6. Fotografie e incontri.
Il pomeriggio passò nella sistemazione dei suoi oggetti personali, e Cassandra tentò di rendere un po' più "sua" quella stanza che di suo non aveva ancora niente. Aveva pensato di appendere dei poster dei suoi film preferiti, che andavano da Harry Potter a Star Wars, passando per Il Signore degli Anelli, ma sarebbe sembrata troppo una cosa da teenager. Nell'ottimistico tentativo di dare una svolta alla sua vita decise di lasciare perdere. Appoggiò sulla scrivania il suo computer, da cui non si separava se non in casi estremi, e i quaderni sparsi dove era solita disegnare o scrivere. Prese il suo vecchio quaderno in mano, di cuoio cotto e sgualcito, e si guardò intorno pensando ad un posto adatto dove nasconderlo. Un posto speciale solo per lui, un posto dove non lo avrebbe trovato nessuno. Girovagò per qualche secondo nella stanza aprendo cassetti e armadi, ma non riuscendone a trovare uno che sia al coltempo nascosto e facile da raggiungere si decise a nasconderlo sotto al cuscino, convinta che nessuno si sarebbe avventurato nella ricerca di qualcosa di cui non avevano conoscenza.
Rasha si era gentilmente offerta di darle una mano, e poco dopo l'aveva raggiunta in camera e stava curiosando dentro il suo zaino. Cassandra le aveva dato il permesso, visto che in fin dei conti non aveva niente di segreto o troppo personale. Era una ragazza particolarmente noiosa. Rasha si stava divertendo un mondo a scoprire quali fossero gli oggetti di uso quotidiano che la torinese era solita portare con sé. Notò divertita che da ogni tasca spuntavano libri, come se avesse voluto infilarne il più possibile, per portarseli via. Aveva letteralmente sacrificato spazio utile per vestiti o trucchi, che scarseggiavano paurosamente, per portare con sé dei libri, che avrebbe potuto leggere sul telefono o comunque comprarli non appena fosse arrivata a Milano.
«Wow...» sussurrò ad un certo punto, tirando fuori quella che era una Nikon Colpix B500 comprata su Amazon qualche anno prima. Una macchina fotografica. Non era particolarmente bella esteticamente, ne particolarmente professionale, ma faceva il suo dovere. E poi Cassandra non aveva mai frequentato un corso di fotografia, quindi non aveva molta tecnica. Le piaceva solamente fare le foto, e se la portava ovunque. «Sai fotografare?».
«Ci provo» rispose lei, alzando le spalle e sedendosi vicino a Rasha, facendole rimbalzare per qualche secondo sul materasso nuovo ricoperto da una leggera coperta patchwork colorata. Sorrise quando Rasha aprì la galleria e si mise a vedere tutte le sue foto.
«Sono...» mormorò l'altra, senza sapere come continuare. Erano veramente magnifiche. Inusuali probabilmente, ma la luce e i colori erano resi con una tale maestria da poterle considerare piccole opere d'arte.
«Diverse?» le consigliò Cassandra, ridendo.
Non avreste trovato una foto di un paesaggio nella sua collezione. Non le interessavano le grandi vastità, le cose che non avrebbe potuto raggiungere. Adorava invece le piccole cose. I particolari zoomati. Le cose comuni, una cesta di frutta, un fiore, un cane per strada. I sorrisi delle persone, due mani intrecciate, bambini che giocavano. Le cose vicine a lei, che le facevano spuntare un sorriso ogni giorno. Che rendevano migliore il mondo.
«...belle» concluse, sorridendo. «Sei bravissima. Alice mi chiede sempre di farle delle foto, ma credo di aver appena trovato la nostra fotografa ufficiale».
«Ne sarei onorata!» esclamò Cassandra ridendo, felice di poter essere utile in qualcosa. Odiava farsi fare le foto, perché sprecare tanti bei possibili scatti per lei?, ma farle agli altri non era assolutamente un problema. «Posso chiederti una cosa?» chiese poi, facendosi subito seria. Rasha annuì lanciandole un sorriso. «Come mai hai deciso di fare Lettere?».
Il sorriso di Rasha si spense un attimo, solo per tornare ancora più brillante di prima. Se avesse dovuto spiegarle tutte le ragioni che l'avevano portata a fare Lettere, non avrebbe finito per ora di cena. La sua vita era stata così complicata che al solo pensiero le veniva una stretta al cuore, e gli occhi le si offuscavano. Il ricordo dei parenti e dei genitori che aveva lasciato, il ricordo di quello da cui era scappata le faceva ancora troppo male, e Cassandra era ancora troppo una sconosciuta per permettersi di aprirsi a lei così tanto. Ma non importava. Lì e in quel momento si trovava bene, ed era finalmente felice.
«Per diventare giornalista» concluse, allontanandosi per guardare il sole tramontare dalla finestra. «Ci sono tante cose ingiuste in questo mondo. E io voglio portarle tutte alla luce, una alla volta. Anche se ci dovessi mettere anni».
