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1. Leone e Formica.

«Visto che hai finito il liceo...» 

Sua madre iniziava sempre le frasi in quel modo, con una proposizione causale. Cassandra si ricordava ancora quando le aveva studiate per la prima volta alle elementari, come era saltata dalla sedia dicendo che sua madre le utilizzava sempre in casa. "Dal momento che", "dato che", "visto che", erano solo alcuni dei modi con cui sua madre rendeva il suo discorso il più logico possibile. D'altronde, cosa si può obiettare ad un concetto di causa-effetto?  

«Potresti iniziare a venire a lavorare in negozio».

Posò la pentola di gnocchi al ragù fumanti sul tavolo. La teneva per i manici sbeccati, con l'aiuto di due paia di guanti che il marito le aveva regalato il Natale prima, dopo anni che si lamentava delle scottature delle pentole che le aveva lasciato la madre, alla quale non voleva rinunciare perchè erano una delle poche cose che gliela ricordavano veramente. 

Il marito spostò gli occhi dal Corriere dello sport e li posò sulla figlia minore, seduta su una sedia della cucina con un libro in mano. Cassandra alzò gli occhi verso la prima pagina del giornale, che mostrava una vittoriosa Juventus nella Serie A, cosa di cui il padre sembrava andare molto fiero, visto come era stato evidenziato in giallo il titolo "I bianco-neri segnano ancora". Dybala sorrideva trionfante subito dopo aver fatto goal. 

Nella mente della ragazza sfiorò il pensiero che se il giornale fosse stato: "La Gazzetta del Profeta", in quel momento le immagini si sarebbero mosse silenziose, ma ovviamente invece che una vittoriosa squadra di calcio ci sarebbe trattata di una vittoriosa squadra di Quidditch. I Chudley Cannons, o le Holyhead Harpies magari...

«Cass ci ascolti quando parliamo?». 

La voce di suo padre ruppe il silenzio, e la risvegliò dalle sue fantasticherie. Il giornale venne accuratamente ripiegato e appoggiato sul bancone della cucina, il che non era di buon auspicio. Se suo padre si separava dal Corriere dello sport a metà lettura, voleva dire che la conversazione sarebbe vertita in una sola direzione.

«Sto ascoltando» mentì la ragazza, mentre posava il libro, una copia sciupata dell'Ombra del vento di Zafòn, e andava a prendere i bicchieri nella credenza. La madre si avvicinò spazientita dalla goffaggine della figlia e li prese lei, rinunciando al fatto che non le sarebbe mai somigliata. «Erano troppo lontani» borbottò la figlia, procurandosi un'occhiataccia dalla madre. Cassandra si spostò faticosamente per uscire da quell'angusto spazio tra il bancone e il piano cottura, troppo piccolo per ospitare due persone. Oppure troppo piccolo a causa dell'opprimente presenza della madre. In più, il caldo di fine Agosto rendeva quella cucina talmente inabitabile da necessitare di un documento di agibilità per poterci vivere dentro.

«Allora rispondi alla domanda che ti abbiamo fatto» le ordinò il padre, sedendosi a capotavola.

Giovanni Argenteri era imponente anche da seduto. La genetica aveva fatto proprio un buon lavoro a suo tempo, donandogli i meravigliosi tratti che da generazioni erano priorità degli uomini Argenteri. I biondissimi capelli lisci erano tagliati in una pettinatura militare, che non aveva cambiato di lì a vent'anni addietro. Gli occhi azzurri risplendevano come diamanti. Sarebbe stato un uomo affascinante, se in quel momento non avesse avuto il viso distorto da un'espressione fredda e scostante che riservava solo per la figlia minore. Figlia che aveva ereditato solo in piccola parte quello che la genetica aveva donato a lui.

«Non...non mi avete fatto nessuna domanda» tentò Cassandra, sedendosi al suo solito posto davanti a lui. Da quanto si ricordava, quella della madre non era una domanda, ma al contrario un velato ordine inderogabile. 

Gli occhi blu scuro della giovane erano inchiodati sulla tovaglia, intenti a seguire le mosse di una formichina che tentava di fare sua una briciola di pane. In quel momento si sentiva tanto piccola quanto quell'insetto. Un'inutile formica in balia di un leone.

«Cassandra» la riprese la madre, zittendo il marito con un veloce gesto della mano. Non voleva discussioni, non a tavola, non ancora. Fece un respiro profondo, e, con tutta la serenità di cui era in possesso, le chiese: «Verrai a lavorare da noi?».

L'inclinazione della voce rendeva quella frase più un'affermazione, che una domanda. Cassandra sapeva bene che le stavano dando solo una parvenza di scelta. In realtà era già stato deciso, e il parere di quest'ultima non avrebbe cambiato le carte in tavola.

La madre le appoggiò con un movimento elegante il piatto pieno di gnocchi fumanti davanti, e Cassandra notò per la prima volta qualcosa che non andava sulla sua mano sinistra. Le unghie laccate di un rosa pallido erano sempre le stesse, ma non indossava la fede.

Aveva sempre paragonato il padre ad un leone, ma se suo padre era un leone, cos'era la madre? Una leonessa?

No, probabilmente il primo animale che avreste associato alla madre sarebbe stato una gazzella. Alta, snella, in forma. Capelli neri che le ricadevano lunghi sulla schiena e grandi occhi da cerbiatto. Sguardo schivo ma attento, propensa a farsi gli affari suoi, e a rimanere al proprio posto. Un'innocua gazzella.

Però, leone e gazzella non stanno bene insieme.

«Cass...» la riprese il padre, spazientito. Voleva una risposta, e la voleva subito. Anzi, voleva QUELLA risposta, esattamente quella che per anni Cassandra aveva rifiutato di dargli. Ma lui non era come sua moglie, lui non ci avrebbe rinunciato. Quando Giovanni Argenteri decideva una cosa, la portava a termine.

«No» sussurrò la figlia, tenendo gli occhi puntati sulla piccola formica. «Ho altri progetti per il mio futuro».

Il padre sbattè la mano sul tavolo, inviperito, e la formichina venne schiacciata.

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