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4. Pregiudizio

Selene

Stanotte non ho dormito.

Il giorno dell'esame mi sembra sempre più vicino e sono totalmente impreparata. Molto probabilmente non riuscirò a terminare tutto il programma e sento che dovrò rimandarlo alla sessione successiva, in modo da avere più tempo per prepararlo bene.

Sono stanca di questi continui turni alla clinica di Stefano, mi fanno perdere solo del tempo prezioso. Su questo esame ci sto da tanto, troppo tempo e forse è questo a rendermi nervosa. C'è qualcosa che mi blocca, non riesco a memorizzare, non riesco ad imparare con la facilità con la quale mi riusciva qualche mese fa.

Sul tavolo della cucina Stefano mi ha lasciato la colazione, ma non ho tempo per sedermi e mangiare con calma, così afferrò un paio di fette biscottate e le mangio mentre scendo le scale interne che collegano casa nostra con la clinica.

La prima persona che incontro è il calciatore di ieri, quello che verrà per un bel po'.

‹‹Buongiorno.›› Il suo sguardo mi sfiora giusto qualche secondo, poi torna a messaggiare.

‹‹Buongiorno›› rispondo. Lo osservo mentre lego i capelli in una coda bassa. Stamattina anche i miei capelli hanno deciso di fare schifo, non stavano in ordine nemmeno dopo una cinquantina di spazzolate. Sembra incazzato. I suoi lineamenti sono duri ma allo stesso tempo delicati e belli. ‹‹Vieni.››

Cammino davanti a lui e lo faccio entrare nella stanzetta libera. ‹‹Sistemati, Stefano arriva subito.››

Lui annuisce e si sfila il giubbotto nero, lasciandolo su una sedia. Oggi non ha molta voglia di parlare, ieri devo aver scoraggiato qualsiasi tipo di approccio. D'altronde non dobbiamo diventare amici, è inutile fare finta che mi interessi parlare con lui.

Raggiungo Stefano nella palestra, sta sistemando dei tappetini a terra.

‹‹Ehi, c'è il calciatore nuovo di là.››

‹‹Ah, occupatene tu.››

Cosa? ‹‹Perché?››

‹‹Non vedi che sono impegnato?›› risponde spazientito. ‹‹Devi soltanto fargli la tecar. Nel cassetto c'è la sua cartella, lì trovi tutti i parametri da utilizzare. Appena ho fatto vengo.››

‹‹Ti rendi conto che ho le mie cose da fare, vero?›› Doveva essere un aiuto temporaneo e si sta trasformando in un lavoro a tempo pieno. ‹‹Quando ti deciderai ad assumere qualcuno?››

So che questo discorso è doloroso per lui, che gli ricorda Valeria, ma deve rendersi conto che non sarò qui per sempre. Ho i miei progetti da realizzare.

Stefano si ferma e mi guarda. Sembra esausto e io mi incupisco. ‹‹Hai ragione, lo farò presto.››

Lo lascio nella stanza con un viso ancora più truce di come l'ho trovato e un po' mi sento in colpa per aver sollevato l'argomento. È passato troppo poco tempo da quando Valeria lo ha lasciato e so che Stefano è ancora innamorato. Probabilmente temporeggia solo perché spera che lei torni.

Quando rientro nella stanza del calciatore lui si è tolto i pantaloni ed è disteso sul lettino. Mi fissa con intensità.

Stefano è impegnato, arriva tra poco›› spiego. ‹‹Intanto cominciamo.››

Cerco tra le cartelle quella di Ante Rebic e controllo tutti i parametri da utilizzare. Setto la macchina e prendo il gel conduttore. Mi avvicino al lettino e osservo le gambe del ragazzo. La pelle chiara è tesa sui muscoli armoniosi della coscia. Stringo tra le dita la boccettina col gel e la punto sul ginocchio.

‹‹Che fai?››

Mi blocco un attimo prima di versare il gel. Lo guardo con aria interrogativa.

‹‹Non è sul ginocchio, è sulla coscia.››

‹‹Oh.›› Mi gratto la tempia. Controllo la scheda perché ero sicura di aver letto diversamente. ‹‹Sì, giusto.››

Sto per schiacciare il tubo ma mi ferma di nuovo, stavolta stringendo le dita sul mio polso. ‹‹Sei in grado di farlo?››

‹‹Certo che sono in grado›› rispondo risentita.

‹‹Io con i muscoli ci lavoro, non è un gioco questo per me.›› I suoi occhi chiari sembrano lame affilate che mi trafiggono.

