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9. Cena triste

Selene

Mi guardo intorno consapevole degli occhi di Ante fissi su di me. È per questo che sono rimasta, per il modo in cui mi guarda. Mi agita, mi fa provare delle cose. Sensazioni di cui ho bisogno in questo periodo di totale apatia.

Sono mesi che mi sento in trappola nella mia stessa malinconia, cerco qualsiasi cosa mi faccia evadere dalla tristezza che mi imperversa dentro. Mi sono persa nelle mille crepe del mio cuore, non trovo più la strada che avevo deciso di prendere e adesso non so più chi sono e cosa voglio. Mi aggrappo alla confusione del mondo intorno a me sperando che cancelli il nero dei miei pensieri.

‹‹Posso fare un giro?››

Ante fa segno di sì con la testa. Entro nella prima camera da letto dallo stile minimalista, perfettamente in ordine, un armadio addossato alla parete, il letto di fronte e sopra un quadro raffigurante un bosco, con gli alberi fitti di un verde cupo. Sul comò uno specchio ovale riflette le luci del giorno morente che filtrano dalla finestra. Di fronte, c'è un'altra camera da letto, più piccola e colorata. Più avanti c'è il bagno, bellissimo, luminoso e dai toni caldi; non è grande ma nemmeno troppo piccolo, ha una doccia ampia a vetro e un grande piano di marmo con un lavabo rettangolare.

Torno in sala e gli sorrido. ‹‹È carino questo appartamento.››

‹‹Grazie.››

Le foto sulla parete catturano la mia attenzione. Lo raffigurano mentre gioca a calcio, dolcissimo da bambino, sguardo determinato e pochi sorrisi man mano che cresceva. Un paio lo ritraggono con una coppa, felice. ‹‹Qui dov'eri?›› Mi giro un secondo e mi accorgo che si sta togliendo la guaina.

Solleva lo sguardo. ‹‹In Germania, a Francoforte.››

‹‹Cosa avevi vinto?››

Sento il fruscio dei pantaloni. ‹‹La coppa di Germania.››

Continuo a guardare le foto, fermandomi su un ritratto di gruppo: un uomo, una donna, due ragazze e Ante in un giardino.

‹‹Quelli sono i miei genitori e le mie sorelle.››

Non lo avevo sentito avvicinarsi, ma ora sento la sua presenza proprio dietro di me. Mi volto verso di lui. È più bello che nelle foto, i suoi occhi rivelano tante emozioni. Non riesco a non guardarlo e a non sentirmi rapita. Ma è un sentimento del tutto nuovo quello che mi nasce dentro, diverso da qualsiasi tipo di attrazione io abbia mai provato per un ragazzo. Ho solo voglia di restare così, a osservare la bellezza dei suoi tratti e cercare di dare un nome a tutto quello che vedo nei suoi occhi.

‹‹Vuoi qualcosa da bere? Una birra?››

Annuisco e lo seguo in cucina. ‹‹Da quanto tempo sei a Milano?››

‹‹Qualche anno.›› Apre una bottiglia di birra e me la versa in un bicchiere.

‹‹Ti piace qui?››

‹‹Sì. Mi trovo bene.›› Si appoggia al piano della cucina. ‹‹Cosa vuoi mangiare? La mia dieta prevede una cena triste, ma tu puoi avere tutto quello che vuoi.››

‹‹Cosa intendi per cena triste?›› Lo guardo incuriosita.

‹‹Petto di pollo e verdurine, gentilmente offerti dallo chef di Milanello.››

Ridacchio. ‹‹Posso farti compagnia in questa cena triste?››

Ante solleva un sopracciglio. ‹‹E io che mi stavo preoccupando. Dimenticavo che sei abituata a cenare in questo modo.››

Faccio finta di non aver inteso a cosa si riferisce e mi siedo sul ripiano della cucina accanto a lui. Ante attende una reazione alla sua battutina, fissandomi con un ghigno.

‹‹Smettila.››

‹‹Non ho intenzione di smettere fino a quando non mi dirai chi è.››

Lo guardo armeggiare con delle confezioni. ‹‹Non te lo dirò.››

Solleva lo sguardo. ‹‹Sai che prima o poi lo scoprirò, vero?››

‹‹Perché è così importante per te?›› chiedo. Non ho voglia di parlargli di Alexandar.

