Rabbɩa, ѵҽŋɖҽtta, ʆamҽ
"Sul serio non avete paura di me?"
"No, tu per noi sei solo speciale Levi."
"Vi ho appena confessato di essere un ghoul, dovreste aver paura di me..."
"Ma non ne abbiamo. Tu, per noi, sei come un fratello!"
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All'ennesima frustata sulla schiena, Levi sentì quelle voci di bambini nella sua testa interrompersi, serravando i denti per impedirsi di urlare, vittima di quel dolore sulla pelle che ora stillava lacrime di sangue che partivano dalle scapole.
Il suo fisico era un continuo tremore, i muscoli intorpiditi dalla posizione medesima in cui da un tempo incerto era costretto a restare. Era in ginocchio, chino col busto su una sedia, i polsi legati da corde così strette che il sangue aveva smesso già da un po' di circolare.
« Questa stanza è ricca del tuo odore. Non resisto. »
Pronunciò la voce alle proprie spalle, ma non provò a divincolarsi quando sentì sui tagli nella schiena il passaggio di una lingua calda ed affamata. Il dolore era indescrivibile, non aveva mai sentito tanto male, ne era sicuro.
Sapeva che sarebbe finita così. Che presto o tardi, qualcuno si sarebbe vendicato di lui ora che non poteva difendersi, ora che era un comune umano vulnerabile, disgustosamente vulnerabile.
Quella lingua non faceva che passare sui tagli aperti, procurandogli un bruciore misto anche ad una leggera sensazione di sollievo quando il respiro altrui si infrangeva contro la propria pelle martoriata.
« Perché non mi ammazzi e basta? »
D'altronde, ormai, vivere non aveva più senso. E non soltanto perché era diventato preda, ma soprattutto perché preferiva questo al sentirsi costantemente in pericolo. Avrebbe condotto una vita nel terrore, dovendosi nascondere continuamente per non rischiare di essere divorato.
Le sue parole suscitarono le risa della persona alle proprie spalle, la quale si erse sulle gambe dopo essersi preso ancora qualche secondo ad assaporare l'aroma del suo sangue, che pareva gradire non poco.
« Scusami? E dove sarebbe il divertimento? »
Lo schernì quella voce. Venne poi afferrato di malagrazia e rimesso a sedere sulla sedia, con i polsi legati dietro lo schienale.
Eren si mise a cavalcioni sulle gambe di Levi, il viso macchiato del suo sangue per via degli schizzi che uscivavano ad ogni violenta frustrata.
Levi era stanco, provato, pallido. Era anche dimagrito, cosa che ad Eren non faceva piacere.
« Deve mangiare professore, non voglio masticare ossa quando avrò deciso che sarà abbastanza e potrò mangiarla. »
Fece una smorfia delusa il giovane, prima di portare alle labbra di Levi una barretta di cioccolato fondente extra.
Ovviamente il corvino non aprì la bocca, malgrado Eren gli stesse passando con insistenza la pietanza sulle labbra, stando comodamente seduto sulle sue gambe.
« Dai, mangia. Cos'è, hai deciso di lasciarti morire di fame? »
Stavolta la sua voce si fece pericolosa, come se la sola idea di una morte tanto semplice per lui non la concepisse neanche.
Affondò le dita fra i capelli neri del moro, gli tirò indietro la testa e prendendo in bocca un pezzo di cioccolata, lo baciò.
Non era tuttavia un bacio propriamente degno di questo nome, era più una lotta fra le loro bocche, con quella di Eren che cercava di schiudere quella di Levi e quella di quest'ultimo che cercava di impedire a quel pezzo di dolce di entrargli in bocca.
Alla fine vinse Eren, era riuscito sia a fargli assaporare il cioccolato che a farglielo deglutire.
Ed ammirò gli occhi del moro velarsi di stupore a quel sapore che mai, prima, aveva avuto il piacere di sentire.
Ormai Eren lo sgradiva, ma il sapore della bocca di Levi in compenso lo aveva trovato gradevole.
« Non è male, vero? »
Gli leccò una guancia, ignorando Levi distanziare disgustato il volto.
« Davvero, non morirai in fretta. Io mi assicurerò che tu soffra come un cane fino alla fine. »
Si alzò dalle sue gambe, riprendendo in mano il frustino.
« Suvvia, deliziami con un tuo urlo, ti prego! »
Lo colpì al viso con ferocia, tant'è che l'uomo volse il viso di lato sputando sangue e presto, il sapore del cioccolato, si estinse per lasciar posto a quello ramato del proprio sangue.
Una seconda frustrata lo fece sussultare, ma nessun urlo ed Eren era sempre più spazientito.
Era il ventesimo giorno che Levi era chiuso in quella cantina, il ventesimo giorno che gli dedicava tutte le sue migliori torture, ma nemmeno una volta lo aveva sentito urlare. Quel maledetto era una testa dura.
E fu così che ricominciò a frustrarlo selvaggiamente, sospinto solo dal suo odio, dalla sua inumanità, da quei sentimenti che stava ormai pian piano perdendo per lasciar posto solo alla rabbia e alla fame, alla sete di vendetta.
A causa dei ghoul aveva perso sua madre, suo padre ed ora... Ora anche la sua stessa umanità.
il pavimento era ormai ricoperto dal sangue di Levi, il quale sfinito cercava di non perdere i sensi.
« Urla... Ti ho detto di urlare bastardo, urla! Urla!! »
Dal frustare passò a mordere con ferocia le sue carni, senza strappare malgrado ciò gli richiedesse il massimo del suo autocontrollo, ma niente. Levi era muto, non urlava e presto, ormai al limite, perse i sensi.
« Sì, certo, dormi... Ma tanto non morirai. Finché non ti avrò sentito urlare non te la darò una simile benedizione. »
E con quelle ultime parole lasciò cadere il frustino bagnato di sangue sul pavimento.
Salì le scale della cantina della propria casa, uscì e chiuse a chiave la porta.
Erano già le sette e mezza, se non si dava una mossa avrebbe fatto tardi a scuola, ma prima doveva lavarsi. Non poteva certamente andare tutto sporco di sangue.
Raggiunse il bagno, lasciò cadere sul pavimento il pigiama sporco di rosso e si infilò nella doccia, dove attivò il getto per bearsi dell'acqua che lavava il suo corpo da quel sangue che sul palato apprezzava esageratamente.
Era fiero di ciò che stava facendo a quel bastardo, anche se purtroppo non aveva ancora avuto il piacere di sentirlo urlare, ancor meno di vederlo piangere.
Fu a scuola per le otto e mezza, il ritardo di mezz'ora gli fece guadagnare un'occhiataccia dalla sua professoressa di letteratura, ma si affrettò a raggiungere il proprio posto, al solito fra Armin e Mikasa.
Aveva fatto parecchie assenze in quell'ultimo periodo e avrebbe volentieri continuato a farne, ma se non voleva visite da parte degli assistenti sociali doveva frequentare, sarebbe stato un problema se avessero scoperto che in cantina nascondeva una persona.
L'ora dell'intervallo non la attese con particolare entusiasmo, dover fingere davanti ad Armin che stava bene e che come tutti mangiava regolarmente, non era facile.
Mikasa già sapeva della nuova condizione di Eren e, seppur non approvasse, era comunque lieta di sapere che il giovane ora poteva difendersi anche da solo.
Quel panino lo avvertiva disgustoso al palato. Masticarlo e poi ingoiarlo non era semplice, pareva di avere in bocca della spazzatura.
Armin, davanti a lui... Cazzo, lui sì che pareva essere proprio appetito--- No!
Ma che stava pensando!? Si alzò di scatto dal proprio posto, gli occhi spalancati, la mano alla bocca.
« Eren, che succede? »
Domandò l'amico dai capelli biondi, preoccupandosi nel vederlo scattare in piedi in quel modo.
« Eren? »
Pronunciò anche Mikasa, ma lei aveva già capito da cosa derivava la paura negli occhi di Eren.
La ragazza, allora, gli prese gentilmente una mano e lo invitò a sedersi accarezzandogli il viso nella speranza di quietarlo. Gli fece un sorriso quando pensò di riuscirci, mentre Armin, sbigottito, ancora cercava di capire cosa avesse preso ad Eren.
Quando la campanella che annunciava il termine di tutte le lezioni suonò, Eren si ritrovò a tremare dalla fame in mezzo a tutto quel via vai di gente nei corridoi dell'Istituto. Stanziava un odore che era sublime, gli solleticava lo stomaco e aumentava in lui una fame aggressiva.
Era immobile, ad annusare segretamente ogni singola persona. Cristo, avrebbe perso il controllo...
« Eren? »
Armin gli mise una mano sulla spalla ed il suo odore invase le narici del ragazzo, che affondò le dita nello stomaco, disperato.
Sentì l'altro chiedergli cosa avesse e, per quanto cuore e ragione gli stessero urlando di dirgli che stava bene e di andarsene, la fame lo fece voltare verso di lui per dirgli altro.
« Armin, mi accompagni in bagno? Devo mostrarti una cosa... »
Aveva fame ed Armin, il suo dolce amichetto d'infanzia Armin, pareva così buono... Era sicuro che il suo sapore si avvicinava molto a quello del miele.
E se lui aveva fame ed Armin era suo amico, allora lui e solo lui poteva avere il diritto di mangiarlo.
Angolo autrice
Evvivaaaaaa! Sono riuscita ad aggiornare di nuovo nel giro di brevissimo tempo, sono troppo fiera di me 😌
Comunque, ho pensato... Vorrei scrivere anche un'altra fanfiction sempre a tema ereri, un'altra AU in realtà, con Levi nazista, comandante delle SS e con Eren ebreo.
Vi piacerebbe? La trama che ho in mente è meravigliosa, però ditemi voi. La seguireste? Intanto beccatevi questo Levi Nazi!
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