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22. Tempesta

La pioggia produce un rumore sordo sulla vetrata romboidale impiantata nel soffitto, al centro della navata. Lo scricchiolio delle assi delle panche sotto alle natiche dei fedeli riecheggia tutt'attorno, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria a Mare.

Mamma.

Forse sua mamma non avrebbe apprezzato lo stile architettonico di questa chiesa, con questi muri obliqui, geometrici, senza nulla ad abbellirli sulla superficie.

Però forse le sarebbe piaciuta, quella vetrata, la luce del giorno che l'attraversa e che le proietta sul viso lo spettro di tutti i colori. Anche a Marzia piacerebbe mettersi lì, distesa supina, nello stesso punto in cui giace sua madre, sotto al coperchio. Stare lì, a guardare la luce, ad ascoltare la pioggia, per isolarsi dalle parole del prete, dalle musiche dell'organo, e dal brusio cavernoso delle preghiere. Vorrebbe che ci fossero solo loro due, e nessun altro.

«E quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte...»

Marzia riporta lo sguardo di fronte a sé. Danilo, nel suo completo scuro, se me sta in piedi a lato del presbiterio, dietro all'ambone. Di fronte a lui, c'è la Bibbia. Poco fa era accanto a lei, sulla panca. Non ricorda di averlo visto alzarsi.

«...io non temerei alcun male, perché tu sei con me.»

Di colpo, la sua testa inizia a girare. Ha sempre detestato queste cose, sempre, fin da ragazza. Quel senso di estraniamento che si prova di fronte a una menzogna, a cui pare che tutti debbano far finta di credere, e a cui nessuno si ribella, quasi come fosse stato deciso per contratto.

Si regge la fronte con le mani, si ritrova a fissare il pavimento chiaro.

E, per quanto fosse sempre stato alienante assistere al modo in cui le persone venivano prese all'amo nel loro momento di fragilità, per poi essere infarcite con quei "devi avere fede", "i tuoi cari vivono in Dio", adesso è diverso, perché adesso le pare di essere lei il pesce che si cerca di pescare, e questo è alla stregua di un affronto personale.

Alice, seduta alla sua sinistra, le appoggia una mano sulla spalla.

Marzia inizia a tossire.

«Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo, la mia coppa trabocca...»

Non solo puoi, ma devi.

«Marzia...» le sussurra Alice.

Ma l'attacco di tosse non dà segno di potersi acquietare; anche se ora, a differenza di altre volte, immagina che nessuno la stia guardando con fastidio.

«Beni e bontà mi accompagneranno tutti i giorni della mia vita...»

Alice rovista nella sua borsetta, sente le sue cose tintinnare insieme. Dopo breve, un fazzolettino di carta le compare davanti al viso.

«Grazie...»

«...e io abiterò nella casa del Signore, per lunghi giorni.»

La sua testa è ancora appoggiata all'avambraccio, le spalle incurvate sullo schienale della panca di fronte, e i suoi polmoni sono in fiamme, come se avesse davvero respirato le polveri dell'esplosione.

La panca scricchiola, s'imbarca verso sinistra, quando suo fratello riprende posto vicino a lei.

«Marzia...?»

Anche lui la chiama. Ma, a differenza di Alice, non osa toccarla.

Non si è mai pronti, Marzia. Mai.

Con movimenti secchi e cadenzati delle braccia, i due becchini raccolgono con le pale la terra umida dalla montagnola e la tirano nella fossa, incuranti della pioggia che batte senza sosta sulle loro schiene incurvate. La piccola folla ha già cominciato a diradarsi, e Marzia osserva gli ultimi highlander standosene in disparte, vicina al cancello che porta al piazzale.

Si avvicinano a Danilo, gli porgono gli ultimi saluti discreti da sotto gli ombrelli, e girano i tacchi; Sabrina, sua cognata, sorride e ringrazia per la presenza, mentre suo nipote Vittorio tiene le mani in tasca, con l'ultima fidanzata attaccata al braccio.

Alice se ne sta poco più in là, immobile e di spalle, ipnotizzata dal movimento delle zolle che ricadono nella buca e nascondono pian piano il legno della bara.

Le torna in mente l'ultima telefonata con sua madre, quella sera all'Oktoberfest.