‹‹Non è un gioco nemmeno per le altre persone che vengono qui, ma voi calciatori vi sentite onnipotenti, non è così? Siete tutti uguali.›› Mi accorgo troppo tardi di aver sputato fuori tutta la mia frustrazione.

Ante mi guarda con aria greve. ‹‹Quindi è per questo che mi tratti con aria di sufficienza, perché sono un calciatore.››

Ha la voce talmente calma che sento un brivido correre lungo la schiena. ‹‹N-no›› balbetto. ‹‹Io... non volevo dire questo.›› Non è per me che sono agitata. Se fosse per me potrebbe andarsene al diavolo in questo preciso momento. Ma è la reputazione di Stefano ad essere in gioco e non posso permettere che si senta in qualche modo offeso o trattato male.

‹‹Tu studi legge, giusto?››

‹‹Giurisprudenza›› puntualizzo. Che diavolo c'entra?

‹‹E un giorno vorrai fare l'avvocato o il giudice.››

Annuisco. Davvero non so dove voglia andare a parare, ma non oso fiatare.

‹‹È questo che ti insegnano? Ad avere pregiudizi?›› Aggrotto la fronte. ‹‹Hai detto che noi calciatori siamo tutti uguali ma non mi conosci. Hai ragionato secondo un tuo pregiudizio. I giudizi personali non dovrebbero interferire nel tuo futuro lavoro.››

Le sue parole mi bruciano dentro, molto più di quello che dovrebbero. Sto per rispondergli in malo modo ma mi mordo la lingua ricordando a me stessa che devo pensare a Stefano.

‹‹Mi dispiace›› dico senza tanta convinzione. Lo guardo negli occhi e qualcosa si sblocca dentro di me. Credo di avere esagerato. ‹‹Mi dispiace›› ripeto, e stavolta sono sincera. ‹‹Ho avuto una nottataccia e ora sto riversando il mio malessere su di te che non c'entri niente. Mi sono solo distratta, ma sono perfettamente in grado di usare il macchinario. Se me lo permetti.›› Aggiungo un timido sorriso per cercare di stemperare la tensione.

Lui mi guarda per un tempo infinito senza dire niente tenendomi in uno stato di agitazione.

‹‹Posso aspettare tuo fratello se non hai voglia di avere a che fare con me. Non è un problema.››

Adesso però comincia a stufarmi. Gli ho chiesto scusa ed ero sincera, che altro vuole di più? Che mi genufletta ai suoi piedi? Tipico atteggiamento supponente da calciatore e poi ha avuto pure il coraggio di sentirsi offeso se l'ho paragonato a tutti gli altri suoi colleghi.

Ho voglia di sbattergli il tubetto di gel in faccia e dirgli di farsi il trattamento da solo.

‹‹Selene, non hai ancora iniziato?››

La voce di mio fratello mi fa trasalire. ‹‹Sì, stavo per farlo.›› mi affretto a dire.

Entra nella stanza e mi toglie il gel dalle mani. ‹‹Ciao Ante, scusami ma stavo sistemando delle cose. Avevo chiesto a mia sorella di iniziare...›› mi rivolge un'occhiata di sbieco. Tutto questo atteggiamento servilista mi da il voltastomaco.

‹‹Non ti preoccupare, tua sorella mi stava giusto parlando del suo disprezzo per i calciatori.››

Sento un calore salirmi dalle spalle fino alla testa. ‹‹Stavo scherzando›› tento di giustificarmi.

Ante sorride osservando il mio volto farsi sempre più colorato e capisco che è la sua personale vendetta. Stefano mi rivolge appena lo sguardo.

‹‹Puoi andare Selene, adesso ci penso io.››

Me ne torno dietro alla scrivania con la coda tra le gambe. Spero che mio fratello non si arrabbi troppo, ne avrebbe tutte le ragioni. E spero che quell'idiota non dica nient'altro.

Fisso il tavolo davanti a me, rimugino a lungo sulle parole di Ante. Non mi interessa molto cosa pensa di me, ma il suo discorso è corretto. Sono rammaricata, vorrei non aver detto quelle parole, vorrei non avere questa costante sensazione di malessere e di ansia addosso. Il nervosismo ormai è diventato parte di me e più cerco di liberarmene più aumenta.

Mi sto trasformando in una persona che non riconosco più. Quanto ancora devo aspettare prima di tornare a stare di nuovo bene? O forse non tornerò più quella che ero prima?

È l'ansia per l'esame a cui tengo tanto che mi fa stare così, dico a me stessa. Devo solo superarlo e poi sarà tutto in discesa e la mia vita tornerà a prendere una piega migliore. 

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