Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Friends

Katsuki rimase immobile per un istante, le parole del poliziotto che lo colpirono come un fulmine a ciel sereno. Le sue palpebre sbatterono un paio di volte, incredulo. «Kacchan?» ripeté, la voce per una volta incerta, un'ombra di confusione nel tono e, forse, per la prima volta davvero consapevole dell'effetto che stava avendo su Izuku. Aveva giocato con lui, divertito dalla sua ingenuità, ma ora, guardandolo più da vicino, qualcosa dentro di lui esitò. Gli occhi verdi del poliziotto erano lucidi, pieni di una tensione che oscillava pericolosamente tra il desiderio e il disgusto verso sé stesso. Un conflitto così intenso da essere quasi palpabile.

Izuku si rese conto immediatamente di ciò che aveva detto, il soprannome familiare che era scivolato fuori con tanta naturalezza. Gli occhi si allargarono e il viso diventò paonazzo. «Io... non volevo...», balbettò, abbassando lo sguardo, il cuore che gli batteva all'impazzata.

Ma quel momento di esitazione durò solo pochi secondi, perché poi Bakugō ritornò il solito stronzo, pronto a colpire dove faceva più male. «Un soprannome, eh? Allora siamo così in confidenza, sbirro?»

Izuku restò in silenzio, stringendo le mani a pugno per cercare di controllare le emozioni che lo stavano sopraffacendo. Il cuore gli batteva forte, ma non riusciva a trovare le parole per rispondere.

Katsuki, però, non si fermò. «Non lo sapevo che eravamo arrivati a questo punto... Kacchan. Pensi che darmi un nomignolo sia una buona idea? Quelli si usano solo se si ha molta più confidenza, Deku

Quella parola – Deku – colpì Izuku al pari di una pugnalata, perché, sentita in quel momento, suonava diversa, quasi più personale, più intima, anche se pronunciata con il solito tono caustico, anche se il significato vero era solo una presa in giro, un ricordargli quanto fosse insignificante agli occhi di quell'uomo strafottente che credeva di avere tutta la città ai propri piedi.

Izuku non rispose, non sapeva cosa dire. Si limitò a chiudere gli occhi, cercando di trattenere quelle lacrime che minacciavano di scendere, mentre Bakugō lo osservava con un sorriso malizioso che, tuttavia, nascondeva un filo di incertezza.

Katsuki osservò il poliziotto in silenzio per qualche istante, notando il tremore nelle sue mani, il modo in cui cercava disperatamente di trattenere le lacrime. La sua solita sicurezza sembrava vacillare, e anche se il sorriso malizioso restava sulle sue labbra, c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi.

«Tch...» sbuffò, distogliendo lo sguardo. «Non fare quella faccia, Izuku...»

Il detective non rispose ancora, rimanendo in silenzio. Non riusciva a guardarlo, ogni muscolo del suo corpo sembrava teso al massimo, come se bastasse un piccolo tocco per farlo spezzare.

Katsuki si schiarì la gola, il tono della voce un po' meno pungente di prima. «Ok... forse ho calcato un po' troppo la mano. Non pensavo che ti saresti ridotto così...»

Izuku alzò lo sguardo, sorpreso da quella mezza ammissione. E quelle parole erano forse la cosa più vicina a una scusa da parte sua di quanto lui potesse anche solo immaginare.

«Non dovevo prenderti così in giro...», aggiunse Katsuki, stavolta con un leggero rimorso nella voce. Sospirò, passando una mano sul viso, dove la barba, corta e incolta, gli prudeva.

Anche se aveva sempre amato avere il controllo, quella particolare reazione di Izuku – la sua vulnerabilità, il rossore che gli colorava le guance, e il tremolio nelle sue mani e gli occhi traboccanti di lacrime – lo stavano mettendo a disagio in un modo che non si aspettava.

«Te l'ho detto, no? A volte non so quando fermarmi...». Katsuki si passò poi una mano tra i capelli biondi disordinati, visibilmente a disagio, come se non sapesse davvero come continuare. «E poi... Non sono abituato a 'sta roba. È così che sono fatto...»

Izuku lo guardò per qualche istante, riflettendo su quelle parole e lottando tra il desiderio di rispondere qualcosa di tagliente e la consapevolezza che, in un certo senso, quello era davvero il massimo che poteva aspettarsi. Ed era quasi surreale vedere Katsuki ammettere qualcosa di così umano. Era abituato a vederlo come un individuo forte, senza scrupoli, che non si piegava mai di fronte a nulla. Eppure, lì, in quel momento, sembrava quasi fragile.

«Lo so...» mormorò infine, la voce bassa, quasi un sussurro e ancora scosso da quanto appena accaduto, e senza dire nulla riprese a lavare le gambe di Katsuki. Le sue mani si muovevano meccanicamente, il panno umido che sfiorava la pelle calda, ma la mente vagava altrove. Ogni tanto, il poliziotto alzava lo sguardo verso il volto dell'altro, ma Katsuki si era fatto improvvisamente silenzioso, osservandolo con occhi socchiusi e il respiro regolare.

Non c'erano più battute, né sorrisi maliziosi. Solo quel silenzio pesante che riempiva la stanza.

Izuku cercava di concentrarsi sul compito che stava ormai concludendo, ma il suo cuore batteva ancora forte, e le mani tremavano ancora leggermente mentre passava la pezza sulle gambe di Katsuki. Ogni tanto sfiorava la cicatrice o la pelle livida attorno ad essa, ma Katsuki non si lamentava. Rimaneva fermo, lasciandosi lavare in silenzio.

«Sai, io non... Non serve che ti scusi...» mormorò Izuku all'improvviso, rompendo quel silenzio soffocante. «Non serve che ti scusi. Per come sei, dico.». La sua voce era bassa, quasi un sussurro, come se temesse di disturbare l'atmosfera tesa della stanza.

Continuò a passare la pezza sul polpaccio di Katsuki, senza alzare lo sguardo. «Dovevo metterlo in conto...». Le sue parole uscivano a fatica, come se stesse cercando di dare un senso a quello che provava.

«Parlare con te... mi sta mettendo in discussione...» confessò, la voce spezzata dall'emozione. «Non è solo il fatto che sei un criminale, che dovrei vederti come il nemico. È che... tutto quello che dici, il modo in cui ti diverti a provocarmi... mi destabilizza. Ma è un problema mio...»

Fece una pausa, il respiro più pesante. Le sue mani si fermarono per un attimo sulla caviglia di Katsuki, mentre cercava di raccogliere i pensieri.

«Prendere la decisione di curarti...» continuò Izuku, quasi parlando tra sé e sé, «...si sta rivelando la scelta peggiore che ho fatto nella mia vita. Avrei dovuto lasciarti al tuo destino, consegnarti subito alla polizia e chiudere questa storia. Ma...» si interruppe, il nodo alla gola che si faceva sempre più stretto. «...non ci sono riuscito. E ora... mi chiedo se non sto sbagliando tutto.»

Katsuki rimase in silenzio, il volto impassibile. Lo sguardo era fisso sul soffitto, ma ogni tanto sembrava seguire i movimenti di Izuku con la coda dell'occhio. Non disse nulla, non fece commenti. Semplicemente, ascoltava.

Izuku finì di lavargli le gambe e si tirò indietro, lasciando cadere la pezza nell'acqua ormai tiepida. Il silenzio tornò a riempire la stanza, ma stavolta era diverso, più denso, carico di emozioni non dette.

Katsuki continuava a non dire una parola, e Izuku, esausto, si sedette sul letto, la testa tra le mani, mentre il fuoco crepitava piano nell'angolo della stanza.

Katsuki si mosse lentamente, il corpo ancora fiaccato dalla febbre, ma abbastanza forte da sporgersi verso Izuku. Ancora a torso nudo, lanciò un'occhiata verso di lui, e poi, con un gesto inaspettatamente gentile, gli mise una mano sulla testa e gli scompigliò i capelli. Il contatto era lieve, quasi affettuoso, e Izuku, colto alla sprovvista, si bloccò.

«Sai...» iniziò Katsuki, la voce più calma del solito, «Dovresti vederla come la cosa migliore che ti sia capitata, non come la peggiore.»

Izuku sollevò lo sguardo, incrociando i suoi occhi. La mano di Katsuki rimase sulla sua testa per qualche secondo, poi scese lentamente, come a voler sottolineare ogni parola, accarezzandogli la guancia e sollevandogli il mento per poterlo guardare per bene in quegli occhi di smeraldo così puri e tristi.

«Mettersi in discussione non è mai un male.», continuò Katsuki, osservandolo con serietà. «Prendere coscienza di te stesso, di ciò che vuoi davvero dalla vita... Non deve spaventarti. Al contrario, è una dannata opportunità.»

Izuku lo fissava, spiazzato. Non si aspettava che proprio Katsuki, il criminale arrogante e provocatorio, gli parlasse in quel modo. Eppure, quelle parole risuonavano dentro di lui con una strana verità, come se stesse finalmente ascoltando qualcosa che non aveva mai voluto ammettere a sé stesso.

Katsuki lo scrutò, poi sbuffò di nuovo, cercando di recuperare un po' della sua solita arroganza. «Dovresti ringraziarmi, sai? Ti sto insegnando un sacco di cose su te stesso!»

Izuku scosse leggermente la testa, un sorriso stanco, quasi impercettibile, a sfiorargli le labbra. «Non so se definirla una lezione sia proprio il termine giusto, Kacchan

Il criminale rimase in silenzio per un attimo, prima di alzare le spalle. «Chiamami ancora così e ti faccio rimangiare ogni parola a suon di ceffoni!». Poi, dopo una breve pausa, sbuffò e aggiunse, quasi con riluttanza: «Se non ti metti in discussione, se non ti fermi mai a pensare a quello che vuoi veramente...» aggiunse Katsuki, spingendo leggermente su quelle parole, «...continuerai a camminare per strade che non hai scelto tu. Ti adatterai a quello che gli altri si aspettano da te, senza mai fare un passo avanti per capire chi sei davvero.»

Izuku sentiva il cuore battere forte nel petto, ma non per la tensione o l'imbarazzo di prima: c'era qualcosa di diverso stavolta, un senso di apertura, come se una parte di lui stesse vedendo finalmente alla luce.

Katsuki inclinò appena la testa, il tono della sua voce più basso e meno tagliente rispetto a quanto Izuku si fosse abituato.

«Non devi avere paura di cambiare. Se quello che hai sempre fatto, o creduto, non ti appartiene più... allora c'è solo una cosa da fare: migliorarti. O cambiare. Non c'è niente di sbagliato nel voler essere migliore di quanto tu non sia...»

Izuku rimase in silenzio, a fissarlo con un misto di confusione e riconoscenza, gli occhi spalancati che quasi brillavano. Era strano sentirsi dire quelle cose da Katsuki, colui che fino a poco prima lo aveva provocato senza sosta. Ma quella filosofia, quell'idea di crescita e trasformazione, gli faceva intravedere una via d'uscita da quella spirale di dubbi e incertezze che lo tormentava da troppo tempo.

Non sapeva cosa dire, ma sentiva che qualcosa dentro di lui era cambiato.

Katsuki sorrise appena, un sorriso quasi impercettibile, e si tirò indietro, lasciando che Izuku elaborasse quelle parole. «Datti una possibilità, Deku,» disse infine, con una nota di ironia leggera, ma comunque affettuosa. «Forse ti sorprenderai di quanto puoi cambiare...»

Katsuki si allontanò leggermente, rompendo il momento di introspezione. Tornò a essere il Katsuki di sempre, quel criminale caustico e provocatorio che Izuku conosceva bene.

«E ora che abbiamo avuto il nostro bel momento di crescita personale...» disse, incrociando le braccia con un sorriso sornione: «Che ne dici di aiutarmi a vestirmi? Ti prometto che stavolta non faccio battutine!», disse teatralmente, posando una mano all'altezza del cuore, alzando il braccio destro come se stesse pronunciando un giuramento solenne. «Non... Non voglio che tu ti senta di nuovo destabilizzato. Solo un normale aiuto tra amici, capito?»

Izuku alzò un sopracciglio, incredulo ma allo stesso tempo sollevato da quella specie di promessa. «Amici?», chiese conferma, immobile per un attimo a fissarlo negli occhi, sorpreso da quella dichiarazione perchè in realtà non sapeva come reagire; non era abituato a sentirsi dire certe cose, meno che mai da qualcuno come Bakugō. Non riusciva a capire se fosse sincero o se fosse solo un'altra delle sue manovre per destabilizzarlo.

«Sì, amici. Non dirmi che non hai mai avuto un amico che ti aiuta quando sei malato! Fai... Fai quello che ti riesce meglio. Per favore...» ribatté Katsuki con un sorriso malizioso, ma nonostante tutto c'era un tono di sincerità nelle sue parole.

Izuku non poté fare a meno di scuotere il capo con un sorriso amaro a stirare le labbra martoriate. «Va bene, allora. Ma non muoverti troppo... e non lamentarti!».

Katsuki ridacchiò. «D'accordo... Hai la mia parola! Ora, aiutami a sollevarmi: ho bisogno di quei vestiti, perché mi sto gelando pure le palle!».

E, mentre ridacchiava ancora, Izuku pensò che quello era pur sempre un passo avanti in quella breve e complicata convivenza.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro