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Capitolo quattordici: Confessioni

NATALIE

Non appena rientro nel mio appartamento, mi chiudo la porta di legno alle spalle e l'ambiente è buio; la sola luce della luna penetra grazie all'alta finestra tutto vetro del piccolo salotto. La porta della camera di Rebecka è aperta, ma il silenzio domina incontrastato, quindi probabilmente sta dormendo. Scelgo di togliere le converse dai piedi e camminare scalza sperando di non svegliarla, anche perché è notte inoltrata e sono stanchissima, desidero soltanto andare a dormire. Tra un po' di ore comincerà la solita routine giornaliera, quindi preferisco riposare quanto serva a non addormentarmi sul banco durante la noiosissima lezione di filosofia estetica.

Mi sento ancora elettrizzata per la serata appena trascorsa: io e Ander abbiamo chiacchierato tutto il tempo, tanto che mi è sembrato di conoscerlo da tutta la vita. Prima di darmi la buonanotte e salutarmi, mi ha chiesto il numero di cellulare, promettendomi di chiamarmi... e ora non riesco a pensare a nient'altro se non a quando lo farà.

«Nat?» mi chiama Rebecka dalla sua stanza.
Non appena mi avvicino noto che è stesa sul letto, sepolta sotto un ammasso di coperte e mi guarda assonnata.

«Ehi... scusa, non volevo svegliarti»

«No, no, non preoccuparti. Non riuscivo a dormire. Dove sei stata?»

Si mette seduta sul letto appoggiandosi allo schienale, ha i capelli scompigliati e non la smette di sbadigliare. Mi fa segno di raggiungerla e sedermi di fianco a lei, sotto le coperte, nel suo letto a una piazza.

«Sono stata con Ander. Te lo ricordi? È il ragazzo che abbiamo incontrato ieri alla festa di Halloween...»

Appoggio le scarpe in un angolo della stanza per poi fare come mi ha chiesto.

«Quel fico da paura? E chi se lo dimentica!»

Le do un piccolo schiaffo sulla spalla, in imbarazzo per aver descritto Ander in quel modo.

«Che c'è? È la verità» ammette facendo spallucce e arrossisco perché so che ha ragione.

«Be', comunque sia è venuto qui e mi ha chiesto di uscire. Mi ha regalato dei girasoli, siamo andati a una panoramica e abbiamo mangiato degli hamburger buonissimi. È stato tutto perfetto!»

Ci sarebbero troppe cose da raccontare, i miei pensieri si trasformano in parole automaticamente, non lasciandomi il tempo di ordinarli; riesco a stento a bloccarne il flusso agitato.

«È la prima volta da quando ti conosco che ti vedo così presa da un ragazzo...» Sorride. «Ti vedo felice» aggiunge.

È inutile darle torto.

Ciò che ho vissuto fino a pochi attimi fa è magico al punto da sembrarmi surreale. Forse senza saperlo ho recitato una parte nella scena di un film, con la differenza che ora non ho nessun nastro da poter riavvolgere, quindi non mi rimane altro che il ricordo di quei momenti.

«E dimmi un po'... avete limonato come la prima volta, alla festa in maschera?» Mi rivolge uno sguardo ammiccante per poi strizzare l'occhio.

«Ma cosa ti passa per la testa?» la rimbecco sgranando gli occhi, a disagio.

«Be'... quella sera sembrava una sanguisuga, non si staccava dalla tua bocca!»

«Secondo me hai troppo sonno e non sai neanche tu cosa dici!» Alzo gli occhi al cielo ma non riesco a trattenere una risata.

«Ma ho ragione! Non ti ha lasciata andare nemmeno quando si è accorto che vi avevo visti» si difende.

Perfetto, non potrei sentirmi più in imbarazzo di così.

«Dai smettila... andiamo a dormire, è tardi» affermo poco dopo, sperando che mi ascolti.

«No dai, mi dispiace. Ormai sono sveglia e voglio sapere qualcos'altro... è stato tenero?» mi chiede, questa volta con aria seria.

«Si, non puoi capire quanto. Non sono mai uscita con un ragazzo così. Lui è... diverso.»

«Diverso da Jackson?»

«Penso di sì. Insomma... con lui sono a mio agio. Sento le farfalle nello stomaco, il cuore a mille, le gambe tremare, le guance accaldate.»

Rebecka mi guarda dolcemente, con gli occhi che le brillano.

«Non è che ti stai innamorando di lui?»

«Non lo so...» sussurro per poi portare un braccio sulla mia fronte, pensierosa.

Vorrei che l'amore fosse semplice come in un film, con un lieto fine. Ander mi piace, sempre di più, non riesco a nasconderlo, ma la gente a cui vuoi bene a volte si comporta ingiustamente e fa cose che non ti aspetti, manipola le tue emozioni e ti costringe a soffrire, anche se non vuoi. E l'idea che qualcuno che amo possa farmi del male, di nuovo, mi fa accapponare la pelle.

«Secondo me lui è cotto di te!»

Chissà. Ma infondo vorrei che fosse così.

«Comunque, ora è il mio turno! Anche io ho una novità» dichiara dopo un lungo momento di silenzio e non riesce a trattenere un sorriso, impaziente di raccontare.

Non le rispondo ma la guardo interrogativa mentre mi sistemo meglio sul letto.

«Le tue supposizioni si sono avverate! Avevi ragione a credere che Hardin avesse una cotta per me... mi ha chiesto di uscire!»

«E tu che cosa hai risposto?» domando eccitata.

«Ho detto di sì. Ero un po' scettica, in realtà, ma in fondo non ho niente da perdere... è da tanto che non esco con qualcuno, quindi perché non accettare?»

È così felice in questo momento, gli occhi le brillano e la bocca si allarga in un sorriso, mostrando i denti bianchi perfettamente allineati; sorrido di fronte a questa immagine.

«Hai fatto bene ad accettare, infatti. Chissà, magari un giorno usciremo tutti e quattro insieme. Sarebbe fico, no?» Sogno a occhi aperti e Rebecka mi asseconda quindi ridiamo insieme all'idea.

«Dormiamo?» mi chiede dopo un po', sbadigliando.

Do un'occhiata all'orario sul cellulare e sgrano gli occhi. È tardissimo e tra meno di quattro ore dovrò essere a lezione.

«Si, immediatamente! Posso dormire qui? Ormai sono al caldo...» la prego portandomi le coperte fino al collo.

Rebecka alza gli occhi al cielo.

«Come faccio a dirti di no?!»

«Grazie!» Le sorrido mandandole un bacio al volo.

Ci stendiamo l'una accanto all'altra, schiena contro schiena, con la testa appoggiata a un unico cuscino e al caldo, sotto le coperte.

«Rebe?»

«Si?»

«Quando sono andata ad Hartford, la scorsa settimana, sono stata da Jackson...» sussurro.

«Scherzi? E che cosa è successo?» domanda attonita, voltandosi di scatto verso di me, ma io non mi muovo dalla mia posizione, e le volgo le spalle.

«Gli ho raccontato di Ander e gli ho detto che non deve più cercarmi».

«E come l'ha presa?»

«Come al solito, lo sai com'è fatto. Si è infastidito, ha cominciato a tirare pugni ovunque, temevo davvero che mi facesse del male.»

Mi metto a pancia in su e giro lo sguardo verso di lei; è stesa su un fianco e mi guarda incredula.

«Non devi più andare da lui, Natalie. Non mi piace quel ragazzo e non so cosa gli passi in quel cervello bacato che si ritrova.»

«Non credo mi farebbe mai del male, mi vuole bene. Comunque sia non credo che Jackson sia più un problema. È da quando abbiamo discusso che non mi ha più cercata, credo che abbia accolto i miei desideri» affermo pensierosa, fissando il soffitto.

«Spero che sia così...» Un velo di preoccupazione le attraversa il volto; si rimette stesa e in questo momento sembra più pensierosa di me.

Poco dopo mi addormento sospesa, tra il ricordo della discussione con Jackson, e i momenti appena trascorsi con Ander.

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