Capitolo dieci: Questione di sincerità
NATALIE
La via che porta da Berkeley alla casa della confraternita di Hardin è affollata; le auto sono posteggiate a entrambi i margini della strada, l'una dietro l'altra e in fila indiana. Le sole voci che si sentono provengono da gruppi di studenti truccati e travestiti in svariati modi che si recano verso la medesima meta: la festa di Halloween. È lì che stiamo andando, io e Rebecka.
Hardin, che vorrebbe fare colpo sulla mia amica, ci ha invitate ripetendoci che è stata la squadra di football di Yale a organizzarla.
Rebecka ovviamente ne è stata entusiasta sin da subito: mi ha letteralmente obbligata a travestirmi, nonostante l'idea non mi piacesse affatto. Col suo fare irremovibile, non ho potuto fare a meno che accontentarla.
Tuttavia sono davvero una frana nei mascheramenti: avrei voluto assomigliare a uno zombie o a una bambola assassina ma dai miei esperimenti ciò che ne è uscito non è altro se non un miscuglio tra Pippi calzelunghe e Britney Spears di "Baby One More Time". Per giunta, i miei capelli non sono né rossi né biondi e le parigine grigio scuro che indosso prudono al punto che vorrei strapparmele di dosso.
«Non sarà troppo profonda la mia scollatura?» ho chiesto a Rebecka ripetute volte, riferendomi alla camicetta bianca dall'ampia e triangolare scollatura. Lei non ha fatto altro che rassicurarmi, consigliandomi al tempo stesso di non farmi problemi inutili.
Tuttavia mi sento a disagio in queste vesti. Ho diviso i lunghi capelli castani in due morbide trecce, truccato gli occhi con matita e mascara, e dipinto le mie labbra carnose con un rossetto bordeaux.
Spero davvero di non incontrare nessuno di mia conoscenza, stasera, perché di Natalie Johnson e del suo modo di essere non è rimasto praticamente niente!
L'idea di incrociare Ander, d'altra parte, mi manda in tilt. È quasi passata una settimana dalla festa al Monkey, e dal bacio che ci siamo scambiati. Da quel giorno non l'ho più visto, tanto che i pensieri non mi danno tregua. Non faccio altro che immaginare i motivi per cui non mi abbia cercata. Forse non gli piaccio, mi sono detta innumerevoli volte, e più passa il tempo, più sono convinta che sia così!
È già da un bel po' di ore che i bambini del quartiere hanno smesso di bussare alle porte per gridare: «dolcetto o scherzetto», tuttavia man mano che io e Rebecka ci avviciniamo al luogo della festa, si percepisce l'atmosfera tipica di Halloween.
La casa è decorata con macabri addobbi: ragnatele e scheletri a dimensione d'uomo sono presenti in ogni punto, assieme ai finti pipistrelli appesi alle pareti. L'illuminazione è fioca e proviene per la maggior parte dalle candele inserite nelle zucche intagliate e trasformate così in lanterne. La casa è gremita di gente tanto che per errore inciampo finendo addosso a Superman - un ragazzo mascherato, ovviamente! -; gli chiedo scusa imbarazzata e io e Rebecka riusciamo a stento a raggiungere il salotto per prendere da bere.
«Siete venute!» sentiamo urlare Hardin da non molto lontano.
Quando mi volto, lo vedo avanzare nella nostra direzione. Credo che si sia travestito da cowboy, ma non ne sono sicura.
Rebecka gli stampa un bacio casto sulla guancia. «Come potevamo mancare?»
«È davvero una bella festa!» commento.
Hardin sfoggia il suo miglior sorriso. «I Bulldogs prendono ogni cosa seriamente!» dice fiero.
Ho scoperto che Hardin fa parte della squadra di football di Yale soltanto grazie a Rebecka, che era rimasta affascinata non appena lo aveva scoperto. La mia amica ride alla sua affermazione e io la seguo, divertita.
Hardin si avvicina al tavolo degli alcolici e in due bicchieri versa un po' di birra, offrendocela.
«Natalie...» mi chiama poco dopo, attirando la mia attenzione. «Ryan dovrebbe essere qui da qualche parte!» esclama fingendosi spontaneo, come se quella fosse la prima cosa passatagli nella mente.
E invece penso che volesse dirmelo dal momento in cui ci siamo salutati, stasera. Non sarei stata tanto sorpresa se Ryan gli avesse chiesto un po' di aiuto. Credo proprio di piacergli; l'ho capito il giorno dopo la festa in maschera, quando l'ho incontrato alla caffetteria e mi ha fatto quelle strane domande riguardanti il mio ipotetico ragazzo e il bacio con Ander.
Ander...chissà se anche lui è qui.
«D'accordo. Allora non appena lo incontro lo saluto» rispondo sbrigativa, cercando di celare il fastidio che la sua affermazione mi ha provocato.
L'ora successiva trascorre tranquilla, e di Ryan neanche l'ombra - per fortuna -. Credo di aver bevuto almeno tre bicchieri di birra ma più passa il tempo, più sembra impossibile divertirsi, dato che la casa è così affollata che non c'è neanche lo spazio sufficiente per ballare.
Rebecka non la smette di parlare. In questo momento mi sta raccontando di Mr. Moore, l'insegnante di biologia, e del suo strano accento. «Ho sempre voluto domandargli da dove provenga! Forse dall'Inghilterra o da qualche paese europeo!» mi rivela con gli occhi ridotti a due fessure e con l'aria pensierosa. E io l'ascolto fingendomi interessata, mentre riesco solo a pensare di volermene tornare a Berkeley.
A un tratto veniamo interrotte da un ragazzo travestito da Edward mani di forbice.
«Ciao bellezze!» esclama infilandosi tra noi.
Quando dopo di lui si avvicinano altri due ragazzi, capisco che si tratta di Ander, Jack e Marcus (quest'ultimo è Edward mani di forbice). Il mio cuore fa una mezza capriola e con un gesto improvviso provo ad abbassarmi la gonna troppo corta.
Sento gli occhi di Ander su di me, ma preferisco guardare Rebecka che mi è di fronte, la quale accenna un: «Ehm...ciao», sorridendo debolmente.
«Ehi, aspetta un secondo» dice Marcus con una mano sollevata. «Ma tu non sei la ragazza della camera 8? Di Berkeley? A cui si ruppe lo scatolone?» Mi indica e alterna lo sguardo tra me e Ander, attendendo conferma.
«Sì, sono io» mormoro imbarazzata e al tempo stesso stupita che se ne ricordi, essendo passato più di un mese da quel giorno.
Ander non risponde, se ne sta nel suo costume da diavolo con una mano lungo il fianco e l'altra che impugna il forcone rosso e nero.
Immagino che non abbia raccontato ai suoi amici ciò che è accaduto tra di noi al Monkey, dato che ha l'aria vergognosa e pare aver perso la facoltà di parola. Sembra quasi dispiaciuto di avermi incontrata, il che mi fa sentire ancora di più a disagio, tanto che sposto nervosamente il peso del mio corpo da un piede all'altro, cercando di nascondere il viso tra le lunghe trecce.
«Che cosa ci fanno da sole due donzelle così belle?» domanda Marcus simpaticamente, avvolgendo me e Rebecka in un abbraccio.
Avvampo sotto il suo tocco.
Rebecka mi lancia occhiate di fuoco ma preferisco evitarla dato che ho già altro di cui preoccuparmi: Ander è di fronte a me che mi squadra dalla testa ai piedi. «Dai Marcus, lasciale stare» borbotta con aria dura stringendo i pugni lungo i fianchi.
«Ehi amico, non sto facendo niente di male» si difende l'altro sollevando le braccia in aria.
«Non preoccuparti...» interviene Rebecka con voce stridula, «...non ce la prendiamo mica!»
Marcus le sorride mostrando i denti. «Volete giocare con noi a Beer Pong? Mancano due posti in squadra...» fa una smorfia.
«Io passo. Ho già bevuto stasera...» dichiaro.
Rebecka fa spallucce. «Già, anch'io. Magari la prossima volta...»
«A dire il vero è passata anche a me la voglia di giocare.» Questa volta è Ander a parlare. Gli amici lo guardano con occhi sgranati.
«Dai amico... gioca! Avanti!» lo implora Marcus.
«No. Ho un po' di mal di pancia, non sarebbe prudente bere...» rivela, e le sue parole sanno tanto di bugia. «Credo proprio che dobbiate trovare qualcun altro!» soggiunge appoggiando una mano sulla spalla di Jack.
«Sei il solito...» borbotta Marcus con una smorfia.
Non appena Marcus e Jack si allontanano per andare alla ricerca disperata di giocatori, dato che la partita di Beer pong sta per cominciare e la loro squadra ne è a corto, Ander mi afferra il polso.
«Aspetta...» dice con voce flebile prima che mi allontani insieme a Rebecka.
Mi tiene il polso delicatamente e il tepore del suo contatto mi s'irradia in tutto il corpo, facendo accelerare i battiti del mio cuore. Se solo sapesse le sensazioni che provo ogni volta che mi è vicino.
Per un attimo rimaniamo in silenzio ma ci pensano i nostri occhi a comunicare, scrutandosi attentamente; probabilmente loro sanno molto più di quanto le nostre bocche riescano a dirsi a parole.
«Ti chiedo scusa per Marcus...» dice tutt'un tratto col volto svigorito.
«Non devi, non ha fatto niente di male...»
«Stai molto bene stasera» rivela per poi guardarmi velocemente dalla testa ai piedi. «Ma esattamente da cos'è che ti saresti travestita?» domanda accennando un sorriso.
«Non lo so, a dire il vero. Ho indossato i vestiti più originali che avevo nell'armadio. Volevo assomigliare a una bambola assassina» ammetto con gli occhi bassi, provando a ricambiare il sorriso.
Ma l'espressione spenta del volto mi tradisce, dato che Ander incurva leggermente la schiena per incrociare il mio sguardo. «C'è qualcosa che non va?»
«No, niente. Lascia perdere.» Agito una mano con disinvoltura. Ma l'imbarazzo è palpabile tra di noi ed è stato il nostro bacio a causarlo.
«Non mi sembra, hai l'aria strana...»
«Be' se proprio vuoi saperlo, la verità è che sono un po' delusa» dichiaro. «Insomma...mi baci, non ti fai vedere per un'intera settimana e stasera mi parli come se tra di noi non fosse successo niente. Non so che idea tu ti sia fatto di me, ma non sono il tipo di ragazza che bacia qualcuno senza un motivo.»
«Ho perfettamente capito che tipo sei!»
Ma io ascolto di sfuggita le sue parole e non gli do il tempo di aggiungere altro. «D'altronde non hai raccontato niente ai tuoi amici e lo capisco, figurati. Tra di noi in fondo non c'è niente, no? Quella notte eravamo entrambi su di giri per via dell'alcol!»
Le parole fuoriescono velocemente dalla mia bocca, scorrendo come un fiume in piena e il labbro mi formicola a causa dell'agitazione. Per un breve momento temo che Ander abbia perso il filo del mio discorso, e io mi sento stupida al punto che vorrei voltarmi e andarmene.
«Ti sbagli! Ti posso assicurare che quella notte ero sobrio come non lo sono mai stato!»
I suoi occhi mi trafiggono, sinceri, mentre io mi sento nuda, disarmata. Ho dato voce a tutti i pensieri che hanno affollato la mia testa durante questi giorni; vorrei rispondergli anche se non ho la minima idea di cosa dire.
«Natalie! Ti ho cercata dappertutto!» Ryan mi viene incontro con un largo sorriso. «Hardin mi ha detto che eri qui...»
«Ehm, c-ciao..» balbetto.
Mi lascia due baci sulle guance. Ander ci fissa con gli occhi fuori dalle orbite ma il suo sguardo è impenetrabile.
«Te la posso rubare?» gli domanda Ryan subito dopo.
«È tutta tua...» risponde, con un tono di voce a metà strada tra il l'incredulo e il disgustato.
Vorrei dirgli di non andarsene ma Ryan non mi da il tempo perché un secondo dopo mi sento tirare dalla mano. «Ti devo far vedere una cosa!» esclama facendosi largo tra la folla e trascinandomi verso la cucina, dove un gruppo di studenti è impegnato a giocare a Beer Pong.
Tra di loro riconosco Jack e Marcus.
«Guarda!» urla divertito indicandomi Hardin che poco lontano da noi sta facendo a gara a chi si tocca per primo il naso con la punta della lingua.
La scena sembra divertire tutti, tranne me, che non sopporto l'idea che Ryan abbia interrotto la mia conversazione con Ander. Anche Rebecka ride a crepapelle e non appena si accorge della mia presenza mi viene incontro. «Ehi signorina, dov'eri finita?»
«Da nessuna parte...» farfuglio assicurandomi che Ryan non ascolti. «Stavo parlando con Ander» rivelo abbassando il tono di voce.
«Intendi il tipo che ti ha baciato?» squittisce e le si illuminano gli occhi.
«Non urlare!» le do un leggero schiaffo sul palmo della mano. «Comunque sì. Ti ricordi quando quel ragazzo si è avvicinato a noi?» le indico Marcus con lo sguardo, che è impegnato a giocare a Beer Pong.
Rebecka annuisce.
«Be', Ander è un suo amico. Era quello travestito da diavolo!»
