10. Lo Spirito del Natale Passato
Il tempo della cena, del cambio di vestiario e del tragitto in macchina fino a Bargellino è stato come un unico blocco indistinto di nebbia, di cui è difficile discernere i contorni. Il chiacchiericcio di Alice ha accompagnato i movimenti di Marzia come un brusio di fondo, al pari dello sfrigolio delle fettine impanate nell'olio bollente, del borborigmo della lavastoviglie accesa e dello stridore delle ruote sull'asfalto di Via Persicetana.
Marzia scende dall'auto. Il gatto randagio è laggiù, sul bordo del piazzale, vicino alla porta a vetri della reception. Sta attaccato alla ciotola d'acqua sporca come se avesse appena attraversato il deserto e la sua bocca fosse sul punto di sbriciolarsi per l'arsura. Ma lo fa senza trarne alcun tipo di sollievo, come se sapesse che è tutto inutile, che la ciotola è solo un miraggio e, comunque, non potesse far altro che bere. La sete è un'aura scura e pesante, tutt'attorno a lui.
Poi si accorge dell'umana. Alza il musetto dal filo dell'acqua. «Ehi, Marzia.» Le gocce scorrono a rivoli tra i peli del mento, sfuggono dagli spazi vuoti dei denti mancanti. «Ben arrivata. Sei riuscita a riposare un po', alla fine?»
Lei resta rigida. Anche oggi c'era il pupetto nel turno pomeridiano. Può vederlo attraverso il vetro, a pochi passi oltre la porta, dietro il banco della reception. Se ne sta in piedi, col viso rivolto alla parete, impegnato in una conversazione telefonica. Non ha ancora fatto caso a lei. Marzia abbassa lo sguardo all'animale.
«Perché hai la stessa voce di Bennato?» Dritta al punto, senza rispondere alla domanda.
Il gatto piega la testa di lato. «Ehm. Come, scusa?»
«Bennato» ripete, stizzita. «Hai la sua stessa voce.»
Sacco di Pulci osserva a lungo l'umana, le doppie palpebre sbattono insieme più volte, poco sincronizzate tra loro. Tira fuori la lingua, ne fa scorrere la punta sulla base del naso triangolare. «Uhm. Non credo di conoscerlo. Chi è, un tuo amico?»
«Ma mi prendi per il cu-?!» Marzia serra le labbra. Ha parlato a un volume troppo alto. Butta, di nuovo, circospetta un occhio oltre l'ingresso: Claudio si sta accarezzando i capelli alla base della nuca; poi, di colpo, prende a gesticolare, sempre girato di spalle, lo sguardo proiettato al calendario appeso al muro. «Edoardo Bennato,» scandisce piano, «il cantautore italiano. È famoso dagli anni Settanta.»
«Ah.» Aiakòs si muove a rilento, con incertezza, piega prima l'una e poi l'altra delle zampe posteriori, gli ci vuole un'infinità per mettersi seduto. «E ti aspetti che io conosca i cantautori italiani, quindi?»
Marzia stringe tra le dita la cinghia della borsa frigo.
«Ti ricordo che sono un gatto.»
«Certo,» gli sibila, con un misto di sarcasmo e rancore, «quindi è solo una coincidenza, questa. E io sono pazza. Giusto?»
«Be', pazza non saprei... Ma, certo, non è colpa mia se tu associ la mia voce a qualcuno che conosci. Io parlo come parlo, non è che possa farci qualcosa...»
Marzia scuote la testa. «Va be', lasciamo stare.»
Il suo collega ha appena chiuso la telefonata e indugia ancora con gli occhi sullo schermo luminoso. Quando Marzia si fa avanti per spingere la porta verso l'interno della saletta, lui si gira di scatto.
«Oh! Buonasera, signora Ciano! Ho saputo che è stata un giorno in malattia. Adesso sta meglio?» Il tono del ragazzo è distratto, di circostanza, pare quasi non aspettarsi nemmeno che gli risponda. Si ficca il cellulare in tasca, fa scorrere la sedia per incastrare la seduta sotto alla scrivania e si sposta qualche passo all'indietro, senza guardare Marzia negli occhi. «Ah... Stasera c'è poco movimento, abbiamo solo una stanza occupata.»
Lei solleva le sopracciglia, per nulla colpita da quell'informazione.
«Sai che novità.»
«Già.» Un sorriso a metà faccia, l'angolo della bocca sormontato da una fossetta. Ancora fa volteggiare lo sguardo attorno, senza posarsi su di lei. «Il grosso dei problemi inizierà da domani...» E sfila il suo cappotto dall'appendiabiti da muro.
«Perché? Che cosa dovrebbe succedere, domani?»
Solo ora Claudio si gira a guardarla negli occhi.
«C'è l'Oktoberfest in città.»
«Ah.»
«Abbiamo già molte prenotazioni.»
«Capisco.»
«Be', la lascio lavorare.» Getta un'ultima occhiata al banco, passa in rassegna uno a uno gli oggetti appoggiati sul ripiano, a controllare di non aver lasciato niente di suo, per poi sgusciare oltre. «Li ho... sistemati nella camera 14» sussurra, ora che sono a un passo di distanza. «Magari, ogni tanto, sa? Si affacci. Così, per dare una controllatina.»
«Uhm...»
Certo. Claudio deve aver preso nota mentale di qualche dettaglio allarmante, al momento della registrazione degli unici ospiti di questa sera. Il sottotesto del discorso è chiaro: "Presta attenzione perché è il tipo d'utenza che rischia di far danni". Chissà di cosa si tratta nello specifico... Gente losca, su di giri, ubriaca da non reggersi in piedi? Insolita quantità di individui adulti raggruppati tutti insieme in un'unica stanza? O magari si tratta del classico professor Humbert con una Dolores appresso? Marzia potrebbe indagare, porre qualche domanda discreta in modo da farsi un'immagine più precisa di cosa preoccupi il figlio del capo. Ma la verità è che l'idea di ficcanasare nell'umanità che passa di consueto dal Purgatory Motel è quasi più tediosa della prospettiva di ripulire le chiazze di vomito la mattina successiva. Anche perché quello non è compito suo.
«Va bene, li terrò d'occhio.» Marzia liquida il discorso con un'alzata di spalle.
Claudio le fa un cenno d'assenso. «Bene. Io vado. Buon lavoro.» E si dirige verso la porta.
Marzia resta per un po' al centro della saletta, anche adesso le pare di essere al inglobata dallo stesso blocco di nebbia che si trascina dietro da quando è uscita di casa. La sagoma del suo collega si rimpicciolisce e confonde nell'oscurità del parcheggio, finché, una dozzina di metri più in là, l'abitacolo della sua Dacia Sandero non si illumina a seguito dell'apertura della portiera. Lo vede sedersi sul sedile del guidatore, faccia rivolta al motel, e allacciare la cinture di sicurezza. Poi, è il turno dei fanali anteriori. I due coni di luce bianca rischiarano lo spiazzo d'asfalto, se spostano per seguire la manovra. Quando Marzia si decide a dare le spalle all'esterno per appoggiare le borse sul banco, c'è l'indicatore di direzione che lampeggia nei pressi dell'insegna al neon, e avvisa dell'imminente immissione nella strada provinciale.
Marzia si sfila il cappotto. Si sente già nelle ossa ciò che sta per accadere.
Non passano neanche trenta secondi.
Blackout.
Gli occhi sgranati nel buio, Marzia nemmeno respira.
È possibile che il sistema nervoso registri un'unica esperienza a una profondità tale dell'inconscio da condizionare sin da subito le risposte automatiche dell'organismo a tutte le esperienze simile che ne seguiranno?
Marzia conta i secondi.
«Uno, due, tre, quattro, cinque...»
Le lampade si riaccendono sopra la sua testa.
Poi, l'altoparlante da muro... inizia a...
Tac-tac-tac-tac-tac-tac-tac...
A ticchettare.
Eee... benvenuto a chi si è appena collegato alla nostra stazione. Il prossimo brano, direttamente dal primo posto nella classifica dei dischi più venduti in Italia in questa torrida estate...
«Torrida... estate?»
...è "Rockcoccodrillo", del nostro Edoardo Bennato, dall'album "Sono solo canzonette".
«C-cosa...?»
Buon sabato 2 agosto...
«N-no...»
...e buon ascolto.
Non lo sentite?
Che strano ticchettio.
È il primo allarme,
poi, dopo, arrivo io.
«Scusi, è permesso?»
Una voce femminile alle sue spalle.
Non voglio alcun vantaggio,
ma non è per coraggio...
Un'adolescente, bionda, coi capelli a caschetto, è affacciata allo spiraglio della porta.
È perché sono
«L... Leda...?»
il più cattivo, e mi diverte
il fatto d'inseguirvi...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro