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Epilogue

New Canaan - Stato di New York,
8 dicembre 1933


L'aria del mattino era carica di quella limpidezza cristallina tipica delle giornate di dicembre.

Il freddo pungente si faceva sentire, avvolgendo Izuku e sua madre nel tragitto che andava dalla casa della donna fino alla chiesa di quell'agglomerato di case vecchie e rovinate che era stato il suo paese natale.

Il mattino avanzava e il cielo era chiaro, punteggiato di nubi leggere che lasciavano passare raggi di sole pallido, che però non riuscivano a scaldare l'aria.

Izuku camminava a fianco di sua madre, mentre la accompagnava a messa. La donna si aggrappava leggermente al suo braccio, avvolta nel suo scialle di lana scura e pesante, con una forza che Izuku aveva imparato a rispettare e, in quel momento, a proteggere, come una missione silenziosa.

Intorno a loro, le case si stringevano una contro l'altra, le finestre erano decorate per le festività imminenti, e l'odore della neve si mescolava a quello del pane fresco e del caffè che uscivano dalle cucine.

Si era volutamente lasciato attraversare da quella calma invernale e festosa. Erano stati anni duri per lui, ma in quel giorno di festa si era concesso una pausa dal lavoro per ottenere un po' di pace nella sua vita, una pace che da tempo non provava e che ora gli avvolgeva il cuore, un momento di quiete che si era concesso, seppur con una certa riluttanza, dopo anni di sacrifici e impegni nel cuore dei distretti più turbolenti della città.

La luce debole e grigiastra del sole filtrava tra le nuvole sottili, rischiarando debolmente i muri antichi e le finestre fatte da vetri colorati della chiesa.

La vita era cambiata per lui: il lavoro lo aveva trasformato in un uomo di successo, rispettato e stimato, anche se forse un po' solo. La madre lo spronava da tempo a "sistemarsi", a trovare una compagna, a costruire una famiglia. Ma Izuku ogni volta distoglieva lo sguardo, con un sorriso gentile, senza una vera risposta da darle. Dentro di sé, sapeva che nessun'altra persona aveva mai veramente superato quell'unico legame rimastogli impresso nel cuore e nella mente, come un marchio che non era riuscito a cancellare.

E una parte di sé rimpiangeva ancora il modo in cui tutto si era concluso, inaspettato e doloroso.

Il giovane detective aveva scalato la gerarchia della polizia, diventando commissario grazie a una carriera brillante e intensa, costruita con dedizione: aveva smantellato una buona parte della rete criminale di Ground Zero, inseguendo ogni sua traccia e pista per anni, anche se il cuore dell'organizzazione era riuscito a sfuggirgli. Quel pensiero tornava talvolta a tormentarlo, insieme a ricordi ancora più personali e segreti, che aveva cercato a lungo di seppellire sotto l'immagine impeccabile e forte che ora rappresentava agli occhi dei colleghi e della madre.

La chiesa li accolse nella sua quiete solenne, un luogo di riparo dall'inverno, profumato d'incenso e illuminato dalla luce fioca delle candele e dai tenui raggi di luce che filtravano dalle vetrate decorate. Izuku si sedette accanto alla madre, cercando di lasciarsi avvolgere da quella calma che solo lei riusciva a trasmettergli, lasciandosi andare contro lo schienale di legno scuro di quelle panche che non ricordava tanto scomode.

La messa della festa per l'Immacolata Concezione si svolse come sempre, con quella routine familiare e rassicurante che sembrava non cambiare mai. Eppure a Izuku quel giorno gli sembrava molto più pesante, come se il ricordo di un fantasma lontano lo volesse sopraffare. Era però una sensazione che ormai aveva imparato a ignorare, sapendo che certi pensieri appartenevano al passato, a una parentesi della sua vita che aveva sempre temuto di non riuscire a comprendere del tutto.

Dopo la funzione, Izuku si fermò a salutare educatamente alcuni conoscenti sul sagrato, scambiando convenevoli di rito, mentre sua madre si allontanava di poco per parlare con una vecchia amica. Stava per voltarsi per richiamarla e dirle di rientrare, che il vento si stava facendo più gelido, quando però il suo sguardo si posò su una figura che sembrava fuori posto in quel paesaggio familiare e consueto.

Una figura alta, avvolta in un cappotto color cammello, spiccava come un'ombra dorata sul grigiore di un giorno invernale.

Il cappotto era ben tagliato, di ottima fattura, troppo costoso per qualsiasi persona della cittadina di New Canaan. Sul capo portava un cappello di feltro marrone scuro, e intorno al collo una sciarpa dello stesso colore, ad avvolgere parte di un volto che Izuku non aveva dimenticato.

Avanzava a passo calmo, con una leggera zoppia, sostenuta da un elegante bastone di legno scuro e laccato, che tuttavia non toglieva nulla dell'eleganza del suo portamento.

Con un gesto calmo abbassò di poco la sciarpa, lasciando in vista quei lineamenti decisi e che Izuku conosceva, ormai maturi.

Quegli occhi fiammeggianti lo guardarono, pur senza la stessa impetuosa sfrontatezza di un tempo, mantenevano un'intensità quieta, quasi saggia, come se avessero attraversato ogni tipo di tempesta e fossero finalmente approdati in un porto sicuro.

Izuku restò immobile, il cuore che accelerava ad ogni passo dell'altro e un nodo in gola. Quando Katsuki si fermò davanti a lui, con quel leggero sorriso di sfida addolcito dal tempo, Izuku notò un'espressione che non gli aveva mai visto: una calma che non era indifferenza, ma una sorta di pace conquistata. «È passato tanto tempo, Izuku.» mormorò Katsuki, la voce profonda e intrisa di un'intimità che li legava nonostante gli anni, come se anche per lui pronunciare quel nome fosse un ritorno improvviso e inatteso a qualcosa di prezioso e fragile.

Il cuore di Izuku si fermò per un istante. Quella cicatrice che ora attraversava la guancia destra gli conferiva un'aria diversa, più vissuta.

Katsuki si fermò a un paio di passi da lui e, alzando un sopracciglio, lo fissò con una calma quasi disarmante. «Oh, via! Non mi guardare come se avessi visto un fantasma!», e allungò una mano nella sua direzione.

Izuku inspirò profondamente, sopraffatto, mentre allungava la mano e stringeva quella calda di Katsuki, fissandolo incredulo, incapace di capire se stesse sognando o meno. Dopo un lungo momento, trovò il coraggio di parlare, con la voce appena tremante: «Come... come hai fatto a trovarmi?»

Katsuki sorrise e gli strinse più forte la mano, smettendo di agitarla, godendosi solo quel palmo altrettanto caldo, e Izuku notò che quel sorriso, pur mutato dagli anni, portava ancora con sé una certa ironia e fierezza. «Sei fin troppo prevedibile...sbirro

Izuku deglutì e balbettò: «Io... Io ti credevo morto.». La confessione gli uscì di getto, e si rese conto di quanto quelle parole fossero vere e di come, nel dirle, si sentisse forse più leggero.

Katsuki ridacchiò, il suono basso e quasi divertito. «Non è così facile farmi fuori. Dovresti saperlo!»

Izuku non seppe cosa rispondere, troppo preso dal turbine di emozioni che lo stava investendo: sollievo, confusione, incredulità. Finalmente trovò le parole: «Ho-ho passato anni a smantellare la tua rete, a cercare di fermarti. Ho... ho fatto tutto ciò che potevo, e poi tu sei...scomparso! Io... Io pe-pensavo che fosse finita, che... fossi morto davvero...», balbettò, togliendo la mano dalla presa salda di quella di Katsuki, incurante perfino degli occhi dei paesani che li osservavano incuriositi da quella improvvisa tensione tra i due uomini.

Katsuki lo fissò a lungo, il sorriso ormai svanito dalle labbra, tirate invece in una linea dura, lo sguardo sfuggente, che fulminava chiunque venisse loro troppo vicino. «Lo so. Ho sentito tutto quello che hai fatto. Hai minato le fondamenta del mio impero pezzo dopo pezzo, senza mai fermarti. Ti sei dannato l'anima per cercarmi, per togliermi il terreno da sotto i piedi...» Fece una pausa, lo sguardo che si addolcì leggermente. «E lo sai una cosa? Ci sei riuscito.»

Izuku alzò le sopracciglia, incredulo nel sentire quelle parole uscire dalla sua bocca

«Hai fatto un gran casino...» disse Katsuki, con un sorriso ironico. «Dico sul serio! Ma molto prima che smantellassi tutta la mia organizzazione. Molto, molto prima....»