Cassandra sorrise con gli occhi che brillavano. Aveva come l'impressione che sarebbero diventate parecchio amiche. Con la voglia di raccontare di una e le cose da raccontare dell'altra, se si fossero impegnate avrebbero creato sicuramente qualcosa di bello.
Erano le sette e mezza quando si sentì bussare con forza alla porta d'ingresso. Cassandra stava ancora sistemando i suoi libri, quando Rasha andò a chiamarla dicendole che c'era qualcuno che doveva presentarle.
Cassandra riconobbe delle voci maschili ancora prima di arrivare in salotto e dovette fare un respiro profondo prima di fare la sua apparizione.
«Sì, Daniele dovrebbe arrivare fra una mezz'oretta, è ricominciato il cam...ehy, tu devi essere quella nuova!», il ragazzo che stava parlando con Rasha era alto almeno un metro e novanta, biondo, da quello che Cassandra riusciva a vedere, e col fisico pronunciato, probabilmente un nuotatore, a giudicare dalle spalle. Le stava venendo incontro con la mano tesa, e lei non era riuscita ancora a razionalizzare il tutto che lui le stava stringendo calorosamente la mano destra nella sua, scuotendola tanto da farle quasi staccare un braccio. «Io sono Giacomo, Jack per gli amici. Piacere!». Parlava con un tono di voce così alto che sembrava gridasse.
«C-Cassandra» borbottò la ragazza, scossa dal ragazzo tanto estroverso ed esuberante.
«Wow...è un nome...» affermò lui, guardandola confuso. Era un nome interessante, come d'altronde anche la ragazza gli sembrava. Pareva simpatica, ma anche molto spaesata e confusa. Doveva venire da un posto molto diverso dal loro.
«Strano» concluse lei, abituata a sentirsi dire certe cose.
«No...è bello!» esclamò lui, ridendo. «Da dove vieni?»
«Torino», sorrise confusa, cercando di connettere la bocca al cervello. Quel ragazzo la stava sconvolgendo.
«Allora sarai Juventina» affermò un altro ragazzo, che lei non aveva neanche notato visto che era nascosto dal suo amico gigante. «Meglio se non lo fai sapere a Daniele».
«Veramente...non tifo nessuna squadra»
«Impossibile non tifare nessuna squadra!» esclamò, andando verso di lei, «Sono Leo, interista». Cassandra si mise a ridere, e gli strinse la mano. Il ragazzo aveva dei grandi occhi verdi e i capelli sul nero che gli ricadevano ricci fino alle spalle. Con le orecchie leggermente a punta, il viso lungo e gli occhi brillanti, sembrava quasi un elfo. Il ragazzo trovò che la sua risata forse particolarmente graziosa, ma si guardò dal dirlo. Non voleva che tutti pensassero che si fosse preso una cotta.
«Non iniziate a parlare di calcio o me ne vado!» esclamò un'altra voce, più acuta rispetto agli altri due ragazzi, mentre un terzo usciva dalla porta della cucina. Aveva i capelli sparati in alto grazie ad un chilo di lacca, e indossava...sul viso della ragazza si lesse un'espressione confusa, mentre guardava avvicinarsi quello che era un ragazzo con dei jeans zebrati, una felpa viola con scritto "sex", e dei molto poco etero anfibi viola. Le porse la mano, che lei strinse con garbo.
«Sono Francesco, e sono gay». Cassandra spalancò gli occhi imbarazzata, non tanto per quello che era, buon per lui, ma tanto per la semplicità con cui lo aveva detto.
«Gli piace mettere le cose in chiaro fin da subito» le venne in aiuto Erica, appoggiando un braccio sulle spalle di Francesco.
«...Cassandra» rispose la ragazza alla presentazione, pensando che ci avrebbe impiegato un po' di tempo per assimilare tutto quanto.
«Staresti meglio con una maglietta più attillata, sai?» le consigliò il ragazzo che aveva di fronte, squadrandola da capo a piedi. «Che taglia porti?». La ragazza indossava una vecchia maglietta e dei pantaloni della tuta, che non si addicevano per niente ad un corpo magro come il suo. La mente di Francesco stava già vagliando il catalogo di Bershka e di Zara, immaginando cosa le potesse stare meglio addosso. Coi capelli neri che aveva, probabilmente il rosso era il colore più indicato. O forse il blu, che avrebbe ripreso i suoi occhi spaventosamente grandi.
Cassandra guardò Erica confusa, in cerca di aiuto. Non si era mai trovata davanti ad una persona tanto strana ed espansiva quanto Francesco.
«Fra basta così per oggi, o la farai scappare subito!» esclamò Giacomo ridendo.
«Pensavo solo che avremmo potuto andare a fare shopping insieme qualche volta»
«Vo-volentieri» mormorò lei, andando poi in cucina per cercare qualcosa da fare, e per scappare da quella situazione.