‹‹Voglio sapere il nome del tizio a cui spezzerò le gambe nel prossimo derby. È il minimo che si merita per aver spento il tuo bellissimo sorriso.››

Sono senza parole. Lui abbassa in fretta lo sguardo. ‹‹E poi. insomma, non mi piace che per colpa sua adesso pensi che siamo tutti degli stronzi. Siamo persone normali, come chiunque altro. Gli stronzi li puoi trovare anche tra gli avvocati come te.››

Ha detto che ho un bellissimo sorriso. E adesso non riesco più a tornare seria. ‹‹Non sono un avvocato.››

‹‹Ma presto lo sarai.›› Infila il cibo nel microonde e si avvicina. ‹‹Quello che voglio dire è che anche se siamo persone esposte, anche se la gente va in giro con i nostri nomi sulle magliette e per strada ci chiedono foto e autografi, restiamo persone.››

Sono felice che la conversazione si sia spostata su un argomento più generico. ‹‹Quello che penso io è che la vita che conducete vi porta ad essere tutti uguali, a credere che tutto vi sia concesso.››

‹‹Selene, questa è la vita che conduco. Vado agli allenamenti, torno a casa, mi riposo, esco con i miei amici... niente di così eclatante. Non mi piace mettere in mostra la mia vita privata, non mi piace essere sulla bocca di tutti se non per i miei meriti o demeriti sportivi. E ti posso assicurare che come me ce ne sono tanti.›› Appoggia le mani sul ripiano ai lati delle mie gambe e mi guarda dritto negli occhi. Le sue gambe sfiorano quasi le mie. ‹‹Spostati.››

Scendo, ma lo spazio è inesistente e finisco per strusciarmi su di lui. Mi sovrasta per quanto è alto. Toglie una mano e mi lascia passare. Lo vedo aprire un cassetto e tirare fuori una tovaglia e due sottopiatti rotondi.

Riavvolgo il filo dei pensieri e continuo, decisa a sostenere la mia tesi. ‹‹Ho un'amica che è davvero bella e quando esce le piace farsi notare, per cui quello che dirò adesso l'ho visto con i miei occhi. Diverso tempo fa fu invitata ad una festa da un ragazzo con cui si frequentava e lì c'erano molti personaggi famosi, tra cui alcuni calciatori. Il giorno dopo un paio di loro, fidanzatissimi, la contattarono. Le chiesero di uscire, di vedersi in albergo.›› Ante mi guarda impassibile, sa che sto dicendo la verità. ‹‹E non sono stati gli unici, potrei continuare. Quindi non sentirti offeso quando dico che siete tutti uguali.››

‹‹È un ragionamento che si può estendere a tutta la categoria maschile.›› Mi fa segno di sedermi e mi accomodo a tavola. Ante mi mette davanti il piatto che a dispetto di tutto ha un odore buonissimo. ‹‹Su un gruppo di venticinque giocatori ce ne sono tre o quattro che potrebbero avere l'atteggiamento di cui parli. Ma se prendiamo venticinque dei tuoi amici maschi, potresti affermare con assoluta certezza che nessuno di loro si comporterebbe così? Non puoi, perché in quel gruppo ce ne saranno tre o quattro che agiranno esattamente come i calciatori di cui mi hai parlato. È statistica. Quindi smettila di avere pregiudizi nei nostri confronti.››

Assaggio un boccone e chiudo per un istante gli occhi. Come fa un petto di pollo ad essere così buono? È aromatizzato al limone e il gusto agro mi solletica le papille gustative. ‹‹Non mi farai cambiare idea.››

Ante aggrotta la fronte. ‹‹Anche il tuo ex era così?››

Alzo gli occhi al cielo. ‹‹Perché non parliamo di te? Mi vuoi dire cosa è successo prima?››

Il suo volto si illumina. ‹‹Non siamo amici.››

Smuovo le verdure nel piatto. ‹‹Stiamo condividendo una cena triste, penso che siamo sulla buona strada per diventare amici.››

Mi scruta per qualche secondo con un sorriso delicato sulle labbra. ‹‹Non è un buon periodo per me, l'infortunio e tutto il resto.››

‹‹Tutto il re...››

‹‹Selene, è difficile da spiegare. È la sensazione costante di essere inutile, e fragile al punto da aver bisogno di più amore da parte di chi mi sta vicino.››

La sofferenza in quelle parole mi sbatte addosso come un treno in piena corsa. Poggio la forchetta accanto al piatto e lo guardo. ‹‹Ci vieni con me in un posto?››

‹‹Adesso?››

‹‹Sì, adesso.››

‹‹Dove si trova questo posto?››

‹‹Qui vicino, possiamo andarci a piedi.››

Ci pensa e posso capire la sua reticenza. Annuisce e finiamo di mangiare. Ante si alza e toglie i piatti dal tavolo per metterli nel lavello. Mi alzo anche io e lo aiuto a sparecchiare; gli passo le tovagliette.

‹‹Era carina comunque la mise en place.››

‹‹Il minimo. Ti ho invitato a cena e non ho neanche cucinato.››

Sgrano gli occhi. ‹‹Ah, tu sai cucinare?››

Mi fissa stupito. ‹‹Sul serio Selene? Ancora stereotipi?››

Scoppio a ridere e scuoto la testa. ‹‹No, scusami.››

‹‹Andiamo?››

Annuisco e vado a rimettermi le scarpe con un po' di tachicardia. Sto per portarlo in un posto troppo importante per me.

Ante ha un giubbotto scuro e il cappuccio della tuta sulla testa. Cammina senza guardarsi intorno e mi segue senza dire niente. Solo quando mi fermo davanti alla porta di un palazzo e la apro mi trattiene.

‹‹Dove stiamo andando?››

‹‹Sul tetto.››

‹‹Non possiamo entrare qui.››

‹‹Non ti preoccupare, conosco il ragazzo della sicurezza.›› Lui non sa che in questo palazzo praticamente ci vivevo.

‹‹Selene, io non...››

Sembra agitato e capisco quello che mi vuole dire. Gli metto una mano sul braccio. ‹‹Aspettami qua, parlo con il ragazzo e saliamo. Non ti vedrà nessuno.››

Esita, ma decide di fidarsi.

Mentre saliamo lo vedo rilassarsi. ‹‹Come mai mi stai portando sul tetto di questo palazzo?››

Ora sono io a sentirmi agitata. Non so bene perché ho deciso istintivamente di portarlo qui, non so perché ho pensato che potesse fargli bene. ‹‹Quando sento che le cose nella mia vita non vanno è qui che vengo.››

Lui mi guarda con attenzione e mi segue, oltrepassiamo le sdraio e arriviamo fino al parapetto del tetto. L'aria è fresca e il vento mi scompiglia i capelli. Sotto ai nostri occhi si diramano le strade larghe di Milano. Le luci delle auto si susseguono e le persone in giro sembrano solo delle formiche sotto di noi.

‹‹Vengo qui e guardo la grandezza di questa città, le migliaia di persone che girano, le vite che si incrociano, con i loro pensieri, le loro storie, i loro problemi. Siamo esattamente come loro, un puntino in mezzo a questa vastità. Così anche i miei problemi mi sembrano meno grandi, meno insormontabili.›› Gli lancio un'occhiata ma lui è assorto a guardare l'orizzonte, col crepuscolo che sta lasciando il posto alla notte.

Lo lascio con i suoi pensieri e mi rintano nei miei. Il silenzio tra noi non mi pesa. Respiro profondamente, ripulisco la mente.

‹‹Torniamo giù?›› Ante mi lancia un'occhiata.

Sospiro. Avrei bisogno di restare ancora un altro po', ma... ‹‹Sì.››

‹‹Selene...››

Ante si piazza davanti a me. Ha l'aria di chi sta per andare al patibolo e mi dispiace di non essere riuscita a sollevargli il morale. Credevo che anche lui potesse sentirsi meglio come accade a me. Invece forse ho peggiorato la situazione. Mi scosto una ciocca di capelli che il vento ha mandato a svolazzare sul mio viso e all'improvviso mi ritrovo stretta tra le sue braccia.

‹‹Grazie›› mormora.

Mi lascio andare, poggiando la testa sul suo petto e per un istante, un solo battito di cuore, sento di essere in un posto sicuro. Ante si allontana e porta via con sé il calore e l'odore di pulito.

Milano con la sua incessante frenesia mi ripiomba addosso. Alzo gli occhi su di lui e mi sento nuda. Ho condiviso con Ante un posto, una parte di me, che non avevo mai mostrato a nessuno. Il suo sorriso mi accarezza il cuore in tumulto.

‹‹Grazie›› dice ancora, e insieme ci incamminiamo per tornare giù.

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