Izuku lo fissò senza capire, gli occhi spalancati. Katsuki inspirò profondamente, abbassando per un istante lo sguardo prima di rialzarlo su di lui.

«Quei giorni, Izuku. Quei giorni che ho dovuto passare con te mi hanno fatto vedere cose che non avevo mai considerato. Per la mia intera vita ho fatto quello che mi pareva, senza mai pensare alle conseguenze, a chi potessi ferire, a cosa stessi lasciando dietro di me. Ma tu...» Fece una pausa, scuotendo la testa come se trovasse difficile continuare. «Tu mi hai costretto a guardarmi allo specchio. Mi hai fatto capire che non potevo continuare così. E così, dopo un po' che me ne ero andato, ho deciso di lasciare tutto.»

Izuku rimase in silenzio, trattenendo il fiato. Non era sicuro di cosa dire o di come sentirsi, ma la curiosità era tanta, quasi quanto la gioia nel vederselo di nuovo lì, di fronte a sé, che giocherellava con la punta del bastone su un sasso e lo osservava con una strana intensità. «Ma allora... Hai finto? Hai inscenato quella morte?».

Cinque o sei anni prima, in uno dei depositi clandestini di alcol, era scoppiato un grave incendio, dove erano morti parecchi contrabbandieri e qualche povero diavolo che lavorava per l'organizzazione criminale di Ground Zero. In quell'occasione era trapelata la notizia che il capo dell'organizzazione fosse morto in quell'incidente.

«Mi serviva un pretesto per andarmene. Ho lasciato tutto in mano a persone di cui sapevo di fidarmi. E non ho più cercato nulla da loro. Ci ho messo un po', ma ho chiuso. Poi sono tornato dai miei genitori. In ginocchio. Lasciando la mia dignità nel momento stesso in cui ho baciato le scarpe di mio padre.» continuò Katsuki, la voce più calma. «Ho chiesto perdono, ho fatto ammenda. E ora... ora sto rilevando la sua attività. Ho una vita onesta ormai, per quanto possa sembrarti strano. Ho trovato una strada diversa, grazie a te.».

Izuku rimase senza parole, lo sguardo incollato a quel volto che ora sembrava portare il peso di tutte le decisioni prese e di quelle lasciate indietro. L'aria fredda sembrava fargli tremare la voce. «Grazie a me? Io... non pensavo di averti cambiato. Ero convinto di essere stato solo un...ostacolo per te.».

Katsuki fece un passo indietro, incrociando le caviglie e poggiando la maggior parte del proprio peso sul bastone che lo accompagnava, come se cercasse sollievo per la gamba ferita. E lo fissò con quel suo sguardo intenso: «Sei stato molto più di un ostacolo, sbirro. Mi hai aperto gli occhi. Mi hai fatto vedere che c'era altro oltre a quella vita. Non avrei mai voluto che portassi lutto per me, ma sapere che ti importava... che ti sei preoccupato... Beh, suppongo che mi faccia piacere, in qualche strano modo.».

Izuku lo fissò, incredulo. «Come potevo non preoccuparmi? Dopo quello che... dopo quello che hai detto prima di andartene? Katsuki, tu non...Non ti consideravo più solo un criminale...».

L'ultima frase rimase sospesa nell'aria, un eco che sembrava risuonare tra di loro. Katsuki distolse lo sguardo per un momento, il peso che tornava sui piedi, mentre la mano passava distrattamente sul bastone che reggeva. Poi parlò, con una voce più bassa, più sincera, un sorriso tenero che gli curvava le labbra. «Lo avevo capito...».

Izuku non seppe cosa rispondere. Si sentiva travolto da un'ondata di emozioni contrastanti: sollievo, incredulità, e una strana nostalgia che aveva sopito a lungo, come una ferita mai del tutto guarita. Riuscì infine a mormorare: «E sei venuto qui... per cosa, esattamente?»

Katsuki lasciò andare un sospiro mentre scrollava le spalle e il suo sguardo si fece più serio, quasi malinconico. «Non lo so nemmeno io. Forse solo per vedere se stai bene, perché quel giorno so che ti ho lasciato tanto di irrisolto...»

Izuku cercò di rispondere, ma le parole gli morirono in gola. Si limitò ad annuire, mentre un nodo di emozioni gli serrava il petto. Sua madre si avvicinò in quel momento, incuriosita dall'uomo misterioso che stava parlando con il figlio, e lui, per un istante, si costrinse a ricomporsi, presentando Katsuki come un vecchio amico.

Lei lo accolse con un sorriso cordiale, stringendo la sua mano calda e arrossendo per un rispettoso baciamano.

«Sono felice di sapere che mio figlio ha amici come lei. Spero che vorrà unirsi a noi per pranzo. Che ne dici, tesoro?», disse, con la stessa premura materna che mostrava verso chiunque incontrasse. Katsuki esitò. Avrebbe potuto rifiutare subito, ma qualcosa in quella proposta lo tentava, un desiderio di calore e di normalità che non aveva mai avuto. Lanciò un'occhiata a Izuku, per ottenere il suo tacito consenso e poi accettò: «Signora, ne sarei davvero onorato.»

Izuku osservava la madre sorridere a Katsuki, con quel calore accogliente che solo lei sapeva offrire. Era così strano vedere quelle due figure della sua vita riunite, due mondi che aveva sempre considerato separati, ma che in qualche modo si intrecciavano ora, davanti a lui. Nonostante gli anni, Izuku sentiva ancora una certa incertezza verso quell'uomo, ma adesso percepiva anche un conforto sottile nel sapere che aveva fatto ammenda, che aveva lasciato la strada di prima e trovato la pace che gli era sempre sembrata così lontana.

La madre di Izuku parlava con Katsuki come se lo conoscesse da sempre, riempiendo il silenzio con domande e racconti sui suoi giardini, i vicini, i progetti per la casa. E Izuku si accorse che Katsuki rispondeva con una gentilezza sincera, raccontando alcuni aneddoti della sua nuova vita, della gestione dell'azienda di famiglia. Lo faceva con un tono rispettoso e calmo, diverso dall'uomo fiero e combattivo che Izuku aveva conosciuto anni prima.

Durante la cena, Izuku osservava il volto di Katsuki, ora segnato dalla maturità e da quella cicatrice profonda che aveva cambiato l'aspetto di lui in modo netto, conferendogli un'aria vissuta e quasi misteriosa. L'uomo si muoveva con una tranquillità che sembrava quasi innaturale, gesti misurati e pacati, lontani da quella frenesia irrequieta che aveva caratterizzato il loro primo incontro. Era chiaro che qualcosa in lui fosse davvero cambiato.

Dopo cena, la madre di Izuku si ritirò, lasciandoli da soli nel piccolo salotto, addobbato già con corone di pino e candele e fiocchi di raso rosso e oro sopra il camino in vista delle imminenti festività natalizie; il silenzio tra loro divenne quasi tangibile. Katsuki osservava con interesse una fotografia di Izuku giovane, insieme ai suoi colleghi della polizia, un ritratto scattato il giorno della sua promozione.

«Hai fatto molta strada,» commentò Katsuki, quasi con una punta di orgoglio. «Eri sempre stato determinato, e a quanto pare non hai mai mollato. Quello che hai fatto per la tua città... è stato straordinario.»

Izuku scrollò le spalle, cercando di nascondere l'imbarazzo. «Non è stato sempre facile.» ammise, «Ma avevo fatto una promessa a me stesso e sapevo di doverla mantenere. Con o senza di te, no? E mi sono un po' messo il cuore in pace, sapendo che non... che davvero non ti avrei proprio mai più rivisto...»

Katsuki annuì lentamente, come se comprendesse appieno il significato delle parole di Izuku. Si voltò verso di lui, e i loro sguardi si incrociarono, carichi di emozioni, inespresse per entrambi. «Izuku...» iniziò, con un tono più grave: «Non credo che smetterò mai di ringraziarti per avermi salvato quel giorno. Se non fosse stato per te, probabilmente sarei rimasto inghiottito da un abisso senza uscita.»

Il poliziotto abbassò lo sguardo, trattenendo un lieve sorriso. «Sono stato troppo superficiale. Dovevo, ecco... Dovevo evitare che tu scappassi così. E per molto tempo, dopo che te ne sei andato, mi sono sentito un completo idiota... per averti creduto.».

«Perchè ho capito che eri un credulone. E mi sono preso un po' gioco di te.», rispose rapidamente il biondo, accarezzando con i polpastrelli il bordo del bicchiere da cui aveva appena bevuto e poi posato sul tavolino accanto alla poltrona, prima di accomodarsi, osservando il fuoco. «Ma solo in parte...».

«E i soldi?» chiese poi Izuku, la voce carica di un misto di confusione e rabbia repressa alle parole che aveva appena udito. «Quei soldi che mi facevi arrivare ogni anno? Perché ho sempre saputo che erano da parte tua... Anche... anche se non avevano nessun biglietto, nulla... Io sapevo che erano tuoi...Che fossero, non lo so...»

Katsuki scosse la testa, un'espressione seria sul volto. «Erano un indennizzo, Izuku. Una parte di tutto quello che ti devo. Che non sarà mai abbastanza, credimi... Quel giorno tu mi hai volutamente salvato la vita. Hai messo a rischio una carriera brillante per un criminale che doveva solo morire. E, anche se non era tua intenzione, in quel modo mi hai salvato anche da me stesso.»

Izuku sentì il petto stringersi. Katsuki parlava con una sincerità che non aveva mai sperimentato prima: non c'era più arroganza, nessuna traccia del vecchio uomo spavaldo che conosceva.

La stanza era calda, un piccolo rifugio contro il freddo tagliente che arrivava dall'esterno. Il crepitio del fuoco nel camino era l'unico suono a riempire lo spazio, accompagnato dal movimento ritmico delle fiamme che danzavano, riflettendosi sulle pareti in ombre tremolanti. Izuku restò in piedi davanti al camino, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, le spalle rilassate, ma il volto serio. Lo sguardo era fisso sulle braci ardenti, perso in pensieri che Katsuki non poteva conoscere, ma che avrebbe voluto comprendere.

«Non ho mai saputo se accettarli fosse giusto...» mormorò Izuku, quasi tra sé.

Katsuki s'era sporto, un po' inclinato in avanti, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani intrecciate. Lo osservava in silenzio, lasciando che il momento si allungasse e si alleggerisse.

Era sempre stato bravo a leggere la gente, ma con Izuku ora era diverso. Lui era diverso.

Il riflesso delle fiamme gli accendeva i contorni del viso, illuminandone la linea della mascella e il profilo deciso.

Izuku era bello, e non era la prima volta che Katsuki lo pensava. Forse non lo avrebbe mai detto ad alta voce – non sapeva nemmeno se ne sarebbe mai stato capace – ma c'era qualcosa in lui che lo tratteneva, lo spingeva a guardarlo più a lungo di quanto avrebbe dovuto. Non era solo il suo aspetto, ma anche l'aria che lo circondava, un misto di calma apparente e una forza interiore che si percepiva appena sotto la superficie.

Anche Izuku era cambiato rispetto a quegli anni difficili in cui si rincorrevano come un gatto fa col topo. Era un po' più alto, più robusto di spalle, con un portamento che suggeriva sicurezza e fermezza. Ma c'era ancora quel lampo negli occhi, quella scintilla che Katsuki ricordava, che lo aveva sempre affascinato senza che comprendesse bene il motivo. Anche adesso, mentre lo guardava fissare il fuoco con un'espressione assorta, si sentiva preso da una strana ammirazione, da qualcosa che gli stringeva il petto e lo lasciava senza fiato.

La luce del camino accentuava i suoi capelli disordinati, rendendoli quasi dorati sulle punte, e metteva in risalto i lineamenti decisi del suo viso, ma che conservavano quella morbidezza sulle guance tipica della fanciullezza. Eppure, non era solo la bellezza fisica che attirava Katsuki. Era quella serietà, quel modo di stare in piedi come se portasse il peso del mondo sulle spalle, ma senza mai cedere del tutto. E pensò, per l'ennesima volta, a quanto fosse ridicolo che proprio lui – che aveva sempre vissuto seguendo solo i propri istinti – fosse attratto da qualcuno che sembrava fatto di puro autocontrollo e cieca determinazione.

Si ritrovò a chiedersi cosa stesse pensando Izuku, cosa vedesse quando guardava il fuoco. Se stesse ripensando al loro passato o se, come spesso accadeva a Katsuki, fosse già proiettato verso qualcosa di più grande, qualcosa di cui lui probabilmente non avrebbe mai fatto parte. Un piccolo sorriso gli sfiorò le labbra mentre abbassava lo sguardo sulle mani, quasi imbarazzato da se stesso. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli nulla, non quando finalmente aveva trovato una pace nella sua vita, non quando sapeva che Izuku meritava molto di più di quanto lui potesse mai offrirgli.

Ma in quel momento, seduto lì, osservandolo in silenzio, non poteva negare che una parte di lui desiderasse che Izuku si voltasse, che incrociasse il suo sguardo e gli desse qualche segno, qualsiasi cosa, per fargli sapere che non era solo lui a sentire quel nodo in gola, quella tensione sottile e costante che sembrava avvolgere quel loro nuovo incontro.

«Ma lo hai fatto. Li hai accettati... E hai fatto bene, perchè so che li hai usati per tua madre, per le sue cure. E credimi che è stato il minimo che io potessi fare.»

Izuku rimase immobile, gli occhi fissi sulle fiamme, mentre Katsuki continuava a osservarlo come se cercasse di memorizzare ogni dettaglio, ogni linea, ogni ombra, consapevole che, nonostante tutto, quel momento non sarebbe mai stato abbastanza.

Il poliziotto sorrise appena, guardandolo di sottecchi, cogliendolo in flagranza di reato e godendo del rossore sulle guance di quell'ex criminale ora redento. «Allora siamo pari. Credo.».

Rimasero in silenzio, un sorriso sincero tirava le labbra di entrambi mentre si osservavano e il mondo intorno a loro che sembrava quasi svanire. Dopo un momento però, Izuku, in un impeto di curiosità e forse nostalgia, si voltò verso di lui e chiese: «Quindi? Alla fine... Hai messo su famiglia, Katsuki?»

L'uomo ridacchiò, scrollando le spalle prima di appoggiarsi allo schienale della poltrona. «Nah! Non sono il tipo, te l'ho detto. Certo... Ho avuto le mie opportunità in questi anni, ma non è mai sembrata la cosa giusta da fare.» Katsuki rise sottovoce, un suono breve e basso, mentre accennava un sorrisetto che gli increspava appena il viso segnato dalla cicatrice. Si passò una mano tra i capelli, disinvolto come sempre, ma con uno scintillio nei suoi occhi rossi che sembrava quasi curioso, persino divertito. «E tu, sbirro? Con quella divisa da gran capo e la faccia seria da eroe, scommetto che hai la fila di ragazze pronte a conquistarti, eh?», disse con un tono ironico, alzando un sopracciglio. «Chissà quante ti aspettano fuori dal commissariato con il pranzo fatto in casa.»

Izuku alzò gli occhi al cielo, fingendo di ignorare la presa in giro, ma la piega appena accennata delle sue labbra tradiva un sorriso. Scosse la testa lentamente, prendendosi un momento prima di rispondere.

«Non è proprio così semplice...», mormorò, la voce più tranquilla di quanto si aspettasse. «Vedi, nonostante tutto... nonostante i nostri discorsi di allora, nonostante quello che è successo quando ero ubriaco...», fece una pausa, abbassando brevemente lo sguardo prima di tornare a fissare Katsuki con intensità: «Non ho mai trovato la persona giusta. Qualcuno che mi facesse capire davvero che quella strada era quella giusta da percorrere.»

Le sue parole erano calme, ma il loro peso sembrava riempiva l'aria, rendendola quasi densa. Non c'era imbarazzo nel modo in cui Izuku lo guardava, ma piuttosto una sincerità disarmante, una trasparenza che Katsuki non si aspettava. Quegli occhi verdi sembravano scavare sotto la sua pelle, spingendo verso una verità che non voleva ammettere nemmeno a se stesso.

Il biondo si irrigidì appena, lasciando cadere la sua espressione spavalda. Non disse nulla, ma il suo sguardo si fece più serio, quasi interrogativo, come se stesse cercando di decifrare ogni sfumatura di quel momento e di quelle parole. Gli sembrava impossibile che Izuku intendesse ciò che il suo cuore desiderava credere, eppure non poteva ignorare quel silenzio teso, quella connessione che si era creata all'improvviso, senza bisogno di parole.

Izuku sostenne il suo sguardo, un lieve rossore sulle guance, ma senza mai abbassare gli occhi. Sperava che Katsuki capisse, che leggesse tra le righe di ciò che aveva detto. C'erano cose che non poteva dire apertamente, ma il modo in cui lo guardava, il modo in cui le sue parole erano state scelte con cura, dicevano più di quanto avrebbe mai avuto il coraggio di ammettere.

Katsuki rimase immobile, i suoi occhi rubino fissi su di lui. Per un attimo, sembrò quasi voler dire qualcosa, ma si trattenne, serrando appena la mascella. Alla fine, il suo solito sorriso sghembo tornò sulle sue labbra, anche se c'era qualcosa di più morbido, più umano, nel modo in cui lo guardava. «Beh, sbirro...», disse infine, con un tono che sembrava quasi scherzoso, ma con una sfumatura più profonda, «Forse non hai cercato nel posto giusto. O forse...», fece un breve cenno con il capo verso di lui, «Forse non ti sei accorto di chi avevi davanti.»

Izuku non rispose subito. Gli occhi di entrambi rimasero fissi l'uno sull'altro, il silenzio tra loro più eloquente di qualsiasi parola. Il poliziotto, colto alla sprovvista dalla svolta improvvisa della conversazione, decise di sviare il discorso. Fece scorrere lo sguardo verso il fuoco che stava ormai morendo nel camino e chiese, con un tono che tentava di essere il più disinteressato possibile: «Allora... che intenzioni hai ora? Cosa farai?»

Katsuki si stiracchiò sulla poltrona, come un felino che decide di rimettersi in movimento. Con un movimento lento e fluido, si alzò, prendendo il bicchiere di whisky dal tavolino accanto e finendolo in un unico sorso il liquido ambrato in un attimo. Fece una smorfia soddisfatta e si voltò verso Izuku. «Vado verso casa.», disse infine, con il tono rilassato che lo aveva sempre contraddistinto. Prese il cappotto, lo infilò con gesti rapidi e si avvolse la sciarpa intorno al collo. «Si è fatto tardi.»

Izuku si sentì attraversare da una punta di delusione, un piccolo peso che si posava sul suo petto. Sperava di poter trattenere Katsuki ancora un po', anche solo per parlare, per prolungare quella serata che gli sembrava così piena di significati taciuti. Nonostante tutto, si mosse con lui verso la porta, mantenendo il suo solito autocontrollo.

Arrivati all'ingresso, Katsuki afferrò il cappello che aveva lasciato sull'attaccapanni. Fece per metterlo in testa, ma si fermò di colpo. La sua mano rimase sospesa a mezz'aria, il cappello stretto tra le dita. Si girò verso Izuku, e nei suoi occhi brillava qualcosa di diverso: una tenerezza insolita, un calore che contrastava con il suo solito atteggiamento sfrontato.

Sorrise. Non il suo solito sorriso di sfida, ma uno più morbido, più sincero. Senza dire una parola, si avvicinò a Izuku, il suono dei suoi passi attutito dal tappeto dell'ingresso. Prima che Izuku potesse rendersi conto di ciò che stava succedendo, Katsuki gli afferrò il viso con entrambe le mani e lo baciò.

Izuku rimase immobile per un istante, preso alla sprovvista dalla fermezza e dalla dolcezza di quel gesto. Il bacio era deciso, ma non aggressivo, carico di una promessa silenziosa, di qualcosa che era rimasto sospeso tra loro per anni. Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare per un momento che sembrò dilatarsi all'infinito.

Quando poi Katsuki si staccò, rimase vicino a lui, i loro volti separati solo da un soffio. «Ci rivedremo.», mormorò, con un tono che portava con sé una ventata di speranza e di tenera attesa. «E stavolta non ci vorranno anni.»

Prima che Izuku potesse rispondere, Katsuki si mise il cappello, si girò e aprì la porta. Il freddo della sera entrò nella casa, ma Izuku quasi non lo sentì. Rimase immobile sull'uscio, il cuore che batteva forte, mentre guardava Katsuki percorrere con passo deciso il vialetto di casa, fino a sparire nella notte.

Quando chiuse la porta, Izuku si ritrovò a fissare il legno per un lungo momento, le dita che sfioravano appena le labbra, ancora calde dal bacio, abbozzando un sorriso, perchè per la prima volta in anni, sentì che una parte del suo passato, quella che lo aveva tormentato a lungo, finalmente trovava pace.

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