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Crollo

Era lì, su di lui, con gli occhi iniettati d'odio e una scheggia delle catene tra le mani. Voleva ucciderlo. Voleva uccidere entrambi. Sia Albeheret che Manaleb, entrambi si chiedevano come si fosse liberata dalle catene che la tenevano imprigionata fino a poco prima. Alzò un braccio velocemente, lo abbassò per colpire Albeheret con la scheggia di metallo. Si fermò a pochi centimetri dal suo occhio sinistro, abbassò il braccio lungo il corpo dopo aver buttato la scheggia in un angolo e si mise a piangere.

-Mi stai dicendo che mio padre era ancora vivo e che si era rifatto una vita?-

Albeheret deglutì rumorosamente per poi tornare a sedersi incuriosito e spaventato dalla reazione della ragazza.

-Non so cosa pensi sia successo a tuo padre ma è così, anche se non è l'unica cosa in sospeso-

Si girò verso Manaleb che si trovava in un angolo ad ascoltare i due discutere.

-Tu brutto bastardo!- Iniziò Albeheret -Perché hai abbandonato mia madre? Perché non sei rimasto? Per te Tamy era solo un gioco? Rispodi!-

Manaleb strinse gli occhi e si appiattì in un angolo, non respirava più schiacciato dalla furia di Albeheret che si era alzato e lo sovrastava.

-Rispondi ho detto!-

Passarono lunghi attimi di ansia in cui Ghedwes smise di piangere. Poi l'uomo sudato parlò, anzi gridò, urlò al modo cose che teneva dentro da anni.

-Sono stato costretto! Non volevo lasciarla! Ma se fossi rimasto sarei morto e avrebbero ucciso anche te e lei!- Prese un respiro e riprese a parlare, senza urlare questa volta -Stavano costruendo una base non lontano dal villaggio, mi avrebbero trovato e vi avrebbero ucciso se non torturato. Non volevo che vi accadesse qualcosa di male così sono fuggito-

Una lacrima gli rigò il volto e negli sguardi dei due ragazzi si accese una nota di compassione. Come potevano criticare quell'uomo per aver salvato la sua famiglia? Pensandoci bene Albeheret doveva essergli riconoscente anche se non ci riusciva. Ghedwes, intanto, stava pensando al rapporto che aveva con i due uomini, Manaleb non poteva essere certo identificato come modello di perfezione come neanche suo padre visto che lui l'aveva semplicemente abbandonata, non per salvarla, non per salvarsi, non per lavoro, semplicemente l'amava meno di quanto non amasse Albeheret e Tamy ma per Manaleb provava qualcosa di diverso, lo sentiva come un nonno più che un padre, forse perché nei suoi ricordi, quelli ancora belli, suo padre era molto giovane, ma comunque un nonno stranamente irritante e ignorante, forse uno dei motivi per cui tollerava Manaleb era il fatto di essere entrambi magici, ma l'uomo che ormai non era più così grassottello come inozialmente si era presentato era un Falso, aveva rinnegato i suoi poteri per vivere con gli uomini, lo avrebbe accettato se fosse stato un Nascosto ma i Falsi erano traditori per quelli dell'Accademia. Albeheret invece, non sapeva se considerarlo suo fratello, diventavano fratellastri in una situazione simile? E se anche fosse cosa sarebbe cambiato? Improvvisamente sarebbero diventati amici? No, probabilmente si sarebbero distrutti a vicenda presi dall'odio dell'uno verso l'altra e viceversa. In quel momento decise di scappare. Andare lontano ed usare quei pochi poteri che non aveva perso durante la trasmutazione da Nascosta a Falsa, perché si era arresa ed era quello il motivo per cui odiava anche se stessa.

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Era scappata senza pensare, aveva sfondato la porta con i poteri che stavano tornando a scorrere ed ad intorpidirle le mani. Nella guardiola non c'era ancora nessuno quindi Ghedwes iniziò a correre lungo i corridoi e per le scale, su, giù, a destra, sinistra per poi tornare indietro e finalmente dopo l'ennesima rampa di scale a chiocciola, riuscire a sbucare nel palazzo. Il bruciore agli occhi era tale che aprirli era impensabile e Ghedwes barcollò all'indietro colpendo la parete alle sue spalle. Lentamente gli occhi si riabituarono alla fredda luce mattutina dopo molto tempo e la ragazza prese ad esaminare il luogo in cui era. Si trovava alla fine di un corridoio laterale ricco di quadri, di certo non l'entrata che aveva usato la prima volta, quella in cui si trovava era un'entrata secondaria e lei era entrata, ai tempi, per il tribunale quindi dall'entrata principale per i prigionieri. Si guardò in torno mentre lentamente camminava lungo il locale. Il pavimento di pietra bianca era lucido e rifletteva l'immagine della strega cambiata durante i due mesi e due settimane di prigionia. Le pareti erano dipinte di una strana tonalità di rosa antico e perlato, un falso colonnato si alternava ai quadri ed ai manichini da esposizione con armature di metalli preziosi o abiti dei più complessi e antichi, esso era impreziosito da riccioli d'oro e d'argento a tratti opachi a tratti lucenti. Alzando lo sguardo trovò un soffitto interamente ricoperto di argentei specchi che riflettevano la sua immagine centinaia di volte. Proseguì ancora un poco trovandosi all'incrocio con il corridoio principale, alla sua sinistra proseguiva una decina di metri per poi svoltare, alla sua destra, invece, proseguiva dritto per molti più metri per poi incontrare un grosso e pesante portone di legno. Ma un altra cosa la incuriosiva della destra, esposta su un manichino c'era la divisa degli osservatori regali completa di tutto. Ci pensò attentamente prima di indossare la divisa che era certamente più comoda, calda e meno inusuale della sua leggera tunica marrone chiaro, sporca e rotta. Dopo essersi vestita Ghedwes si specchiò in una colonna lucida. Maglia pesante stretta in vita una spessa cintura alla quale era agganciato il fodero di una spada corta che purtroppo non era affilata. Pantaloni larghi e morbidi di una specie di beige, stivali alti fino al ginocchio di quoio nero, per fortuna della misura quasi perfetta, il tutto coperto da un mantello con cappuccio e cappello marrone scuro. Lì vicino c'era anche una borsa a tracolla, probabilmente era di una guardia di palazzo dato che al suo interno c'erano: un coltello affilato, una mela, dei soldi, una borraccia d'acqua ed un pezzo di corda, Ghedwes ci aggiunse la sua lettera ancora con il sigillo del corvo impresso di un giallo lucente. Si aggiustò il cappello e dopo aver fatto indossare la sua tunica al manichino si avviò alla finestra da cui guardò per orientarsi meglio.

Lo scenario che vide la fece sorridere. Numerose bancarelle disposte a semicerchio vendevano leccornie ed oggetti di ogni tipo, forma e colore. Al centro della grande piazza di pietra bianca si stagliava un palco di legno scuro, si distinguevano chiaramente le botole, quelle che si sarebbero aperte di lì a poco sotto i piedi suoi e di Manaleb se lei non fosse scappata. Nonostante il pensiero non dei migliori Ghedwes aveva capito dove si trovava. Per uscire sarebbe dovuta andare a destra oltrepassare la grande porta e svoltare a destra il prima possibile per poi arrivare nel grande atrio e scendere le scalinate.

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-Avresti almeno potuto dirlo!-

-E come? Scusa cara ma sono un magico e devo scappare o i soldati ti ammazzeranno con tuo figlio!-

-No!-

-Come allora!?-

Albeheret non ripose.

-Come!?-

Il ragazzo fece ancora silenzio abbassando lo sguardo.

-Come!?-

-NON LO SO!-

Albeheret, dopo un gesto di stizza, fece per andarsene ma Manaleb lo fermò, non voleva che il suo unico figlio ancora in vita e ritrovato da poco andasse via arrabbiato.

-Non mi toccare!- Alzando il braccio per scansare il padre Albeheret colpì il viso di Manaleb con violenza e lui gli rispose.
Si picchiavano da un pò quando una delle numerose guardie che erano accorse a vedere la scena portò con se la notizia della fuga di Ghedwes, i due uomini si guardarono intorno agitati ed imbarazzati sentendosi stupidi ad accorgersi solo avvisati da altri della sparizione della ragazza. Entrambi tentarono di correre all'esterno ma le guardie creando un muro sulla piccola entrata sfondata e sgangherata li fermarono.

-Hey, calmatevi. Ci pensiamo noi alla ragazza che stava quì, in queste condizioni ci fareste cattiva pubblicità-

Il tipo che aveva parlato portò i due in infermeria mentre gli altri si preparavano per quella che chiamavano caccia al corvo.
L'infermeria congedò velocemente Albeheret con una semplice affermazione -Va dal superiore e fatti mandare a casa, o se propio vuoi lavorare fatti assegnare all'ufficio per in pò, l'importante è che riposi e ti riprendi- poi si concentrò su di Manaleb che era uscito dallo scontro ferito molto più gravemente di Albeheret e si era addormentato sprofondando in un sonno agitato.

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Correva, continuava a correre ma diventava sempre più grasso, i graffi che si era procurato colpendo i rami spinosi della foresta che lo circondava erano sempre meno numerosi ma più dolorosi, sembrava che al passaggio di una di quelle piccole punte insidiose un graffio venisse richiuso per spostare il suo dolore una volta per ogni graffio ancora presente sulla sua pelle. Gli alberi dalla corteccia violacea lentamente si diradarono fino a sparire per lasciare posto ad un prato che da verde pino si tingeva del più bel profondo blu mare. Continuò a correre ma a fatica ed all'improvviso respirare diventò impossibile e Manaleb continuava a correre trattenendo il fiato, in apnea, con i polmoni che bruciavano per la mancanza dell'agoniato ossigeno. Il celo del primo pomeriggio si oscurò lasciando posto ad un blu notte senza stelle. Non riusciva più a trattenere il fiato così si lanciò sul prato blu in preda alle agonie del soffocamento per poi accorgersi, immergendo il viso nell'erba bluastra, di riuscire a respirare, e Manaleb respiró a fondo, avidamente per poi precipitare nel prato e trovarsi in un mare cristallino nel quale stava affogando. Nuotando confusamente raggiunse a fatica una minuscola isola pianeggiante, circolare e di uno strano colore verde acceso. Non vi era nulla se non una porta di legno laccata di rosso cremisi che l'uomo aprì ed attraversò cadendo ancora una volta trovandosi immerso in coperte di lana piene di buchi.
Si era finalmente svegliato. Il sudore imperlava la fronte di Manaleb che respirava ancora a fatica ansimando. Si buttò sul letto della piccola infermeria dopo aver bevuto un pò d'acqua da un bicchiere sul comodino in legno vicino al suo letto e respiró a fondo cercando di calmarsi il più possibile.

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-Signore? Mi ha mandato a chiamare?-

-Certo, siediti Albeheret-

L'uomo fece segno alle guardie di uscire ed esse obbedirono sospettose.

-Ragazzo, non voglio sapere perché ti sei pestato con il Veggente, ma dimmi cosa sei riuscito a scoprire?-

Albeheret sbiancò alla domanda. Cosa so? Cosa ho scoperto? Poi tirò insieme qualche informazione e prima che Haggan Cole, il superiore più paziente del regno, potesse dire qualcosa parlò.

-A nord, oltre le Corna, c'è una foresta. Tre alberi molto alti rispetto agli altri e con delle ramificazioni strane ospitano tre grandi città:Mantrok, Dempre e Satyum, la nostra prigioniera viene appunto da una di esse, Satyum, li le piccole streghe vengono preparate ad usare la magia ed a padroneggiare le tecniche di combattimento e di sopravvivenza-

-Tutto qui quello che sai?-

Il ragazzo ci pensò e poi riprese.

-No, stando a quello che so qualunque strega può essere un corvo. Ognuna delle piccole streghe e stregoni corrisponde ad un animale in base ai loro desideri, non so tuttavia come si fa a corrispondere ad un cristallo. Una volta che ci si sente pronti si va in una delle grandi biblioteche, una per città, e si cerca la lettera adatta a se, non so cosa sono di preciso queste lettere, so che contengono le azioni di un individuo. A quel punto ognuno parte e cerca di consegnare la lettera alla persona predestinata. Tutti solitamente muoiono dopo aver consegnato la lettera ma i corvi per qualche strano motivo si salvano da questa fine tremenda, infatti tornano a nord sotto forma di corvo per prendere un'altra lettera da consegnare-

-E queste lettere cosa contengono?-

-Come ho detto prima, le azioni di un dato individuo in vita, tutto il male e tutto il bene che ha compiuto. Non solo gli uomini ma anche i Falsi le ricevono-

-I Falsi? Sai qualcosa anche su di loro?-

-No, non proprio. Penso che il veggente sia un Falso-

-Da cosa lo hai dedotto?-

-Dal comportamento del corvo, sembra disprezzi i Falsi-

-Sai ragazzo che di nuovo hai portato poco e niente?-

-Mi scuso signore-

-Ora abbiamo perso una delle nostre migliori fonti e quello che sappiamo di nuovo non ci è utile in alcun modo-

Albeheret chinò la testa comprendendo il suo errore ed annuì all'uomo di fronte a lui che si era alzato dalla poltrona ed oscurava la grande finestra del lussuoso ufficio rosso.

-Albeheret, non credo che riavrai il tuo posto-

-Si, Signore-

Il ragazzo frustrato tornò nella sua piccola cabina, prese le sue cose ed uscì, non poteva credere di aver perso il lavoro, non poteva accettarlo. Si diresse verso l'unico posto che gli venne in mente: la locanda di Elde, una sua amica.

Camminava veloce attraverso le chiare mura della città alta. Alti palazzi di legno chiaro, argento e mattoni di pietra bianca si ergevano nella loro maestosità donatagli dai numerosissimi vetri e specchi. Continuando a camminare lungo una leggera discesa lentamente il paesaggio cambiò. Case a schiera con non più di cinque piani sfilavano lungo i larghi viali, i portici in muratura, sempre tendente al bianco, ospitavano numerosi negozietti di alimentari e artigianato. Alcuni artisti di strada si stavano esibendo e l'allegra colorazione dei loro abiti era in contrasto con la pacifica serietà che la città trasmetteva. In realtà era molto più spensierata di quanto si potesse immaginare ma, in antichità, per farla riconoscere meglio dai viaggiatori del deserto era stata costruita con colori tenui e chiari e dotata di molte superfici riflettenti, in contrasto con la sabbia che lì era scura, così si mantenne la tradizione di edificare in quel modo, ancora utile ai viaggiatori e che, solitamente, piaceva ai turisti una nuova classe di viaggiatori nati negli ultimi anni. Ancora il paesaggio mutò avendo raggiunto la periferia della città, le case erano ancora bianche ma non si poteva dar loro nome di casa senza insultare le altre abitazioni. Metalli arrugginiti sostituivano quello che in centro era argento lucido, gli specchi erano sfogliati lasciando lastre di vetro opache e rotte, il legno era marcio e gonfo, la pietra era quasi inesistente e la poca presente si sgretolava al solo toco di un dito. Albeheret raggiunse il luogo sperato ed entrò dalla vecchia porta. Un vociare allegro lo raggiunse assieme all'odore di alcol e di fumo che aleggiavano nell'aria pesante della sala sempre chiusa. Uomini ubriachi di prima mattina e donne accattivanti ballavano, suonavano, cantavano, bevevano e giocavano a carte insieme. La maggior parte degli uomini che si trovavano lì erano vecchi che di notte lavoravano nelle miniere di argento e pietra bianca, anche alcuni ragazzi di miniera si avventurarono lì ma tenevano troppo ai pochi sodi che guadagnavano per spenderli in alcol o rischiarli a carte così si guardavano intorno spaesati ed imbarazzati dalle ragazze che erano felici di non vedere sempre e solo vecchi decrepiti, nelle locande. Le tre cameriere sfrecciavano veloci evitando le mani dei clienti e servendo alla svelta senza dimenticare il pagamento e di guadagnare qualche mancia in più. Albeheret sorrise a quello spettacolo a lui così famigliare e caro, solo da poco era un cadetto, prima le miniere erano la sua casa. Appena le ragazze, che prima assillavano un trio di ragazzini, avvistarono il loro preferito gli corsero in contro lanciando urletti di gioia accorgendosi solo dopo delle ferite sul corpo del giovane.

-Oddio caro! Cosa ti hanno fatto?-

-Niente di ché una scazzottata con un prigioniero ed un diverbio con le guardie-

-Dimmi dove e quando trovarli, non devono osare toccare il mio adorato Alby amore!-

-Non serve, il prigioniero morirà tra tre giorni e le guardie stanno peggio di me, e comunque non chiamarmi amore!- A quel punto il ragazzo si illuminò di uno dei suoi sorrisi migliori e le ragazze si sciolsero lasciandolo passare.

-E comunque non spetterebbe certo a te, Katja, vendicarmi-

Si piazzò sul divanetto rosso assieme ai tre ragazzini che lo guardavano ammaliati da tanta sicurezza e sognanti, nella speranza di diventare soldati in futuro.

-TU! Come osi arrivare qui così come se niente fosse e non salutarmi neanche?!-

Una cameriera dai lunghi capelli rossi aveva preso Albeheret per un orecchio e lo aveva trascinato fuori dalla folla fissandolo con i suoi grandi occhi castani e mettendo un broncio da bambina.

-Non volevo disturbare, sembravi impegnata-

-Sai che tu non disturbi mai!-A quell'affermazione la giovane addolcì lo sguardo ma notando che una delle bende era sporca di sangue sbiancò.

-Ma tu...-

-Non preoccuparti, dammi una stanza e ci penso io-

-Okay-

La ragazza sorrise e voltandosi verso il resto della sala gridò -Il nostro scavatore migliore è tornato!-

La locanda esplose in un boato di gioia e qualcuno ordinò da bere extra per festeggiare.-Elde! Dacci una mano!- una delle cameriere richiamò la fanciulla che sorrideva ancora-Si arrivo!- rispose girando gli occhi al celo per poi voltarsi verso Albeheret.-Chiedi al babbo ora sono occupata, appena posso vengo a vedere come stai- Il ragazzo piantò i suoi occhi verdi sulle labbra rosee della ragazza che arrossì sotto le lentiggini. -Certo Elde- la risposta di Albeheret andò dispersa nella confusione di quello che ormai era un primo pomeriggio. Si sentì chiamare da dietro e raggiunse il bancone -Tieni figliolo, la numero diciotto, la tua preferita no?-

-Grazie mille-

-Non preoccuparti!-

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Era uscita in un lampo dalla città alta e si era sistemata in una locanda molto allegra sulla periferia ovest. Arrivata la sera Ghedwes raggiunse uno degli spazi verdi della citta del deserto, uno dei tanti tentativi mancati di produrre ortaggi come quelli del sud, lì. Una volta certa che nessuno potesse vedere si tolse il mantello e praticò due tagli nella maglia, all'altezza delle scapole. Cercò di volare ma non ci riuscì, allertata dal passaggio di un gruppo di uomini ubriachi tornò alla locanda e si mise a dormire pensando a cosa fare l'indomani.
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Erano ore che si rigirava nel letto. Aveva perso molto sangue ed era salita la febbre. Dalle frasi che urlava nel sonno le infermiere capirono nell' immediato che Manaleb non sognava cose allegre ma tutt'altro. Le poche volte che si svegliava urlava cose contro un certo Albeheret, una certa Ghedwes e il corvo che tutte le infermiere conoscevano Jaren, aspettavano una sua visita da mesi ma non si era fatto vedere per paura della figlia qualche piano più sotto.

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