalla cucina in cui stava una madre amorevole non una grossa donna triste e sola. Ricordava quei giorni con amara tristezza e compassione ma soprattutto con odio e rancore.
- Un giorno d'inverno, quando ancora il ghiaccio persisteva ma il sole alla mattina sbucava dalle montagne sempre più presto, incontrai un vagabondo-
I due prigionieri fermarono quella che ormai era diventata una vera e propria lite ed osservavano incuriositi il ragazzo che, non curandosi delle apparenze, si confidò con loro.
-Lo aiutai e lo accompagnai in casa mia, mia madre non mi capiva mi chiedeva cosa stessi facendo ed io risposi che aiutavo un uomo in difficoltà come lei mi aveva insegnato, non ne capii mai il motivo ma si mise a ridere illuminando la stanza grigia-
Sospirò e tornò a guardare i due prigionieri che avevano definitivamente smesso di litigare e sorrise, non ne sapeva il motivo ma non riusciva ad odiarli in quel momento, era come se tutto il rancore che provava se ne stesse andando raccontando quella storia per lui così difficile da ricordare. Uscì dalla stanza e prese una sedia, aveva male per le ferite e inizialmente non riusciva a sedersi, Manaleb si alzò e lo aiutò sostenendolo. Anche quel piccolo gesto lo sorprese, dato che normalmente non si faceva nemmeno toccare.
-Grazie-
-Prego-
L'uomo sorrise e tornò a sedersi sul suo pagliericcio sporco.
-Preparammo un pranzo caldo e fumante per il vagabondo, io e mia madre usammo gli ingredienti migliori tra i pochi che avevamo. Mio padre ci aveva abbandonati appena scoperto che mia madre era incinta, da allora era stata emarginata dalla società e si era stabilita sulla montagna con un eremita, lì c'era la neve in inverno al contrario della pianura circostante, così a fine stagione le poche provviste che avevamo erano importantissime, decidemmo di condividerle con l' uomo che sembrava averne molto bisogno. Il viso era celato da un cappuccio nero e sporco, mani grandi e forti sbucavano dalle maniche della tunica che indossava sotto al mantello stretta da una cintura di corda da cui pendeva un piccolo pugnale. Durante il pasto dei piccoli baffi accompagnati da un pizzetto scuri, comparvero a contornare una bocca sottile e rossa che tremava per il freddo. Terminata la zuppa l'uomo si tolse il cappuccio e si mostrò per come era: un ragazzo nel fiore degli anni dai tratti forti e scavati, dalla pelle diafana, dai capelli corvini e dai grandi occhi dorati-
A quell'unica parola Ghedwes sussultò, tentò di ricomporsi, di mostrarsi forte e di non dare a vedere la sua preoccupazione ma era tardi per nascondere l'ansia così quando il ragazzo le chiese cosa non andava lei chiese di continuare a descrivere l'uomo ed il ragazzo continuò.
-Il suo nome era Jaren-
Un sussulto maggiore della ragazza fece tremare le catene ed una debole lagna sussurrata si levò nella stanza rimbombando contro le pareti -Non quel nome, non quell'uomo non quella donna, non quel posto, non quel nome, non quell'uomo...- Un continuo ripetersi delle stesse frasi con un leggero tintinnio provocato dal dondolamento della ragazza avanti e indietro ripetuto anch'esso più e più volte. Albeheret riprese il racconto il che sembrava rassicurare Ghedwes che si limitava ormai ad uno sguardo di tensione.
-Ci parlò a lungo del suo viaggio, disse di venire dall'estremo nord per trovare una persona a cui aveva fatto una specie di promessa. Era passato attraverso le fredde foreste buie del nord, valicato Le Fila Delle Corna a cavallo di un alce, oltrepassato i freddi deserti che precedono la steppa e le dolci pianure prima di raggiungere la capitale piena di specchi e argentei orpelli. Disse anche di essere ripartito dopo un po' perché la persona in questione era stata per un determinato periodo nella capitale, circa un mese, poi tornò a casa ma lui ne perse le tracce, successivamente scoprì che abitava nella penisola del sud-est più o meno dove ci trovavamo noi. Disse che ne aveva nuovamente perse le tracce e quindi si sarebbe stabilito sulle montagne per un po' dicendo che erano di suo gusto. Ero stranamente attirato da quell'uomo così diverso da me e mia madre.
Per un lunghissimo periodo visse con noi, all'inizio solo per aiutare durante la sua permanenza sulle montagne, poi mia madre e lui si innamorarono. Avevo otto anni quando arrivò e dieci quando mi presentarono mio fratello Davir. Non mi diede problemi come mia madre e quello che ormai era diventato mio padre credevano, Davir era il fratello che desideravo anche se un po' petulante a volte. Ma un giorno qualcosa di strano si era insinuato nello sguardo d'oro e ambra di Jaren-
l'ultima frase sembrò la prima di una serie di tragiche situazioni che il ragazzo teneva per se da ormai troppo tempo.
- Gli occhi arrossati dal pianto di Jaren piombarono nella casa alla ricerca di mia madre, in quel momento una lacrima si stacco dalla coda del suo occhio sinistro per continuare il suo viggio lungo il volto tirato dell'uomo che avevo di fronte. Aveva il fiato corto ed ansimava per la corsa alla ricerca di mia madre. -Piccolo dov'è la mamma? Devo darle una notizia importante- Lo guardai preoccupato, da quando c'era Davir non mi chiamava mai piccolo se non era grave -È dall' eremita per ringraziarlo delle bacche- Mi sorrise -Grazie piccolo, preparati a non vedermi più- A quell'affermazione non riuscii a reagire in modo normale dato che difronte a me quell'uomo si stava lentamende trasformando. I capelli sostituiti da piume nere rilucevano al sole primaverile e il naso e la bocca si stavano unendo a formare un becco aguzzo. Quello che io chiamavo padre era un' orribile e spregevole Corvo Messaggero. Un essere che mai dimenticherò. Jaren, non potrò mai perdonare quello schifo di magico, non avrebbe nemmeno meritato di vivere abbastanza a lungo da...-
-SMETTILA DI INSULTARE MIO PADRE!-
Albeheret si voltò di scatto verso Ghedwes che aveva appena urlato.
-Tuo padre?! L'essere che portò la lettera a mia madre è tuo padre?! L'essere che uccise MIA madre è TUO padre?!-
-Sì! E fu uno dei migliori, se non il migliore in assoluto, tra tutti i corvi!-
- Si il migliore! Se per migliore si intende nel rovinare la vita degli altri!-
-Mio padre amava tua madre! E a me questo sta bene! Ho consciuto molti umani orribili ma non vi giudico tutti uguali per questo! Tu conosci a malapena due corvi e credi di sapere cosa proviamo?!-
Manaleb alzò piano la testa tremando e facendo scivolare gli occhiali sul suo naso.
-Come si chiamava?-
-CHI?-
-Tua madre-
-Tamy-
L'uomo deglutì rumorosamente creando il silenzio più teso che i tre avessero vissuto da numerosi tempi. La tensione si tagliava con un coltello e tutti erano tesi come una corda di violino in attesa di un continuo del dialogo.
-Allora è possibile che tu sia mio figlio-
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