Aveva detto di portargliela... Di fargliela conoscere.

E, anche se non è stato intenzionale, perché Alice si è solo offerta di accompagnarla, da buona amica, le pare quasi di averlo fatto.

Resiste al desiderio di accendersi una sigaretta.

«Eccola qui, mamma.» sussurra, metà del volto nascosto dall'ombrello. «Forse non serve che te lo dica, magari dal posto in cui sei ora hai raggiunto chissà quale comprensione superiore delle cose, ma comunque non è la mia compagna. Siamo due donne sole, tutto qui...»

Alice si volta all'indietro, cerca con gli occhi tra le croci e gli angeli di marmo, finché non la vede.

«Avevi ragione, l'altra sera. Siamo state distanti per tanti anni, e ci sono tante cose di me che non ti ho mai raccontato» continua tra sé e sé, con voce sottile. «Ad esempio il fatto che io, in realtà, ho avuto una relazione sola, intorno ai trenta, trentacinque anni... È successo all'epoca in cui lavoravo in quel bar, nell'area ristoro dell'aeroporto, te lo ricordi? Ed è stato lì che ho capito di non essere brava... ad amare.»

Intanto, i passi di Alice percorrono il ghiaino bagnato, e la distanza tra loro si riduce.

«So se sembra strano da dire, ma credo che sia così. Forse non tutte le persone sono fatte per affidare il loro cuore a qualcuno, quando quel qualcuno può... sparire. O, forse... forse è solo che ho disimparato come si fa, dopo... Dopo che...» 

E quando inspira dell'aria, le sue narici vibrano.

«Marzia.» Alice le fa un cenno del capo e si porta vicino a lei, a fianco del muro di mattoni.

«Alice.»

E, per molti minuti, non si dicono nient'altro. In silenzio, attendono insieme che anche il resto dei membri superstiti della famiglia si allontanino dalla fossa.

Vittorio è il primo ad andarsene, con la sua ragazza al seguito. Percorre a passo svelto la stradina, già con la chiave dell'auto in mano. La punta di fronte a sé come un piccolo pugnale. «Ciao, zia», le dice, con lo sguardo triste.

Di seguito, i suoi genitori.

«Marzia, voi... Voi venite da noi a cena?» le chiede Danilo, compassato, da una certa distanza. Sua moglie Sabrina tiene lo sguardo basso, fruga con la mano sinistra all'interno della Luis Vuitton.

«No, grazie, Danilo...»

«Vi... Vi prepariamo la camera degli ospiti.»

«Non c'è n'è bisogno, grazie. Alice deve tornare a Bologna, ora la riaccompagno alla stazione. E io... vorrei fermarmi a casa di mamma.»

«Ma come?» Suo fratello si blocca. Dall'espressione, è già infastidito. «Vuoi stare lì... da sola?»

«Sì. Scusa. Sarà per un'altra volta .»

Danilo alza gli occhi al cielo. «Dio mio, sei sempre così-»

Marzia sospira. «Sì, lo so» farfuglia. Senti, non mi va di litigare con te, oggi. Rimandiamo a... A un'altra occasione.»

Danilo scuote la testa. «Andiamo» borbotta alla moglie e, insieme, spariscono verso il parcheggio.

«Marzia... Guarda che, se vuoi, rimango.»

La montagnola di terra, intanto, è quasi stata tutta spalata.

«No, Alice. Non preoccuparti.»

«Non mi preoccupo. Devi decidere tu. Se vuoi che resti, resto... E se vuoi che vada... Vado. Non c'è niente, tra le cose che devo fare, che non possa essere rimandata.»

Marzia si volta a guardarla. È la forza dell'abitudine a suggerirle di rifiutare. Perché Alice, se lasciata a briglia sciolta, resterebbe sempre in modalità "sacrificio". Ed è necessario, anche per il suo bene, fare ogni volta un piccolo sforzo, per convincerla che il suo aiuto non serve.

«È che vorrei stare da sola, Alice.»

«Allora va bene.»

«Non prendertela, non è per te. Hai fatto anche troppo.»

«Figurati, lo capisco.»

«Se vuoi ci fermiamo a mangiare qualcosa nel tragitto, prima di arrivare alla stazione.»

«Uhm. Perché, tu hai fame?»

«No.»

«Allora no.» Alice chiude il suo ombrello, e si aggrappa al suo braccio. Danno le spalle ai due becchini. «Mangerò quando arrivo a Trebbo, c'è ancora la parmigiana nel forno.»

«Okay. Scusa, sai. È che... Non sarei nemmeno di compagnia...»

«Non ti è richiesto di esserlo, comunque.»

Gli sportelli della Twingo, a poca distanza, si sbloccano all'unisono con un clang, attutito dalla pioggia.

«Io tornerò a casa... lunedì mattina, credo. Sì... Sì. Partirò da qui la mattina presto. Il turno nuovo, c'è lo dovrei avere... alle due, se non erro.» Sospira. «Devo riguardare la tabella del Frittelli...»

«Va bene.»

«Quindi, ci rivediamo lunedì... A casa.»

«Okay.» Si dividono ai due lati del veicolo. Gli sportelli si aprono.

Il Sole stava già calando oltre l'orizzonte quando percorreva il tragitto verso Via Bruno Buozzi. Le nubi più distanti, nella direzione opposta rispetto a quella del mare, si sono colorate di una tenue sfumatura d'arancio, prima di ritornare grigie e scure. E ora Marzia spegne spegne gli anabbaglianti, a ridosso della ringhiera di casa, e l'unica luce a illuminare l'asfalto bagnato è quella del lampione sopra la sua testa. Sul sedile del passeggero c'è un sacchetto di plastica col logo della rosticceria, e l'abitacolo è tutto pervaso dal profumo del pollo al forno, con contorno di patate. 

Esce dall'auto aprendo l'ombrello, e il sacchetto è appeso all'avambraccio. Un tempo, mamma non chiudeva mai a chiave il cancelletto esterno. Non credeva avesse senso doversi portare dietro ogni volta una chiave in più, visto che tanto, in giardino, non c'è nulla da rubare. È stato Danilo a insistere; per questo ora il mazzo tintinna nella sua mano prima ancora di aver raggiunto il portone di casa.

Il lastricato si estende solo per qualche metro. Poi si ritrova al riparo della tettoia.

Ed entra in casa. Il silenzio è paragonabile solo a quello che trovavano al loro arrivo nelle estati prima del 1980, dopo che la casa era rimasta disabitata per undici mesi.

E c'è freddo, perché i termosifoni sono stati lasciati spenti per due notti di fila.

Poggia il sacchetto sul tavolo. Il profumo del pollo si mescola a quello del ragù, nel pentolino abbandonato sul fornello spento, nella cucina.

In effetti, avrebbe potuto evitare di comprare del cibo d'asporto. Mamma è morta all'improvviso, per un infarto. Danilo l'ha scoperto quando è passato da qui, dopo cena, perché lei non rispondeva al telefono. Non bisognava certo essere delle cime, per capire che nessuno aveva avuto il tempo di svuotare il frigo, la dispensa, il vassoio della frutta... e che ci doveva essere un sacco di ben di Dio, lì in casa, il cui destino si dispiegava in due uniche direzioni: quella del loro stomaco e quella del bidone dell'organico.

Tuttavia, s'era immaginata di passare lì la notte, senza lasciare alcun segno del suo passaggio. Non credeva avrebbe avuto il coraggio di alterare qualcosa, tipo la prova che sua madre, nell'ultimo giorno della sua vita, stava preparando il sugo di carne.

Si sbagliava.

Il busto del Duce finisce in uno scatolone dello sgabuzzino.

«Ora posso mangiare.» Un senso di sollievo le riempie il petto, alla vista della mensola vuota. «Sono certa che capiresti, mamma.»

Il pasto viene consumato in silenzio, con l'unica compagnia del sibilo della lampadina attaccata al soffitto e il rumore della pioggia. E così anche il lavaggio delle poche posate che ha dovuto tirar fuori dal primo cassetto.

Poi si mette a girovagare per la casa.

Gli ultimi istanti della sua vita, mamma era seduta sul divano con addosso una copertina di lana fatta all'uncinetto, verde e bianca. Danilo ha detto che si trovava lì, quando ha varcato la soglia di casa. Sul copridivano si intravede ancora la forma lasciata dal suo corpo, e la coperta è ancora lì, sul tappeto. 

L'ultimo canale guardato è stato RaiUno. Sul bracciolo c'è una Settimana Enigmistica le cui pagine sono tenute insieme dal fermaglio di una penna. 

È aperto su un cruciverba non finito.

Marzia legge tutte le domande. Mamma dev'essersi arenata su "una forma di noleggio a lungo termine", perché è l'unica a richiedere una risposta in lingua inglese.

Ad ogni modo, ci sono troppe domande, qui, che presuppongono un tipo di cultura generale inaccessibile a un'ultraottantenne. 

"Social network per condividere fotografie"? 

"Insieme delle componenti fisiche di un computer"?

"Libro in formato digitale"?

Non è giusto. Perché togliere il piacere dei cruciverba agli anziani?

E poi c'è il bloc-notes della lista della spesa. 

Mamma voleva compare il caffè istantaneo. E le uova. E lo sciantecler

E va avanti così, a curiosare in ogni angolo del salotto, e a ricostruire i suoi ultimi istanti, come se fosse un gioco, che consiste nel rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle, per riottenere sua madre.

Ma quando si trova di fronte alla sua camera da letto, il suo cuore è stretto in una morsa.

Perché ha rimandato finora, anche se, in definitiva, è venuta qui solo per questo.

Accende la luce.

Solo per questo.

Suo papà la osserva dalla foto incorniciata sulla testiera del letto. La coperta è color lilla, ha sopra un'elaborata fantasia floreale; e sul cassettone c'è il portagioie in legno, adagiato sul centrotavola quadrato di pizzo.

La pioggia, fuori, si fa più insistente. Marzia potrebbe anche iniziare col curiosare nei cassetti, o aprire proprio quel portagioie. Quali sono gli ultimi gioielli che ha indossato? Anche quella potrebbe essere una domanda.

Tuttavia, di fronte a lei c'è solo l'armadio.

L'armadio.

Un tuono sconquassa il cielo, da qualche parte, là fuori, e Marzia è davanti alla pediera, e ha attraversato metà della stanza.

L'armadio.

L'anta è chiusa con un giro di chiave; e le sue dita tremano quando lo gira.

E tiene gli occhi chiusi.

Il cigolio, l'odore di lavanda, di naftalina.

Quando li riapre, è lì. Avvolto in un telo di plastica trasparente.

È lì come aveva detto, il completo color acquamarina, in raso di cotone. Confezionato su misura da una sarta, nel lontano marzo del Novantuno.

Che non è mai più uscito dall'armadio.

L'orlo della gonna è l'unica parte del vestito che fuoriesce di pochi centimetri dal telo. Ed è a quello che la sua mano è aggrappata, quando Marzia si accascia sul pavimento, col petto scosso dal singhiozzi.

«Mamma» dice, come se potesse rispondere.

E le sembra di essere di nuovo lì, a camminare sulla spiaggia, coi capelli accarezzati dalla brezza del mare. In quel ritaglio dello spazio-tempo che, mentre lo attraversava, era simile al mondo di un incubo. Ma che adesso darebbe qualsiasi cosa pur di farlo tornare.

Io volevo vedere te. Non lui, te. 

«Mamma...»

Sapevo di poterlo fare...

«No...»

...e l'ho fatto.

Un lampo illumina via Bruno Buozzi. La luce bianca scintilla tra le fessure della persiano.

Poi, una folgore.

«No.» E stavolta scuote a testa. È un no secco: «No.» 

Perché le cose non quadrano

Così, con le lacrime agli occhi, si rialza in piedi; sfila il vestito dalla gruccia, lo appoggia alla fantasia floreale e lo piega alla bell'e meglio, ancora col telo sopra, per farlo entrare dentro a uno dei sacchetti che trova appallottolati sul fondo dell'armadio.

Da oggi, è suo.

Poi: spegne tutte le luci.

Cappotto, borsa, ombrello, mazzo di chiavi.

Getta un ultimo sguardo verso l'interno della casa.

Poi si chiude la porta alle spalle; e si butta nella tempesta.

Deve tornare . Subito.

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