II
Ormai il buio ha avvolto completamente l'Arizona.
Dalla finestra riuscivo a vedere le strade.
Poco mi separava dalla libertá,che avrei conquistato da lì a poco.
Le infermiere avevano fatto l'ultimo controllo da pochi minuti,quando decisi che quello era il momento giusto per tentare.
La maglietta bianca era ancora sporca di sangue, ma non mi importava, l'unico pensiero al momento è tornare libera.
Il corridoio è illuminato da una luce fioca...debole.
Scendo le scale lentamente, il rumore delle mie converse si sente a mala pena.
Mi avvicino all'entrata e spalancai la porta inspirando il primo assaggio di libertá.
Iniziai a correre più lontano possibile dalla mia prigione.
Mi fermai.Alzai lo sguardo verso il cielo ammirando le stelle,allungai la mano come per afferrarle.
Abbassai lo sguardo sulla strada.
Le strade perfettamente asfaltate di Phoenix mi facevano impazzire.
Inizio a battere i piedi sul marciapiede.Come per fargli del male, vendicarmi.
Vendicarmi del fatto che loro fosseri così perfette in confronto alla mia...imperfezione.
Continuai a battere i piedi e a gridare.Caddi sulle ginocchia e continuai a tirare pugni sull'asfalto ignorando il leggiero bruciore sui lati delle mie mani.
Dei fari si illuminarono dietro di me.
Mi alzai in piedi.
-Ehy,Tu!-.
La voce era profonda e roca.
Mi volta i lentamente e mi coprii in fretta gli occhi con un braccio a causa della luce troppo forte.
Il raggazzio si avvicinò a me.
Io feci un passo in dietro.
-Tranquilla...Non ti faccio niente...- disse avanzando con un braccio teso verso di me.
Continuo ad indietreggiare facendo destra e sinistra con la testa.
Riesco a notare il naso all'insù del'ragazzo e i suoi capelli neri,nient'altro.
Sto ancora correndo per allontanarmi il più possibile da lui.
Il vento scompiglia i miei lunghi capelli corvini, mentre l'adrenalina scorre nelle vene.
Non riesco a pensare lucidamente.La vista mi si è annebbiata.E la testa gira.
Mi fermo in un parcheggio e mi siedo sul marciapiede.
Gli occhi iniziano a muoversi irregolarmente.Le palpebre si aprono e chiudono ad intervalli più brevi del normale.
La testa fa degli scatti e le braccia si irrigidiscono.
Faccio dei respiri profondi sperando di ristabilizzarmi.
Non ho preso gli ultimi psicofarmaci. E non ci vorrá molto prima che succeda dell'altro.
Potrei andare da mia zia,ma chiamerebbe mia madre.
Potrei chiedere a qualche ex compagna di classe di ospitarmi.
Ma ormai sanno tutti chi sono e come sono.
Chiudo gli occhi per tranquillizzarmi ed impedire al mio cervello di elaborare qualsiasi sorta di pensiero malsano.
-La ragazza non era in grado di intendere e di volere,pertanto sconterá la sua pena nel Wawerly Hills Sanatorium d'Arizona.- gli agenti erano alle mie spalle aspettandosi mosse improvvise.
Io invece sto ferma.Non per paura, semplicemente perchè incapace di provare emozioni.
-È una caratteristica della schizofrenia.Una psicosi caratterizzata dalla presenza di sintomi di alterazione del pensiero,del comportamento e soprattutto dell'affettivitá.- dicevano i dottori accanto al giudice.Una mia caratteristica era quella di...Non saper amare.
Sentii dei passi difronte a me.
Aprii gli occhi di scatto tenendoli puntati sulla figura che mi sta dinanzi
Ancora lui.
Mi alzai in piedi e andai gli andai incontro. Fisso i suoi occhi profondi e inclino leggermente la testa di lato come se volessi studiarlo.
Il mio braccio si muove da solo e non faccio in tempo a fermarlo che il mio indice si posa sulla guancia del ragazzo.
Scoppia in una risata che mi fa ribollire il sangue nelle vene.
Odio vedere gli altri ridere.
Odio vedere gli altri felici.
-Sei davvero strana!- dice sorridendo.
Rimango immobile.
Ritiro il braccio lasciandolo ricadere lungo i miei fianchi ossuti.
-Cosa ci fai qui di notte?- chiese infine.
Sono scappata da un'ospedale psichiatrico.
Risposi mentalmente.
Ma non ne ne accorsi finchè lui non parlò -Vedo che sei di poche parole..- disse mettendosi le mani nelle tasche degli skinny neri.
-Ti sei persa?-chiese.
Scossi la testa.
-Ehm...allora non hai una casa?- chiese.
Annuii posando lo sguardo sui suoi occhi.
-Se ti va a casa ho un divano abbastanza comodo ,ecco...Non sono uno stupratore,solo se ti va ...ecco.- disse grattandosi la nuca.
Lo guardo passiva e alla fine dopo aver annuito lo seguii verso la sua auto.
Lungo il tragitto non parlò.
Forse avrá capito che non avevo intenzione di rispondere ad alcuna domanda mi avesse sottoposto.
-Eccoci!- dice uscendo dall'auto.
I tic tornano e le mie gambe si irrigidiscono di nuovo.
Sembra accorgersene.
-Ehy!Ti senti male?!- chiede avvicinandosi pericolosamente a me.
La sua mano sta per entrare in contatto con la mia spalla.
-Prima regola.Non toccarmi,mai.- affermo fissandolo intensamente.
Ritrae la mano come se l'aria che mi circonda scottasse e abbassò lo sguardo come se fosse faticoso sostenere il mio.
Si gira e cammina verso la porta d'ingresso della casa.
Quando aprii la porta,entrai per prima.Il salotto era davvero accogliente.
Tanta perfezione mi fa venir voglia di spaccare tutto.
-Allora se ti va puoi dormire sul divano...- disse dondolandosi sui talloni.
Non avevo intenzione di dormire li.Lo guardai fredda e salii le scale.-Oh!Ho capito...dormirò io qui.-.
Cercai la stanza del tizio e quando la trovai, rimasi a guardare sulla soglia della porta i muri bianchi, troppo bianchi.
Bianchi da dar fastidio.
Contrastavano con le lenzuola del letto nere.
Mi sedetti sul letto e iniziai a disfare le lenzuola anch'esse troppo perfette.
Tutto qui è perfetto,mi verrebbe da dare fuoco a tutta la casa.
Vederela bruciare mi renderebbe completa.
Mi misi a cercare un pennarello.
Quei muri iniziavano a dare davvero fastidio.
Frugai nella cassettiera e finalmente trovai un pennarello nero e uno rosso.
Il braccio si muoveva da solo,da solo per davvero.
Chiusi gli occhi e lasciai che la mia mano guidasse il pennarello sul muro.
Gli aprii.Avevo disegnato una casetta in mezzo a quelle che dovevano essere fiamme.
Continuai a disegnare.
Un cimitero, persone ippiccate e la parola veleno ormai ricoprì buona parte della parete di fronte a me.
Ricordo ancora mia madre quando vide il mio primo disegno fatto alle elementari.
Una bambina taciturna.
Solitaria.Durante la ricreazione se ne stava da sola.
Giocherellava nella sabbia con un bastoncino. Ogni tanto si spolverava il vestitino rosa in pizzo,e si puliva le scarpette.
Portava delle codine.I suoi capelli corvini stonavano in mezzo alle acconciature bionde delle bambine che la circondavano.
Era unica in quello che faceva.
Era diversa.
Molti si chiedevano che cos'avesse mai da disegnare ,ma nessuno ebbe mai il coraggio di avvicinarsi.
Avevano paura di lei.
Paura di un'innocua bambina di sei anni.
Non sorrideva.Non lasciava trapelare emozioni,e questo intimorita chi la circondava.
Un giorno però la madre trovò sotto il lettino della piccola una scatola dipinta di nero.
Rimase a fissare la scatola prima di trovare il coraggio di aprirla.
Rimase a fissare il suo contenuto.
Una Barbie e un foglio di carta ripiegato.
La Barbie era vestita di nero e aveva disegnati sul volto di plastica dei segni.
Il disegno raffigurava una bambina.
Una bambina infelice,circondata da quello che doveva essere il mondo: tutto Rose e fiori.
La bambina continuava a non parlare.
Neanche dallo psicologo.
Parlò appena ad otto anni.
Non perchè non sapesse farlo.
Semplicemente non ne vedeva il motivo.
Sapeva esprimersi anche senza il bisogno di aprire bocca.
Ma lo faceva in modo sbagliato...
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