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Capitolo otto: Giù le maschere

NATALIE

È quasi mezzogiorno e la sveglia suonerà da un momento all'altro, ma tanto non fa una piega dato che non ho chiuso occhio tutta la notte. Ho guardato il soffitto bianco per tutto il tempo, mentre pian piano il sole sorgeva sfoggiando al mondo intero i suoi raggi più belli.

Sono davvero contenta che sia sabato, e che oggi non ci siano le lezioni, perché altrimenti le avrei saltate tutte quante senza neanche pensarci due volte! Giorni fa ho programmato di ritornare ad Hartford per il week end e far visita a mia madre, che poverina non la smette neanche un secondo di chiedermi come sto, e non ha tutti i torti, dato che la maggior parte delle volte i vari impegni giornalieri mi impediscono di passare del tempo a chiacchierare con lei. Le ho detto che sarei ritornata oggi pomeriggio ma al momento mi sento uno straccio: i piedi mi fanno male e urlano pietà, gli occhi bruciano e la testa non fa altro che rimbombare, colpa della musica alta di questa notte.

Come dice il detto?

Notte da leoni e mattina da coglioni?

È esattamente così che mi sento, in questo momento.
Non riesco a non pensare a ciò che è successo alla festa, e i ricordi non fanno altro che farsi largo presuntuosamente nella mia mente, non lasciandomi un attimo di tregua.

Da dove posso cominciare? Be', innanzitutto Rebecka si è ubriacata al punto da non reggersi neanche più in piedi, e così a fine serata Ryan e Hardin hanno dovuto riaccompagnarci di corsa a Yale perché lei aveva bisogno di vomitare e smaltire tutto l'alcol ingerito. E tutto questo è stato davvero imbarazzante, soprattutto quando ho capito che Hardin si è preso una cotta per la mia amica, il che aveva reso non più così 'casuale' il suo invito (e quello di Ryan) di andare alla festa in maschera tutti insieme.

Ma tutto questo è niente in confronto a ciò che è accaduto un po' prima che Rebecka si sentisse male, quando la discoteca era stracolma e tutti si divertivano scatenandosi sulla pista da ballo. È stato in quel momento che io e Ander ci siamo baciati.

Sì,ci siamo baciati!

Io e Ander ci siamo baciati e non è stato uno stupido sogno, ma la pura verità.

Ripeto in continuazione nella mente queste sei paroline sperando che prima o poi possano sembrarmi reali, e non solo frasi che una volta pronunciate si disperdono nell'aria fino a poi scomparire totalmente.

È tutta la notte che ripenso a quell'attimo magico, mentre cerco di ricordarne ogni dettaglio per timore di dimenticarlo. Nella testa ho impressi i suoi occhi come un marchio, assieme al suo sorriso dolce, e nel cuore il sapore del suo bacio, così blando all'inizio e così passionale e travolgente alla fine. Rabbrividisco al ricordo e sorrido mentre penso che avrei voluto continuare a baciarlo all'infinito.

Ancora sognante mi giro di lato e noto Rebecka che dorme a pancia in giù, con il viso imbronciato e i capelli arruffati. Dato ciò che è successo stanotte ho preferito addormentarmi nel letto con lei, per timore che si sentisse nuovamente male. Il suono forte e stridulo della sveglia a un tratto mi fa sobbalzare, e Rebecka emette un mugolio di fastidio.

«'Fanculo!» tenta di spegnerla con la mano più vicina, non riuscendoci.

«Aspetta, faccio io.» Mi alzo dal letto per poi pigiare il bottone bianco.

«Grazie» mugugna stropicciando gli occhi ancora chiusi.

«Io vado a prendermi un caffè, ne vuoi uno?» le chiedo successivamente mentre infilo il primo paio di scarpe che trovo nella camera.

Non risponde e capisco che sta ancora dormendo, quindi decido di comprarglielo lo stesso. Mi vesto frettolosamente e mi guardo allo specchio: il pantaloncino del pigiama è quasi invisibile sotto la maxi felpa che indosso, e le scarpe da ginnastica bianche mi vanno leggermente larghe, anche se non mi importa più di tanto.

Ci metto un secondo a raggiungere la caffetteria; il ragazzo dietro il bancone mi scruta dalla testa ai piedi e lo fulmino con lo sguardo mentre prepara i due caffè latte che ho ordinato.

«Natalie?» sento una voce maschile alle mie spalle e quando mi volto mi accorgo che si tratta di Ryan.

«Ciao Ryan, buongiorno...» cerco di sembrare entusiasta, ma in realtà non lo sono affatto. Nei miei piani, questa sarebbe dovuta essere una toccata e fuga, non avevo assolutamente messo in conto l'ipotesi di chiacchierare con qualcuno, tanto meno con Ryan.

«Buongiorno?» ridacchia divertito mentre mi si avvicina. «È un po' tardi per dirlo non credi? È mezzogiorno!»

«Ah sì, hai ragione» rido portandomi una mano all'altezza della fronte. «Che sbadata!»

Mi guarda velocemente dalla testa ai piedi per poi riportare gli occhi sul mio viso. «Come stai dopo ieri sera?»

«Io bene, Rebecka un po' meno» mormoro trattenendo una risata.

«Lo immaginavo. Ieri sera è stato devastante per lei.»

«Già...e non immagini il post serata! Ha continuato a vomitare per più di un'ora! Sono rimasta sveglia fino a tardi soltanto per pulire il bagno dalla puzza di vomito.» Le mie labbra si allargano in una smorfia di disgusto.

«E ora sta ancora così male?»

«Non lo so perché quando sono uscita dormiva ancora.»

«Ho capito...»  fa una breve pausa. «Tutto sommato però è stata una bella festa...mi ha fatto piacere andarci insieme» mormora dandomi una pacca sulla spalla, improvvisamente imbarazzato.

«Oh si certo! È stato divertente» ammetto e gli sorrido, sperando di smorzare il suo disagio. Ma è un desiderio vano perché Ryan subito dopo abbassa lo sguardo e i suoi piedi cominciano a giocherellare con i lacci delle converse rosse. «Sai, mi chiedevo.... sei fidanzata?»

Vorrei urlare ma mi limito a dire un: «Oh...no!» Trattengo una risata nervosa mentre continuo a fare cenno di no con la testa.

«Ah, okay» dice, e sembra improvvisamente rincuorato dato che i lineamenti del viso si ammorbidiscono. «È solo che ieri ti ho vista baciare una persona e pensavo che fossi impegnata» si affretta a spiegare.

Cosa?

Lui ha visto?

Intende dire che mi ha visto baciare Ander?

«No, no. Quel bacio non era niente! Io... io non sono fidanzata!» balbetto facendo fatica a organizzare una frase di senso compiuto, mentre sento le mie guance bruciare per l'imbarazzo.

Ma come siamo arrivati a parlare di me e Ander? 

Annuisce e mormora un: «Va bene», ma io a mala pena lo sento, riesco solo a pensare a quelle maledette parole.
A complicare la situazione è lo stesso Ryan che, poco dopo, con un gesto della mano attira la mia attenzione e non capisco immediatamente cosa stia cercando di dirmi. Ma poi mi volto e noto che il ragazzo dietro il bancone mi sta fulminando con lo sguardo mentre mi porge annoiato un sacchetto con dentro l'ordine.

«Oh...grazie» gli sorrido imbarazzata mentre acchiappo i due caffè. «Be' allora...ci vediamo in giro» dico, questa volta a Ryan.

Inclina leggermente la testa guardandomi con dolcezza, ma io sono troppo scossa per continuare questa conversazione quindi gli sorrido salutandolo con un gesto della mano e vado via. Desidero nascondermi per tutto il resto della mia vita per la figura che ho appena fatto, oltretutto mentre sono in pigiama.

Quando torno in stanza Rebecka fortunatamente si è alzata dal letto ed è seduta sul divano a guardare la televisione.

«Eccomi.» Mi chiudo la porta alle spalle.

Lei mi fa un cenno con la testa mentre
sorseggia un liquido giallastro, probabilmente un antidolorifico per i sintomi del post-sbornia.

«Vieni qui un secondo?» mi chiede dopo aver spento la televisione.

Noto che ha l'aria dubbiosa e la fronte aggrottata. La guardo stranita mentre mi tolgo le scarpe lasciandole cadere in un punto qualsiasi della stanza.

«Che c'è?» chiedo curiosa mentre mi siedo a gambe incrociate sul divano di fianco a lei.

«Hai da dirmi niente?»

«Io? No! Perché me lo chiedi?»

«Natalie...mi hai preso per una scema forse?» ribatte infastidita.

«No, certo che no!»

Rebecka alza gli occhi al cielo mentre posa lo sguardo sulla televisione spenta.

«Sai...ho dei vaghi ricordi di ieri sera, ma una cosa la ricordo molto bene!» borbotta dopo un lungo momento di silenzio.

«E cioè?»

Sto ancora cercando di riprendermi dalla conversazione con Ryan di poco fa per cui non riesco davvero a immaginare a cosa allude, tuttavia per accontentarla faccio ugualmente finta di pensarci, mentre lei attende placida giocherellando con il laccio della sua felpa a zip.

«Ti riferisci al fatto che Hardin si è preso una bella cotta per te?» abbozzo dopo un po' con un sorriso malizioso.

«Cosa? No!» strilla incrociando le braccia al petto. «E poi...anche se fosse vero...chi te l'ha detto?» domanda curiosa.

«Nessuno, l'ho capito da sola. Ti mangiava con gli occhi ieri, ed è stato gentilissimo con te. Si vede che gli piaci!»

Rebecka non risponde. Normalmente dopo aver sentito una roba del genere si sarebbe messa a urlare e a saltare per l'eccitazione. Ma questa volta non lo fa, e io comincio a preoccuparmi.

«Quando avevi intenzione di dirmi che stai uscendo con una persona?» sbotta poco dopo, fulminandomi con lo sguardo.

Svelato l'arcano.

«Non te l'ho detto perché non sto uscendo con nessuno, infatti» confesso. Ma lei si imbrunisce ancora di più.

«Si ci siamo baciati, se è qui che vuoi arrivare. Ma non te l'ho detto perché tra di noi non c'è niente, non lo conosco neanche!» mi giustifico alzando le braccia in aria.

«Non sembrava che non ci fosse niente...»

In fondo non so cosa risponderle, mi coglie impreparata, anche perché neanche io so cosa abbia significato quel bacio.

«Ti piace?» mi chiede.

«Mm?»

«Lui intendo...ti piace?»

Sento le guance avvampare.

«Si. Ehm...voglio dire, no!...non lo so» abbasso lo sguardo sulle mie gambe, indecisa.

«Tira giù la maschera, Nat...»

«Ma non so neanche da dove cominciare. Non lo conosco da molto, è successo tutto così in fretta. Continuiamo ad incontrarci per caso...»

«Come si chiama?» mi domanda sbrigativa, non lasciandomi finire la frase.

«Ander» sibilo timidamente.

A un tratto l'atmosfera nell'appartamento si fa più tenera e cordiale; Rebecka cambia repentinamente umore: se fino a un attimo fa mi squadrava con occhi gelidi, ora sembra sprizzare gioia da tutti i pori.

«Voglio sapere tutto, dall'inizio.»
Si posiziona meglio sul divano e mi scruta attentamente con aria investigativa, mentre non ho altra scelta che accontentarla, iniziando a raccontare.

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