«Oh...capisco» mormora pensierosa.
«Comunque sia...non credi che Hardin abbia bevuto un po' troppo? Credo che sia ubriaco fradicio!» trattengo una risata incrociando le braccia.
«Sì, ma è così divertente!» dice lei.
Improvvisamente avverto la sensazione di bagnato sul mio braccio e l'odore di vodka proveniente dalla mia camicetta conferma il mio sentore; qualcuno senza accorgersene me ne ha versato un po' addosso.
«Vado a pulirmi!» dico tra me, nervosa.
Rebecka è troppo occupata a fissare Hardin per rispondermi, per cui si limita ad annuire e mi lascia andare.
Salgo le scale addentrandomi nel lungo corridoio pieno di porte, non avendo la minima idea di dove sia il bagno. Per fortuna lo trovo poco dopo ed è libero, quindi entro chiudendo a chiave la porta. Sembra un'impresa tentare di asciugare l'alone formatosi sulla manica e quando sto per rinunciare, sento bussare alla porta.
«È occupato!» urlo, chiedendo a chi c'è dietro di pazientare.
Ma chiunque sia non mi da retta, dato che continua a dare colpi per farsi aprire.
«Ho detto che è occupato!» sbotto poco dopo spalancando la porta.
Ander è sulla soglia. Mi guarda con un sorriso sghembo e con le braccia conserte. «Lo so. Ma non m'importa!» dice facendo spallucce.
Gli lancio un'occhiataccia e trattengo la voglia che ho di alzare gli occhi al cielo. Preferisco tornare a concentrarmi sulla macchia, tuttavia lascio la porta aperta e Ander mi raggiunge.
«Chi era quello?» mi domanda in tono provocatorio.
Continuo a strofinare. «Quello chi?»
«Il tipo che ti ha trascinata via da me.»
Alzo gli occhi e lo guardo attraverso lo specchio; è alle mie spalle con gli occhi ridotti a due fessure e l'aria contrariata.
«Nessuno di importante. È solo un amico. E poi a te che cosa importa?»
Fa spallucce. «Niente.»
«Invece sembra tutto tranne che niente!»
Soffoca una risata. «Sono solo nervoso perché ha interrotto la nostra conversazione. Stavo per farti una domanda» confessa.
«Puoi farmela ora» gli suggerisco riprendendo a strofinare.
«Il bacio...ti è piaciuto?» la sua voce è ridotta a un sussurro, come se avesse paura che qualcuno potesse sentire.
Rialzo immediatamente gli occhi e Ander è nella stessa posizione, solo che questa volta mi scruta con la mascella serrata; forse ha paura di ascoltare la mia risposta.
Faccio una smorfia mentre fingo di pensarci. «Mm, non te lo dirò» ammetto infine.
«Quindi vuol dire che ti è piaciuto...»
Ma io non gli rispondo. «Tu perché non mi hai cercata? D-dopo il bacio, intendo» balbetto timidamente.
«Come avrei potuto senza sapere il tuo numero di cellulare? E poi ho provato a cercarti ma non c'eri nemmeno a lezione di latino» confessa in tono difensivo.
In effetti non ha tutti i torti. Questa settimana ho saltato la lezione di latino perché ero troppo impegnata a scrivere una tesina.
Rimango ammutolita mentre Ander mi scruta attentamente. Nessuno mi ha mai guardata come lui: i suoi occhi sono come frecce, puntati sul bersaglio. Entrano così nel profondo che è difficile dimenticarli.
«E poi, ormai ho perso il conto per tutte le volte che ti ho chiesto di uscire e tu mi hai detto di no!» aggiunge.
«Il giorno della festa avrei voluto...ma»
Non mi lascia finire la frase. «Ma dovevi andarci con quello, non è vero?»
«Sì» rifletto a voce alta.
«E che cos'ha lui più di me?!»
«Niente! Mi ha solo invitata prima di te!» Mi giro di scatto e gli sono di fronte. «Però sono stanca delle tue provocazioni. Dimmi le cose come stanno, Ander Wood. Mi hai chiesto se il bacio mi è piaciuto... Ma a te... a te è piaciuto? Sì o no?»
Il cuore mi martella nel petto e rallenta i suoi battiti non appena mi accorgo che non risponde. «Sai cosa? Lascia perdere, non fa niente!» dico.
E scappo via.
«Natalie!» mi chiama lui dal bagno.
Ma io non lo ascolto e guadagno velocemente l'uscita, per poi allontanarmi dal luogo della festa e inviare un SMS a Rebecka chiedendole di tornare a casa.
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