Capitolo quattro: Progetti per il futuro
ANDER
Da quando la professoressa ha iniziato la sua lezione non riesco a togliermi dalla testa il volto di Natalie, nonostante volessi con ogni briciolo del mio corpo.
Non fa per te, la mia coscienza continua a ripetermi e non riesco a non darle ragione.
Non fa per me, ripeto tra me e me cercando di auto convincermi.
Ma questo non basta a farmi smettere di fissarla. Non appena si volta dalla mia parte, si accorge che la sto guardando e nonostante la distanza tra noi, riesco a percepire le sue emozioni.
La vedo arrossire e imbarazzarsi sotto il peso del mio sguardo e non nascondo che tutto questo mi piaccia, tanto che le mie labbra si allargano in una smorfia di compiacimento. La sua gonna di jeans è così corta da lasciar fuoriuscire le gambe magre. Sembrano così delicate viste da qui. La felpa nera che indossa non lascia intravedere nessuna forma, ma mi è bastato osservarla attentamente quando l'ho incontrata la prima volta per capire che è bella in ogni punto del suo corpo.
Non so cosa mi succeda. Non so perché penso a Natalie in maniera profonda, eppure c'è un qualcosa in lei che mi cattura con la forza di una calamita. Non sono solo le gambe magre, i denti perfettamente allineati, le labbra rosee e carnose o i lunghi capelli castani.
No. C'è altro.
C'è il suo candore.
Ci sono i suoi timidi occhi blu e il suo sguardo che, anche se a tratti impercettibile, in fondo è sincero.
C'è il suo imbarazzo, che non le permette di sostenere il mio sguardo per troppo tempo, e lo percepisco perché a un certo punto si morde il labbro e vergognosa arrossisce cercando di nascondere il volto tra le ciocche dei capelli, anche se non ha bisogno di farlo perché è bella anche così.
E io non smetto di guardarla perché è più forte di me, così la costringo a voltarsi dall'altra parte, e immediatamente sorrido vittorioso.
Nora è seduta di fianco a me, è una brava ragazza ma non è il mio genere. L'ho conosciuta durante il primo anno di corso, abbiamo fatto sesso un paio di volte ma non abbiamo mai avuto una relazione. Quando si accorge che non presto ascolto alla lezione, segue la direzione del mio sguardo fino a poi notare Natalie poco distante da noi che prende appunti. Nora alza gli occhi al cielo e io mi volto verso di lei, la vedo sbadigliare probabilmente annoiata dalla lezione, raccogliere i capelli per poi portarli sul suo petto e lisciarli con la mano.
«Andiamo via?» mi sussurra un secondo dopo accorgendosi che la sto guardando.
«No, non possiamo» le rispondo disinteressato per poi tirar fuori il cellulare dalla tasca.
Nora mi rivolge un'occhiata di disapprovazione ma faccio finta di niente. Controllo l'orario, manca ancora mezz'ora alla fine della lezione e c'è un nuovo messaggio da parte di mio padre che dice: "NON APPENA PUOI VIENI A CASA, DEVO PARLARTI."
Mi limito a scrivere un freddo "okay" e premo invio; in realtà preferirei fare tutt'altro ma sono state troppe le volte in cui ho rifiutato il suo invito. So già di cosa vorrà parlarmi: «Ander, la Wood's corporation ha bisogno di te dopo la laurea. Non puoi deludermi» mi dirà in tono calmo e persuasivo, con le mani giunte. Vestito di tutto punto, Jason Ray Wood mi aspetterà seduto alla scrivania del lussuoso ufficio che ha arredato in quella che era anche casa mia.
Ma cerco di scacciare dalla testa il pensiero di mio padre, dato che non ho intenzione di andare da lui almeno per le prossime due ore. Preferisco voltarmi verso Natalie, che è attenta a seguire la spiegazione e a prendere appunti. Ha la testa inclinata sul foglio, con una mano scrive mentre con l'altra si tocca il mento mordicchiandosi nervosamente le labbra.
Quant'è bella.
~
Quando la lezione è finita, Natalie scompare dalla mia vista e fuori dall'aula gli studenti si aggregano in svariati gruppi quindi mi risulta impossibile trovarla.
Capita per puro caso che poche ore dopo, mentre sto uscendo dal campus per tornare a casa, la intravedo seduta sul prato verde ai piedi di un albero secolare. È intenta a leggere un libro. Vorrei tanto salutarla e vederla arrossire mentre le parlo, ma per la prima volta sono io a temere l'effetto dei suoi occhi blu su di me.
Sono riuscito a mascherare ogni tipo d'imbarazzo nei giorni passati, ma più la incontro e più è difficile fare finta di niente. Sarei un bugiardo se dicessi che Natalie Johnson mi è indifferente.
«Occhi blu!» la chiamo da lontano dopo aver preso coraggio. Alza lo sguardo e lo indirizza nella mia direzione, mentre le sue labbra carnose si aprono in un timido sorriso.
«Quindi balli, fumi...» Faccio una smorfia ripensando alla festa della confraternita, «...bevi la cioccolata e ora scopro che ti piace anche leggere.»
«Esatto» risponde vergognosa mentre mi avvicino.
«Che altro nascondi?»
«Be'...» sibila alzando leggermente il mento per pensare. «Mangio un sacco di dolci e adoro i film romantici.»
«Film romantici del tipo Titanic oppure Un amore a cinque stelle?» le chiedo e l'attimo dopo scoppia a ridere. Una risata spontanea che mi riempie il cuore. Sorride con gli occhi, le labbra fanno solo da contorno a tutto il resto.
«Un amore a cinque stelle» risponde. «I film drammatici non fanno per me, preferisco le storie che hanno un lieto fine. E a te cosa piace?» chiede prima che possa replicare.
«Anch'io ho una passione per la cioccolata calda ma non per i film romantici. E ho una voglia matta di uscire con te» confesso istintivamente.
È in questi momenti che pensare è inutile come la gomma che cerca di cancellare l'inchiostro della penna. Quindi, 'fanculo!
«Non ti arrenderai?» mi chiede.
«Fino a che non mi dirai di sì.»
«Magari lo farò» Si stringe nelle spalle.
«Magari?» la prendo in giro.
Annuisce. «Quando capirò che non sei come tutti gli altri.»
«E come sarebbero tutti gli altri?» la provoco divertito, anche se dentro mi sento un idiota perché so esattamente a cosa si riferisce.
«Be', di solito i ragazzi seguono un copione comune: prima ti corteggiano, ammaliandoti, poi ti portano a letto e alla fine ti spezzano il cuore» rivela e il suo tono cinico mi fa pensare che abbia già vissuto una situazione del genere.
«Hanno fatto così con te?» sputo senza pensarci, come un ficcanaso che vuole conoscere i suoi segreti.
Abbassa lo sguardo e sospira. «Si, più o meno.»
Per un secondo spero che aggiunga altro ma rimango deluso non appena mi rendo conto che non lo fa. Ma cosa pretendo? non conosco Natalie e lei non conosce me; siamo due sconosciuti che fanno finta di essere amici. Mi domando se è vero che non ha tempo per uscire con qualcuno... forse la verità è che non le piaccio ma è troppo educata per dirmelo.
«Mi dispiace. Ma non siamo tutti uguali»
rivelo con una smorfia.
«Disse il ragazzo fidanzato...» borbotta alzando gli occhi al cielo.
«Io non sono fidanzato!» mi difendo mentre trattengo un sorriso.
«E Nora?»
«Non stiamo insieme, siamo solo amici.»
«Allora ti consiglio di ricordarglielo, perché lei sembra convinta del contrario» dice leggermente infastidita mentre raccoglie da terra le sue cose e si alza in piedi, riponendo i libri nella borsa a tracolla.
«Ehi occhi blu, non ci conosciamo neanche e ti sei già innamorata di me?» scherzo divertito.
«No. Non ci contare.» Sorride nervosa incrociando le braccia al petto.
«E allora che problema c'è?» Mi stringo nelle spalle, inconsapevole.
«Nessun problema. Hai detto bene, non ci conosciamo. Ora vado, si è fatto tardi.»
Fa' per andarsene ma io l'afferro per un braccio, fermandola. Quel contatto improvviso mi provoca un fremito in tutto il corpo. «Te ne vai sempre, perché?» riesco a chiederle e il mio tono è fin troppo serio.
«Me ne vado perché non sono interessata ad avere un rapporto con te. Sesso o amicizia, qualsiasi cosa tu voglia, io non posso dartela. Non sono cieca, sai? Questa è la quarta volta che tenti di convincermi.»
Sbam!
Le sue parole equivalgono a una bella porta in faccia.
Si mantiene a debita distanza mentre si chiarisce, e nei suoi occhi riesco solo a leggere timore e incertezza, non fastidio come il suo tono vorrebbe farmi credere.
Ma di cosa ha paura?
Vorrei dirle che si sbaglia, che non voglio portarmela a letto. Anzi, forse una parte di me sì, ma il punto è che non so neanch'io il motivo per cui mi ostino a parlarle.
«Se vuoi andartene non posso impedirtelo...» Alzo le mani in segno di resa.
«Perfetto, buona giornata» mi saluta freddamente e va via.
Rimango imbambolato, con i piedi inchiodati al terreno; un attimo prima stavamo scherzando e quello dopo la situazione è precipitata. Il fatto di non sapere cosa le passi per la testa mi rende irrequieto e le sue parole mi turbano, anche se non dovrebbe importarmi un fico secco di ciò che pensa Natalie.
È assurdo. Non la conosco nemmeno, eppure in questo momento vorrei solo correrle dietro e conoscere la sua storia.
La suoneria del mio cellulare mi ripota alla realtà; è mio padre che reclama la mia presenza. Questa volta decido di non rispondergli ma in compenso guido fino a casa sua, accontentandolo.
Non appena suono il campanello, Matilde, la nuova domestica, mi accoglie con un sorriso a trentadue denti nella sua uniforme bianca e nera che le veste a pennello. Mi fa cenno di lasciare a lei zaino e giacca. «Suo padre lo sta aspettando nel suo ufficio» afferma in tono cordiale.
«Grazie.» Le accenno un sorriso e si dilegua velocemente, mentre a piccoli passi mi faccio strada nel largo corridoio che termina con una porta di legno a doppio battente.
«Papà?» sussurro incerto.
L'attimo dopo sento rispondere in lontananza: «Entra Ander. Sono qui.»
«Volevi vedermi?» domando entrando nell'ufficio.
Come avevo immaginato è seduto alla scrivania nella larga poltrona di pelle, circondato da un numero inquantificabile di libri esposti tra gli scaffali di vecchie e malandate librerie. Ha in in mano una penna e gli occhiali gli cadono sul naso.
«Siediti» mi fa cenno guardandomi attentamente, con la schiena ricurva e l'espressione del volto impenetrabile.
«Sto bene in piedi, va' al dunque» dico, immaginando le sue intenzioni.
«Figliolo ti prego, non trattarmi così.»
«Ho da fare dopo, non posso trattenermi a lungo» mento e in risposta mio padre lascia andare un sospiro profondo.
«D'accordo» dice dopo. «Come stai? Come vanno gli studi? È da tanto che non vieni a trovarmi» riflette e una sensazione di disagio s'impossessa di me.
Non sono abituato a scambiare due chiacchiere con quest'uomo. È mio padre, certo, ma oltre a pagarmi gli studi e ad assicurarmi un tetto sulla testa non ha fatto niente per far sì che lo chiamassi papà.
«Bene. E gli studi procedono. Tu come stai?»
«Non c'è male.»
«E il lavoro?» domando.
«Prosegue. A dire il vero è proprio per questo che ti ho chiesto di venire» ammette e improvvisamente le mie supposizioni diventano realtà: non fa altro che parlare di affari, non si è mai preoccupato di sapere altro della mia vita, si è sempre accontentato di un: "sto bene" o "va tutto a gonfie vele".
«Papà, so già di cosa vuoi parlare. Sono anni che mi vuoi nella tua agenzia legale, ti ho già detto che non voglio diventare un avvocato come te.»
«Lo so, Ander, però ascoltami: un mio dipendente l'anno prossimo comincerà a lavorare in proprio e c'è un posto libero come tirocinante. Potresti studiare e fare pratica contemporaneamente...è un'occasione unica.»
«Cosa devo fare per farti capire che i tuoi sogni non sono necessariamente anche i miei? Non mi iscriverò alla Law School il prossimo anno» dico gelido.
La Law School è l'università che chi vuole diventare un avvocato deve necessariamente frequentare dopo la prima laurea.
«E che progetti hai per il tuo futuro?» domanda con autocontrollo mentre molto probabilmente ha i nervi a fior di pelle.
«Non lo so ancora, papà. Devo pensarci.»
«Non ti pago il college per sentirti dire: "devo pensarci"!» borbotta lui abbandonando la poltrona 'regale' e alzandosi in piedi.
«Nessuno. Ti. Ha. Chiesto. Di. Farlo» digrigno i denti. «È meglio che ora vada via. Rimandiamo il secondo round alla prossima volta!» borbotto sarcastico guadagnandomi l'uscita a passo svelto.
«Cioè quando? Tra un mese quando verrai di nuovo a trovarmi?» il tono di voce sembra alto. Ormai ho sbattuto la porta alle mie spalle e non posso vedere l'espressione del suo volto.
La cosa assurda di questa storia è che diventare avvocato non sarebbe poi così male. Solo che in questo caso finirei per fare lo stesso lavoro di mio padre e l'idea mi fa infuriare!
Sin da bambino ho odiato le sue regole e la sua vita programmata a cui ha sempre voluto sottopormi; se diventassi avvocato non farei altro che alimentare le sue stupide convinzioni, e questa è l'ultima cosa che desidero.
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