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Capitolo cinque.

Come ogni mattina spensi la sveglia che suonava insistentemente.
Sbuffai, era decisamente una giornata no.

Fuori c'era il temporale e a me il brutto tempo non piaceva per niente, mi metteva tristezza.

Sembrava che il cielo stesse piangendo e urlando tutto il suo dolore attraverso i tuoni.
Uno strazio.

Presi tutta la mia buona volontà e mi recai al bagno per fare una doccia, di sicuro l'acqua che usciva da li era migliore di quella che stava bagnando le strade.

Mi rilassai sotto quel getto caldo e delicato, insaponai i miei capelli e li lavai delicatamente beandomi del profumo alla mandorla del mio shampoo.

Dopo una buona mezz'ora mi decisi finalmente ad uscire, avvolsi i miei capelli in un asciugamano e misi un accappatoio.

Quel giorno, dopo scuola, sarei andata a trovare la signora dell'annuncio e questo mi rendeva piuttosto nervosa.

Chissà come avrebbe reagito scoprendo che il suo nipotino, credo, era diventato pazzo.

Forse ero più preoccupata per lei che per altro, ma in quel momento era la cosa più logica da fare.

Mi vestii molto semplicemente con un paio di jeans e una felpa, raccolsi i capelli con una spilla, senza asciugarli e corsi a svegliare Stefano.

"Stefaninooooo, buongiorno!" urlai, lui mi maledì come ogni mattina.

"Vado a preparare la colazione, ti aspetto giù dormiglione" gli lasciai un bacio sulla guancia e mi girai per andarmene, ma lui mi blocco tenendomi il polso e costringendomi a guardarlo.

Mi stava fissando negli occhi e non capivo cosa volesse.

"Tutto bene?" domandai confusa.

"Avvicinati"

Mi sedetti sul letto come aveva detto lui, prese il mio viso fra le mani e si avvicinò al mio orecchio.

"Mi prepari i pancake vero?" sussurrò cercando di sembrare sexy.

"Si coglione!" risi allontanandolo, poi, senza interruzioni questa volta, andai a cucinare.

Per me preparai semplicemente un thè caldo, era Stefano il mangione qui, ma gli volevo bene anche per questo.

Dopo colazione ci recammo insieme a scuola, usando la sua macchina visto che aspettare l'autobus sotto la pioggia non era proprio la migliore delle idee.

Le giornate a scuola solitamente sono noiose, con la pioggia era ancora peggio.
Penso di essermi addormentata sul banco almeno 4 volte, senza essere sgamata per fortuna.

"Il mese prossimo vorremo programmare un'uscita in Francia, in modo che possiate preparare meglio i vostri discorsi in lingua per la maturità" la professoressa di francese, materia che adoravo, mi risvegliò da uno dei miei pisolini.

"Spero che parteciperete tutti, vi farò avere le autorizzazioni il prima possibile" continuò e dopo un sonoro tuono suonò la campanella che segnava il termine delle lezioni.

Raccolsi le mie cose e mi recai all'uscita con Stefano, Sascha e Sabrina.

"Andiamo al sushi?" propose Sascha, tutti furono d'accordo.

"Uhm, si, però io dovrei andare in un posto più tardi quindi non dilunghiamoci troppo" dissi io, Sabrina aveva già capito tutto e mi sorrise.

"Ti accompagno io dopo, facciamo presto dai" mi rassicurò Stefano e così ci ritrovammo sommersi da pesce crudo.

Stefano faceva schifo da quanto stava mangiando e Sascha cercava di stare al passo con lui.

Io e Sabrina invece eravamo due persone normali.

"Ho chiamato la signora che ha fatto l'annuncio, devo andare da lei, ma se Stefano non si sbriga" informai Sabri.

"Lasciamoli qui dai, andiamo io e te" mi propose, effettivamente non era una cattiva idea.

"Ragazzi, vi dispiace se mentre voi continuate la vostra gara noi andiamo dalla signora con cui devo parlare?" i due annuirono con la bocca piena, così io e la mia amica ci recammo verso il luogo.

Durante il tragitto continuavo a farmi discorsi nella mente per capire come avrei potuto darle quella notizia in modo poco traumatico, ma dopotutto lo cercavano da 10 anni, anche solo sapere che non è morto dovrebbe essere una cosa fantastica no?

La signora abitava poco lontana da casa mia, in realtà, quindi non impiegammo molto.

“Sabrina, preferirei andare da sola, se non ti dispiace” dissi alla mia amica.

“Certo, ti aspetto qui dai” sorrise lei rassicurandomi.

Scesi dall'auto e suonai il campanello, aspettai un paio di minuti per poi sentire la serratura aprirsi e successivamente anche la porta.

La signora era veramente anziana, aveva i capelli completamente bianchi e una leggera gobba sulla schiena.

“Buongiorno, sono Francesca, la ragazza che ha chiamato ieri”

Le porsi la mano, lei la strinse con tutte e due.

“Oh cara, vieni entra entra” si spostò facendomi entrare.

“Siediti dove vuoi, ti preparo un thè?” non avrei voluto affaticarla, ma l'idea del thè non mi dispiaceva.

“Volentieri, grazie” le sorrisi e lei mise l'acqua a bollire, poi si sedette accanto a me mentre aspettavamo.

“Immagino che lei voglia sapere di...Salvatore?” iniziai lei annuì.

“Allora, io e i miei amici siamo appassionati di luoghi abbandonati, un giorno abbiamo visitato un manicomio qui in zona e, per farla breve, l'abbiamo trovato li” spiegai.

“L'hanno cercato tante volte li, nessuno l'ha mai trovato..” disse mentre metteva l'infuso per il thè nell'acqua.

Sembrava quasi non crederci.

“È molto bravo a nascondersi, sono tornata la altre due volte, la prima è stato tranquillamente insieme a me, la seconda era come sparito, ma sono sicura che fosse li dentro” mi porse la tazza fumante, stavo dimenticando di dirle la cosa più importante.

“A lui piaceva tanto il thè sai? Da quando sua mamma è morta ha vissuto con me, e lo voleva ogni sera” la sua mente stava vagando fra i ricordi, e a me non dispiaceva, volevo saperne di più.

“Ma lei sa che Salvatore è... Come dire...pazzo?” finalmente dissi il pezzo grosso della questione.

“È peggiorato?” Mi guardò preoccupata, come peggiorato?

“Devi sapere che quel manicomio era mio e di mio marito, ma noi lo gestivamo bene, per noi e per i pazienti era un luogo per guarire, non per farsi del male, ma ad un certo punto siamo diventati troppo vecchi, abbiamo dato il comando di tutto a dei nostri amici, mia figlia faceva l'infermiera li e Salvatore spesso andava con lei.
Un giorno però, Maria, mia figlia, andò a lavoro senza camice, Salvatore era in giro, vedendolo così hanno pensato di fare quello che facevano a tutti gli altri pazienti, iniezioni, elettroschock.
Presero il bambino, Maria sentendolo gridare corse a difenderlo, ma loro pensandola una pazza gli iniettarono qualcosa per calmarla, non so cosa fosse, ma lei finì in coma, non si è mai svegliata.
Salvatore ha subito varie dosi di elettroshock, per un bambino era impossibile uscirne...normali.
Ha perso la memoria, della sua infanzia ricorda solo la morte di sua madre.
Dopo l'accaduto abbiamo fatto chiudere il manicomio, ma ormai era troppo tardi”

Mentre raccontava avevo i brividi, come si può fare una cosa del genere ad un bambino?

“Come l'avete perso?” domandai.

“È scappato qualche giorno dopo questo accaduto, in piena notte, pensavo che ormai fosse morto” sospirò, c'era ancora qualcosa che la preoccupava.

“Io sono troppo anziana per occuparmi di un ragazzo come lui, non c'è nessun altro membro della sua famiglia al mondo ma..” continuai la frase al posto suo.

“Non possiamo lasciarlo la dentro, è quello che dico da quando lo conosco”

Mi guardava speranzosa.

“Mi prenderò io cura di lui, e lo porterò qui in modo che possa vederlo” lei sorrise, sembrava davvero felice.

“Oh Francesca, devi essere un angelo, il suo angelo”

Sorrisi a mia volta, era una bella definizione.

Adesso era il momento di andare a prendere Salvatore, o perlomeno di provarci.

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