«Ho ordinato delle pizze» la informò Alice, sorridendole. Si era cambiata, e in quel momento indossava un grazioso vestitino a fiori. «Mi sembri una tipa da prosciutto e funghi».
«Oh sì, va bene» rispose Cassandra alla rinfusa, prendendo le posate che le stava porgendo. Non osò dirle che era un tipo di pizza che non aveva mai assaggiato, impaurita dalla reazione che la bionda avrebbe potuto avere. In realtà, si sentiva impaurita da qualsiasi cosa la circondasse.
In salotto, Erica, Rasha e i ragazzi stavano apparecchiando il tavolino di vetro, intorno al quale si sarebbero seduti per mangiare tutti insieme e guardare un po' di televisione. Si stavano confrontando tra loro, dando la propria prima impressione sulla ragazza appena conosciuta. Cassandra risultava simpatica al gruppo, anche se la trovavano un po' strana. Non avevano mai conosciuto una persona tanto timida ed introversa come lei, e non sapevano come approcciarsi. Sarebbe stato difficile cavarle fuori qualche parola di bocca, e ci sarebbe voluto molto tempo per riuscire ad abituarsi a lei, ed inserirla in un gruppo ormai coeso e solido come il loro. Si zittirono, non appena la diretta interessata ed Alice li raggiunsero con le ultime posate in mano.
«Hanno perso» disse Giacomo, passando lo sguardo dal cellulare ad Alice. «Quindi acqua in bocca» aggiunse, rivolgendo questa volta lo sguardo al resto del gruppo. Poi si ricordò che c'era anche Cassandra, quando si sarebbe abituato al fatto che il gruppo si era allargato?, e si sentì in dovere di spiegare anche a lei l'accaduto. «Quando Daniele perde ad una partita è abbastanza...irritabile. Quindi è meglio non rivolgergli la parola. Be' probabilmente si siederà sulla poltrona e rimarrà lì tutta la sera, ma...»
«Ho capito» intervenne Cassandra, annuendo e sistemando le posate. Era una ragazza silenziosa, ma il suo cervello non smetteva mai di lavorare. Anche il quel momento, si era rimessa a pensare.
Quale ragazzo poteva prendersela così tanto per una partita a pallone? E poi in compagnia di amici avrebbe dovuto cercare di farsela passare, non rimanere seduto senza rivolgere parola a nessuno. Se prima era curiosa di conoscerlo, ora non ne aveva granchè voglia.
«Proverò a farlo ragionare io» concluse Alice, sorridendo tutta contenta. E finalmente Cassandra capì il perché di quel vestitino tanto grazioso, e dei capelli lunghi legati per bene in un'elegante treccia.
«Ci speri ancora» rise Francesco, buttandosi sul divano. «Tanto non succederaa» la canzonò, canticchiando.
«Guastafeste» ringhiò lei, sedendosi sul divano accanto, e incrociando le braccia imbronciata. «Vedremo».
«Abbiamo portato Mario Bros» disse Leo tanto per cambiare argomento, tirando fuori da una borsa una scatolina rossa che conteneva un gioco della Wii. Cassandra lo riconobbe subito. Suo fratello aveva passato un'estate intera a giocarci, e aveva insegnato anche a lei. Non si riteneva una campionessa, ma se la cavava nei videogiochi. Dopotutto, comandare un personaggio da dietro uno schermo sembrava estremamente più facile che comandare sé stessa nella vita reale. Le dava la sensazione di riuscire ad avere il controllo della situazione, una volta tanto. Ma, sia nei videogiochi che nella realtà, un mostro era sempre all'agguato. «...ma finiremo ancora per giocarci solo io e Jack, visto che le ragazze non sanno giocare...»
«Io so giocare» precisò Cassandra, arrossendo poi per aver attirato l'attenzione di tutti su di sé. Perché ogni tanto le venivano queste malsane idee di parlare ad alta voce?
«Come scusa?» chiese Jack confuso.
«A Mario Bros» ripetè lei, indicando la scatolina nelle mani di Leo, «Io ci so giocare. Con mio fratello abbiamo finito tutti i mondi. Ci sono voluti due anni...ma alla fine...», si dovette bloccare, perché Leo si era seduto di fianco a lei e la stava stringendo in un abbraccio stritolaossa. Era magro come un chiodo, e le dava l'idea che sarebbe riuscita a rompergli qualche osso, se solo Cassandra avesse ricambiato l'abbraccio. Però, a Leonardo lei gli diede la stessa impressione, e gli partì uno strano moto di protezione nei confronti della ragazza. «Ehm...» mormorò la corvina, terrorizzata.
«Ti amo!» esclamò lui, alzandosi di colpo e iniziando a saltellare. «Facciamo una partita!?»
«Ehm...certo, perché no?» rispose lei, rossa di vergogna per quella dimostrazione di affetto tanto spontanea. Quel ragazzo era così totalmente diverso da lei...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro