1. Cambio di turno
A Bargellino, in Via Persicetana, l'insegna al neon troneggia – spenta, perché è giorno – a lato della strada, ben visibile dai veicoli in arrivo dalla zona dell'aeroporto; e quando la Renault Twingo di Marzia svolta a destra e se la lascia alle spalle per entrare nel piazzale, ci sono solo un paio di automobili in coda di fronte alla pompa del gasolio, a una ventina di metri alla sua sinistra. Il benzinaio è in piedi sotto la pensilina, accanto a una Dacia Duster, intento a porgere il POS al conducente attraverso lo spiraglio lasciato aperto dal finestrino.
Marzia fa una larga curva di fronte all'edificio a due piani del motel, e parcheggia in uno dei posti macchina riservati ai dipendenti. A parte Diego, che si aggira attorno all'autolavaggio chiuso con lo smartphone sollevato a mezz'aria, non c'è nessun altro nei dintorni. Anche lui, come Marzia, indossa la camicia a righe verticali gialle e bianche, destinata ai membri del personale.
«Ehi.» Con cupo cipiglio, Marzia si affaccia dalla portiera. «Che cosa ci fai, qui fuori?»
Ma il ragazzo è troppo concentrato sullo schermo per prestarle attenzione.
«Dai, su...» Il suo borbottio, non diretto a lei, le giunge flebile, disturbato dal boato dell'aereo che decolla sullo sfondo, a circa quattro chilometri di distanza. «So che sei qui, Metapod...»
Marzia alza gli occhi al cielo. Aveva trovato assurda sin dal principio l'idea di Giuliana di dargli il permesso di mollare il liceo per venire lì a svolgere non si sa bene quale funzione. Ma, certo, non crede che il mondo accademico abbia perso chissà quale cervello, con il suo abbandono degli studi.
S'ingobbisce, afferra la borsa a tracolla poggiata sul sedile del passeggero e richiude la portiera. Quando si risolleva per ammirare lo squallido scenario che le si para di fronte, Giuliana, nel terrazzino comune del primo piano, sta uscendo dalla camera n°13 con le braccia cariche di asciugamani da lavare. Una volta fuori, butta tutto nel sacco nero appeso al grosso carrello delle pulizie.
Marzia tira all'indietro la manica del giacchetto e controlla l'orologio da polso. Sono le 10:55.
«Ehilà, Billy.» Accompagnata dal cigolio delle giunture della porta a vetri, Marzia si affaccia oltre la soglia. Una musichetta da ambiente, a volume bassissimo, è diffusa dall'altoparlante da parete.
Il collega alza la testa dalla rivista che tiene aperta sul banco. La fulmina con lo sguardo.
«Bilal» sibila a denti stretti.
Lei lo ignora. Molla la presa dalla porta, si avvicina alla sua postazione di lavoro e sbatacchia la sua borsa accanto allo schermo del computer fisso. Solleva il naso per aria, alla ricerca dell'orologio analogico appeso al muro. Così, giusto per avere ulteriore conferma dell'orario.
«Dunque. Sono in anticipo di quattro minuti e... trenta secondi. Quindi, se permetti, ora vado a fumarmi una sigaretta.» E si volta senza attendere replica.
«Guarda che io non devo staccare.»
Marzia era già col piede mezzo fuori dalla porta, la Gauloise estratta per metà dal pacchetto morbido e azzurro. Si gira di scatto, lo scruta guardinga, col fiato sospeso. Non pone alcuna domanda: attende spiegazioni spontanee.
«Devo stare qui fino alle due» le fa il collega, in tutta calma.
«Cazzo dici, Billy?»
Lui serra le labbra. «Non... Non mi chiamo Billy.»
Marzia ritira il piede verso l'interno e la porta a vetri si richiude da sé, con il solito cigolio e uno schianto metallico. «Oggi è sabato. E il sabato io ho sempre il turno dalle undici alle diciannove.»
Bilal, oppresso dall'arredamento dozzinale della reception, emette un lungo sospiro. Negli ultimi sei mesi è di un umore più tetro del solito. Non che prima fosse l'anima della festa, qui al Purgatory Motel. Ma Giuliana giura di averlo visto sorridere, un paio di volte, prima della causa per il divorzio. Ora le sue profonde occhiaie cozzano in modo grottesco con le righe allegre della divisa. Ha anche perso un sacco di capelli.
«Non più. Te l'ho detto, oggi io sono qui fino alle quattordici. Dopodiché, c'è Veronica fino alle ventidue.»
«E io, allora, quando sarei?!» Marzia si ricaccia con foga il pacchetto di sigarette in tasca e incrocia le braccia sul petto.
«Ah, non lo so.» L'uomo inarca le sopracciglia spesse, si appoggia allo schienale della sedia girevole e inizia a giocherellare con l'angolo di una pagina della rivista, con affettata noncuranza. Non la guarda in faccia, ma è comunque palese che si stia divertendo nel vederla in difficoltà. «Devi chiederlo al Frittelli. Mica a me.»
«Ah, sì? E dov'è, il Frittelli? Dov'è, quell'imb-»
«Oh, Marzia! Eccoti qua!» Come se fosse stato evocato, il Frittelli – un uomo piccolo, dai capelli rossi e il sorriso fanciullesco – fa il suo ingresso nella saletta dal corridoio di sinistra. Si ferma di fronte alla dipendente, la guarda dal basso verso l'alto e batte le mani insieme. «Ti vedo... bene! Hai...»
E si distrae, perché, proprio in quell'istante, Diego spalanca la porta della reception con l'aria di avere qualcosa d'importante da dire. Tutti si ammutoliscono, e si voltano verso di lui. Il ragazzo, dapprima, sbatte le palpebre, confuso; poi corruga la fronte, sconcertato, e li guarda come se fossero scemi. Strascica il passo verso il distributore automatico di bevande fresche che sta nella saletta accanto, là dove infila una moneta, senza pronunciare una parola.
Il Frittelli torna sulla dipendente.
«Hai... cambiato tinta?»
«Martino.» Marzia si umetta le labbra. «Cos'è questa storia? Perché Billy non si schioda da lì?»
«Astaghfirullah, non mi chiamo Billy.»
«Oggi è sabato, giusto?» insiste lei. «E sono le undici. Sabato alle undici inizia il mio turno.»
«Sì, ecco... No.»
«No?!»
«I-il fatto è che... siccome la persona che avrebbe dovuto subentrare alla signora Davoli, stamattina ha dato forfait... ho avuto... l-la necessità... di attuare una piccola riorganizzazione dei turni...»
«Stai scherzando?»
«M-ma è solo una situazione temporanea!» Il direttore apre i palmi di fronte a lei, quasi temesse di essere aggredito. «Due-tre settimane al massimo, per avere il tempo di fare dei colloqui e scegliere una persona nuova... Ho-ho già messo l'annuncio su LinkedIn...»
«Perché non ci metti quel fancazzista laggiù, al posto della Davoli? Tanto è inutile come tuttofare.» E indica alle spalle del Frittelli.
Lì, Diego, stravaccato a uno dei divanetti in pelle, sta tutto chino di lato, e cerca di succhiare la Coca-Cola dalla lattina appoggiata sul bracciolo, senza sollevarla con le mani. Non pare essersi reso conto che stanno parlando di lui.
«Ehi! Non parlare così di mio figlio!» Una voce attutita dal vetro. Marzia si volta all'indietro e guarda attraverso la porta. Non si sa come, Giuliana stava passando proprio da lì, in quel momento, ed è riuscita a sentirla. Solleva una mano guantata dal carrello e gliela punta contro. «Ti avverto.»
Marzia scuote la testa. Ma cos'è, un raduno del personale?
«Altrimenti cosa fai, Giuliana?» scandisce, in modo da farsi sentire bene. «Non mi passi lo sgrassatore sulla sedia? Non mi svuoti il cestino della carta?»
«Signore, vi prego...» Il capo, in difficoltà, sembra stare per avere un collasso, le gote in fiamme, la fronte umida.
Giuliana bofonchia qualcosa tra sé e sé, e riprende a spingere il carrello, uscendo dalla loro visuale.
«Marzia, tu sei stata assegnata a questo turno... Aspetta, dovrei avere tutto qui...» E si prende a rovistare nell'interno della giacca, ne estrae un foglio spiegazzato: è una tabella Excel, fresca di fotocopiatrice. «Ecco qua! Vedi? Dal lunedì al venerdì, dalle ventidue alle sei. Giorni liberi: sabato e domenica.»
Colma di diffidenza, lei afferra il foglio tra le dita, le sopracciglia aggrottate. Dalla tasca della divisa tira fuori un paio di occhiali dalla montatura dorata, se li pone sul naso... e riflette.
«Il turno di notte.»
«Esatto.» Il suo capo fa sì con la testa, sollevato come se avesse disinnescato una bomba.
«Uhm.»
A ben pensarci, il turno di notte non è male come sembra. Certo, costringe a un ritmo sonno-veglia alienante, ti porta a ridurre le interazioni col resto dell'umanità, e ad avere a che fare con ben pochi clienti. Ma, d'altro canto...
D'altro canto costringe a un ritmo sonno-veglia alienante, ti porta a ridurre le interazioni col resto dell'umanità, e ad avere a che fare con ben pochi clienti.
Di colpo, l'idea di quel cambio di turno e la prospettiva della quiete notturna la fa sentire più serena. Ruota piano il viso verso il Frittelli, con espressione distesa.
«E non potevi dirmelo prima che venissi fin qui?» gli gracchia. Perché comunque deve lamentarsi di qualcosa.
«Prego?»
«Hai presente i cellulari? Quei cosi che squillano, su cui tu tieni una fattoria e coltivi campi di granoturco per metterti da parte il capitale che serve a comprare una mucca? Non potevi usarlo per telefonarmi prima che mi mettessi questa stupida divisa e venissi fin qui?»
«Ma guarda che io ho telefonato!»
«No.»
«Sì! Forse hai un guasto al telefono, Marzia, non saprei... ma ti posso assicurare che è dalle sette di stamattina che provo a contattarti...»
E, a quelle parole, Marzia stringe le labbra in aria di sfida e fa due passi di lato per raggiungere il bancone. Tenendo gli occhi stretti a fessura fissi sul Frittelli, infila la mano libera all'interno della sua borsa, afferra il telefono, lo solleva di qualche centimetro e preme il tasto laterale. Getta una rapida occhiata allo schermo.
Modalità aereo.
«D'accordo.» In fretta e furia, piega la fotocopia in tanti piccoli quadratini e si rimette la borsa a tracolla. Evita di incrociare lo sguardo del suo capo mentre si avvia verso l'uscita.
«Ti serve sapere altro?»
«No.»
«Bene, allora... ci vediamo lunedì alle ventidue!»
«Sì, sì.»
A capo chino, Marzia esce dalla saletta e, attraversato il piazzale in diagonale, si ritrova dentro la sua Twingo, col finestrino abbassato e una Gauloise accesa.
Bene. E dunque?
Dunque, visto che non dovrà tornare qui per altri due giorni, forse questa è la sua occasione di seguire l'esempio di Alice: andare a trovare i vecchi.
Estrae di nuovo il cellulare dalla borsa, cerca il numero di casa di sua madre.
Anche perché sono tre mesi che non si fa vedere.
E così, mentre ascolta il segnale di libero, Marzia si ritrova a osservare il riflesso dell'insegna del Purgatory Motel attraverso lo specchietto retrovisore. Un breve flashback risalente al 2012: la scena di lei che spedisce il suo curriculum al Paradise Hotel, nella speranza di venire assunta in un luogo che abbia almeno tre stelle su cinque nelle recensioni di TripAdvisor, le passa davanti agli occhi.
«Pronto?» La voce che risponde all'altro capo del telefono non è quella di sua madre. Marzia ci mette qualche secondo a riconoscerla.
«Danilo?» gli fa, interdetta. «Sei a casa con mamma?»
Suo fratello sbuffa. «Sì. Che cosa vuoi?» Il suo tono è quasi più burbero di quello della sorella.
«Be', passamela, no? Che aspetti? Ho chiamato lei, mica te.»
«Puoi dire anche a me, così le riferisco.»
«Danilo, non sei il suo fottuto centralinista. Passamela.»
L'uomo impreca a bassa voce, allontanando la faccia dalla cornetta. Un "Mamma!" riecheggia nel piccolo corridoio; e Marzia lo può vedere, anche se non è lì, di fronte al mobiletto del fisso, in piedi nella penombra, coi suoi occhi incavati e la testa liscia come la superficie di un uovo. "C'è Marzia al telefono!".
Segue un borbottio incomprensibile. E poi, la voce di una vecchina, forte e chiara.
«Pronto, Marzia...? Che succede?»
«Ciao, ma'. Oggi mi è stato cancellato il turno, rientro a lavoro lunedì sera. Pensavo di approfittarne per fare un salto a Rimini... e venirti a trovare. Per te andrebbe bene?»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro