Capitolo venti: Vista offuscata
NATALIE
«Natalie, è tutto ok?» Ander si avvicina e mi guarda negli occhi, preoccupato.
Siamo così vicini che riesco a sentire il suo respiro. Abbasso lo sguardo sul suo petto e mi viene da piangere.
«Sì, sì, è solo che... c'è Jackson» riesco a mala pena a dire.
«Cosa?» domanda aggrottando la fronte. Non appena si volta e alza lo sguardo, il ragazzo moro dagli occhi verdi si accorge della nostra presenza e inizia a camminare. Senza pensarci due volte gli vado incontro, mentre Ander inizialmente indeciso sul da farsi, alla fine sceglie di rimanere leggermente più indietro rispetto a noi. Non riesco a credere che Jackson sia davvero qui, di fronte a me. Non voglio avvicinarmi più del necessario, quindi mi fermo a netta distanza.
«Chi non muore si rivede! Si dice così, no?» Si prende gioco di me allargando le braccia.
Mi basta guardarlo negli occhi e sentire la sua voce per far sì che la paura lasci velocemente spazio a litri e litri di rabbia. L'espressione beffarda che ha dipinta sul volto non mi tange per nulla anzi mi fa solo venire il voltastomaco, e lo sdegno che provo in questo momento è maggiore di quello provato il fatidico giorno in cui ho scoperto il suo sporco segreto.
«Che ci fai qui? Come hai fatto a sapere dove abito?!»
Jackson mi guarda con la sua solita espressione, tra il serio e il faceto. «Piccola, che motivo c'è di adirarsi così?» mi domanda con un ghigno sulle labbra.
Non riesco a credere che abbia il coraggio di dirmi una cosa del genere dopo tutto quello che è successo. Vorrei suggerirgli di non chiamarmi 'piccola' ma non lo faccio perché sarebbe solo fiato sprecato.
«Allora? Sto aspettando una risposta!» Incrocio le braccia al petto.
«Me l'ha detto tuo padre, contenta ora?»
«Mio padre?» Lo guardo scettica.
Come?
Perché?
Mio padre non chiama me ma ha il coraggio di parlare con lui?
Un nodo mi stringe la gola, vorrei piangere. Vengo costantemente tradita dalle persone che dicono di amarmi e non riesco a darmene una spiegazione. La parola amore non dovrebbe essere sinonimo di tradimento, non dovrebbe neanche lontanamente accostarsi a esso, allora perché vengo trattata così? Sono tutti degli inguaribili bugiardi o cosa?
«Quindi? Non mi saluti nemmeno?»
La sua insopportabile voce improvvisamente mi riporta alla realtà.
«Voglio che tu te ne vada, Jackson» ribatto, assente.
«Perché? Ho interrotto qualcosa forse?»
«No, ma devi andare via perché io non ti voglio qui.»
Ma ovviamente le mie parole si disperdono nell'aria, perché a quanto pare Jackson non ha intenzione di ascoltarmi. «Quindi è lui il tipo che hai baciato?» domanda indicando Ander dietro di noi.
«Non ti interessa.» Parlo prima che possa farlo Ander.
Tuttavia il mio tentativo non produce i suoi frutti. La bomba è innescata.
«Stai parlando con me per caso?» ringhia Ander, avvicinandosi.
Mi volto, noto che ha i pugni irrigiditi lungo i fianchi e le labbra strette in una linea sottile.
«Quindi immagino sia tu il suo nuovo ragazzo...» borbotta Jackson.
«Hai qualche problema?» ribatte Ander immediatamente.
Improvvisamente mi trovo tra due fuochi, la mia testa rimbomba prima della voce di Ander, poi di Jackson. La sento scoppiare. Se continuano così sveglieranno gli altri studenti, e io rischierei di essere espulsa da Berkeley. E che succederebbe dopo? Sarei una senzatetto, in giro per New Haven, alla ricerca di un nuovo posto per dormire? O verrei direttamente espulsa da Yale? In entrambi i casi lo scenario che mi si prospetta non è allettante.
«Quindi è un sì? Ti sei fidanzata con il riccone di Yale?» Jackson si rivolge a me, folgorandomi.
Avanza lentamente e automaticamente i miei piedi indietreggiano. «Non sono affari tuoi...» mormoro.
Quando la distanza tra me e Jackson sta per annullarsi, Ander mi si avvicina bruscamente, mi spinge indietro e come uno scudo si posiziona tra me e Jackson. «Te ne devi andare, non puoi stare qui!» dice a denti stretti. Probabilmente muore dalla voglia di prenderlo per il colletto della camicia e sbatterlo contro il muro.
«Sei vestito firmato dalla testa ai piedi, scommetto che quei pantaloni te li ha comprati la mammina!» lo provoca Jackson.
«VA. VIA!» ringhia Ander in risposta.
Ma l'altro non si arrende. «Vedi di levarti dai piedi. Natalie non ti riguarda affatto!»
«Natalie mi riguarda eccome!»
«Questo perché te la scopi giorno e notte?» Sul suo volto si dipinge un ghigno diabolico.
«Jackson!» m'intrometto prima che Ander possa ribattere. «Come ti permetti a dire una cosa del genere? Sei tu quello che va a letto con tutte, ma non sono tutti come te, caro mio!» lo rimbecco, e non appena a causa della rabbia tento di avanzare verso Jackson, Ander mi blocca con la mano invitandomi a rimanere dietro. Ammiro la sua capacità di rimanere cauto in una situazione del genere.
«Non la smetterai mai di rinfacciarmi ciò che ho fatto, non è vero Natalie?»
«Tu non cogli mai il punto delle questioni. E il fatto che tu sia un bugiardo fa solo da contorno a tutto il resto. E' questo il tuo vero problema!»
«No. Il mio problema è che ho bisogno di te, piccola.»
«Sono fatti tuoi! VA' VIA!» urlo esasperata.
Ma Jackson come al solito non ascolta ed è su tutte le furie. Avanza bruscamente verso di me ma Ander gli mette una mano sul petto per bloccarlo. «Ma non l'hai sentito che ti ha detto?!»
«Ti ho detto che non ti devi intromettere!» urla Jackson dandogli uno spintone.
Ander barcolla leggermente all'indietro. «Mi hai stufato!» Serra la mascella e reagisce, tirandogli un pugno sulla guancia, tanto che questa volta è Jackson a vacillare.
L'attimo dopo la situazione precipita. Vedo Jackson avventarsi su Ander, prenderlo per il collo della maglietta e scaraventarlo contro la parete. Ma Ander riesce a divincolarsi dalla sua presa e gli sferra un altro pugno, questa volta sullo stomaco, che lo fa piegare a metà dal dolore. Mi bruciano gli occhi e mi rendo conto che sto piangendo, le lacrime bagnano velocemente le mie guance, invece i mei piedi sono incollati al pavimento e non ne vogliono sapere di muoversi.
«Smettetela...» La mia voce è così flebile che quasi non si sente.
Jackson e Ander si stanno picchiando davanti ai miei occhi e se non faccio qualcosa ora continueranno a farlo e chissà come finirà, chi vincerà.
«Smettetela...» ripeto e questa volta la mia voce sembra aver guadagnato un po' più di coraggio.
«Basta, fatela finita!» Riesco finalmente a urlare, tuttavia non sembra che funzioni: continuano ad azzuffarsi. Ander ha un grosso livido sulla guancia, Jackson un labbro sanguinante. Non appena trovo il coraggio necessario mi avvicino a loro e tiro un braccio ad Ander affinché si allontani. Ma Jackson gli tira un pugno, lui riesce a schivarlo e così colpisce me, che gli sto dietro. Mi accascio sul pavimento e gemo per il dolore. La guancia mi brucia come se stesse prendendo fuoco ed è un dolore insopportabile. Ho sbattuto la testa? Forse sì, no, non lo so... ma allora perché vedo sfocato?
«Cazzo!»
Qualcuno parla ma non riesco subito a capire chi sia. Forse è Jackson perché a un tratto lo vedo avvicinarsi: «Scusa! Non volevo!» dice disperato portandosi le mani tra i capelli.
«Non la toccare!» urla Ander.
Mi avvolge tra le sue braccia e riesco a sentire il suo profumo dolce opposto all'odore del sangue raggrumato. Jackson scompare dalla mia vista e pian piano la visuale si fa più chiara. Ander mi esamina attentamente e noto che gli trema il labbro, probabilmente a causa dell'adrenalina che circola ancora nel suo corpo; si sta assicurando che io stia bene ed è così bello visto da qui. «Natalie, mi senti?» Lo guardo incapace di dire o fare qualsiasi cosa. «Natalie! Rispondimi!» urla lui nuovamente dandomi un colpetto sulla guancia e io gemo a causa del dolore che provo.
Annuisco poco dopo. «Sì, sì.»
«Non è successo niente! Tornate a dormire!» ordina Ander in tono autoritario mentre noto che fruga nella mia borsa.
Con chi parla?
Ma che sta facendo?
«Che?» Vorrei dire ciò che ho appena pensato, ma sembra che le parole non vogliano uscirmi dalla bocca.
«Tranquilla, ho preso le chiavi del tuo appartamento.» Mi avvolge tra le sue braccia e mi tira su.
«Chi? Chi deve dormire?» farfuglio ma lui non mi calcola e con un piede spalanca la porta di legno, si volta leggermente di lato e finalmente entriamo. È in questo momento che mi accorgo della gente di fronte a me, sulla soglia delle proprie camere che osserva la scena a bocca aperta.
Ander si chiude la porta alle spalle con la schiena e lascia cadere la mia tracolla sul pavimento.
«Non posso credere che sia venuto qui» sibilo.
Ma lui non sembra darmi ascolto. Ha le guance rosse e ferite ovunque; la maglietta bianca è sgualcita, a tratti strappata e colorata da chiazze sparse di sangue... chissà se il suo o quello di Jackson.
«Ti fa male la testa?» mi chiede poco dopo e immediatamente mi accorgo che trema.
«No, no...» dico, ma in realtà non so rispondergli... non lo so neanch'io.
Mi siede sul piccolo divano e apre velocemente l'anta del mini frigo di fianco al televisore, per poi borbottare qualcosa e correre in bagno. Lo guardo prendere un panno dalla mensola sotto il lavandino e bagnarlo con dell'acqua; mi lancia un'occhiata veloce dal bagno e immediatamente distolgo lo sguardo. Forse sto sognando e Ander non è davvero nel mio bagno ora, né tantomeno Jackson è venuto fin qui. Ma mi sento così stralunata in questo momento... è come se mi avessero rotto un vaso di ceramica in testa.
«Non ho trovato il ghiaccio» mormora per poi raggiungermi. Si china e mi preme sulla guancia calda il panno freddo. Il contatto mi provoca la pelle d'oca.
«Ti fa male?»
Non riesco bene a capire a che cosa sia riferita la sua domanda. Forse alla testa che non la smette di pulsare? O alla guancia che mi provoca un dolore lancinante?
«Si, un po'» sussurro. In fondo mi fa male tutto.
«Dobbiamo andare al pronto soccorso» La voce gli traballa e, quando si rimette in piedi, appoggiando le mani sui suoi fianchi, sembra teso come una corda di violino.
«Come? No... non c'è bisogno, sto bene.»
«No, Natalie. Quel bastardo ti ha dato un pugno e se non ti medicano ti rimarrà la cicatrice. Io non ce la faccio a vederti conciata così!»
«Ma se andassi al pronto soccorso mi farebbero delle domande, vorrebbero sapere cos'è successo...»
«Sì.» Non mi lascia finire la frase. «Ed è per questo che io ti aspetterò fuori. Dirai che sei caduta dal letto mentre dormivi e che hai sbattuto allo spigolo del comodino. È perfetto perché così ti faranno anche una tac o qualcosa del genere per assicurarsi che non tu non abbia danni cerebrali. Non ci vorrà molto, ti visiteranno e dimetteranno subito dopo» dice nervosamente, agitando le braccia.
«Non posso credere che sia accaduto veramente...» aggiunge dopo un lungo minuto di silenzio portandosi le mani nei capelli. «Sono stato stupido! Insomma, mi hai detto che era litigioso... avrei dovuto prevedere tutto questo!» Tortura i suoi capelli mentre cammina nervosamente da un lato e poi dall'altro. Sembra sia sotto shock. «Ti stava trattando male e io volevo solo tirargli un cazzotto affinché la smettesse di dire stupidaggini!»
«Ander... fermati, calmati.» Mi alzo di scatto e improvvisamente tutto intorno a me gira. Dovrei dirglielo, forse, ma non me la sento di dargli ulteriori preoccupazioni, così cerco di non pensarci e appoggio una mano sulla sua spalla per mantenermi in equilibrio.
Finalmente si ferma e mi guarda.
«Faremo come dici. Andrò in ospedale e mi medicheranno. Ma tutto questo non è stata colpa tua, è importante che tu lo capisca. Jackson non sarebbe dovuto venire. Punto. Ha sbagliato lui.»
Ander mi squadra, sconfitto e perplesso.
«Ok, ora andiamo.» Si affretta a dire.
Afferra velocemente le chiavi dell'appartamento e mi prende la mano, trascinandomi fuori.
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Ciao lettori 🌻
se vi piace la mia storia e volete essere aggiornati ogni qualvolta pubblico un nuovo capitolo, inserite "Quando dai all'amore una seconda chance" nella vostra biblioteca!
P.S. Che ne pensate del capitolo?
Baci 😘
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