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Il silenzio cadde nella stanza, rotto solo dal crepitio della legna nella stufa. Izuku si avvicinò alla finestra, fissando la città che stava lentamente scivolando verso il crepuscolo, la neve che cadeva leggera sui tetti e sulle strade. Il rumore della vita al di fuori di quella stanza sembrava lontano, quasi irreale rispetto al turbinio di pensieri e sentimenti che si stavano accumulando dentro di lui.

Katsuki si era messo a riposare, o almeno sembrava, anche se il detective dubitava che fosse davvero in pace. Così si decise di preparare lo stufato per la cena.

Non passò molto tempo prima che Katsuki si muovesse di nuovo, incapace di restare tranquillo. Si voltò  a seguire Izuku con lo sguardo, mettendosi a sedere, un sorriso ironico dipinto sul volto, come se avesse appena escogitato un nuovo modo per provocarlo.

«Oi.»

«Mh?»

«Sai, pensavo... pensavo che un detective guadagnasse abbastanza da permettersi qualcosa di meglio di... questa topaia

Izuku si voltò appena e lo guardò di sbieco, stringendo la mascella. Non aveva voglia di discutere, ma era difficile ignorare Katsuki quando iniziava con quelle frecciatine. «Non è una topaia! È una casa dignitosa...», rispose, asciutto.

«Dignitosa per me è ben altro...»

Strinse la presa sul coltello mentre si voltava a guardarlo, torvo, decidendo di dire la verità a quel criminale impertinente. O almeno una parte di essa. «È solo una casa provvisoria.», disse, la voce calma mentre tornava a pelare le patate e a tagliarle a tocchi dentro la pentola annerita. «Vivo qui solo temporaneamente perché mia madre abita lontano, e gran parte del mio stipendio va per mantenerla. È anziana... e non sta bene.»

Katsuki lo fissò per un attimo, gli occhi leggermente socchiusi, come se stesse valutando le parole di Izuku. «Tua madre, eh?», mormorò, il tono più riflessivo del solito. Poi alzò un sopracciglio, il ghigno che tornava a incurvarsi sulle sue labbra. «Con tua madre? A quest'età? Pensavo che un tipo come te, così tutto d'un pezzo, fosse già sposato! Magari con dei figli... Non ti ci vedo bene a fare il detective e a vivere ancora con mammina!».

Izuku si voltò di scatto, puntando il coltello nella sua direzione: «Non nominarla nemmeno. Non ne hai il diritto.»

Ma Katsuki allargò il ghigno in un sorriso di scherno, felice di aver trovato un vero punto debole.

«Quindi, è per questo che non ti sei ancora sistemato? Troppo occupato a fare il bravo figlio per trovare una brava mogliettina, giusto?»

Izuku, che stava tagliando le patate per la cena, si fermò per un istante, sentendo il rossore salire alle guance.

Non voleva rispondere a quella provocazione, ma la battuta di Katsuki lo colpì in un punto dolente. Senza sollevare lo sguardo, mormorò: «Non ho mai avuto molto tempo per... queste cose.»

Katsuki lo guardò con una nuova luce negli occhi. «Oh?», fece, curioso. «E perché mai? Un uomo come te, tutto preso dal dovere... Mi stupisce che non ci sia nessuna donna che ti aspetta a casa... Nessuna che ti scrive lettere d'amore? Eppure dovresti stenderle tutte con quel bel faccino!»

Izuku deglutì, cercando di mantenere la calma, tornando a concentrarsi sul coltello e sulla patata che stava finendo di pelare. «Il... Il lavoro mi ha sempre occupato la mente. Non ho mai pensato troppo a... a... altro. Non mi è mai sembrato davvero importante.»

Katsuki ridacchiò, con quell'espressione a metà tra il divertito e lo sprezzante. «Ah, capisco. Il grande detective che non ha tempo per una moglie perché è troppo impegnato a fare giustizia nel mondo!», si provò a mettere a sedere, appoggiandosi con la schiena alla testiera del letto, il solito sorrisetto sempre presente. «E perché non hai mai trovato il tempo? O è che non c'era nessuno che ti interessasse davvero?»

Izuku si fermò di nuovo, la lama del coltello sospesa a mezz'aria.

Non era mai stato bravo a parlare di sé, e soprattutto non con un uomo come Katsuki, che sapeva di sicuro come sfruttare ogni parola a suo vantaggio. Ma c'era qualcosa, in quell'insistenza che lo faceva riflettere.

Era davvero stato così concentrato sul lavoro da non aver mai lasciato spazio per il resto?

«Non è... non è una questione di interesse o meno...», rispose, cercando di mantenere il controllo. «Ho sempre avuto altre priorità. E poi, la vita non è semplice come sembra... Non basta volere qualcosa perché accada...»

Katsuki lo fissava, ma per una volta non sembrava volerlo ridicolizzare. «Vero. Ma alla fine sei tu che decidi quali sono le tue priorità, no? O ti hanno convinto anche su questo? Magari c'è stato qualcuno che ti ha detto che dovevi fare il bravo poliziotto, tutto dedito alla legge e al dovere, e tu ci hai creduto!»

Izuku sentì una fitta allo stomaco e il coltello slittò sulla buccia della patata: le parole di Katsuki lo colpirono più di quanto volesse ammettere.

Aveva sempre scelto il lavoro perché lo desiderava ardentemente, perchè voleva giustizia. Perchè... O si sentiva solo in dovere di farlo?

Cercò di scrollarsi di dosso quei pensieri, ma sapeva che Katsuki non avrebbe mollato facilmente.

«Il lavoro ha sempre avuto la precedenza.», tagliò corto.

«Beh... sai com'è... alla tua età, uno si aspetterebbe di vederti con una famiglia, qualche marmocchio che ti corre attorno alle gambe. Magari una bella mogliettina a casa a preparare un bello stufato... come stai facendo invece tu a me, no?»

Izuku abbassò lo sguardo, come se le parole di Katsuki lo avessero colpito più profondamente di quanto volesse ammettere. Era una battuta, un'altra delle tante che Katsuki lanciava senza pensarci troppo, ma questa volta sembrava aver toccato qualcosa di più delicato, un nodo che Izuku non voleva, o forse non sapeva, sciogliere.

Il silenzio si fece pesante nella stanza. Il crepitio del fuoco era l'unico rumore che riempiva quello spazio, mentre Izuku si trovava costretto a fare i conti con una verità che cercava di nascondere persino a se stesso.

Alla tua età, uno si aspetterebbe di vederti con una famiglia.

Quelle parole rimbombavano nella sua mente come un eco sordo.

Perché non aveva mai preso quella strada? Perché ogni volta che qualcuno menzionava la possibilità di una moglie, di figli, lui sentiva un vuoto gelido crescergli nel petto?

Era il lavoro, certo. Il lavoro gli aveva sempre dato uno scopo, una via chiara da seguire.

Ma era davvero solo questo? O era più facile rifugiarsi nel dovere, piuttosto che affrontare ciò che realmente sentiva dentro di sé?

Strinse forte il coltello nel pugno.
Aveva imparato da sua madre che certe cose erano semplicemente sbagliate.

E lei era stata la sua roccia, l'unica a rimanere dopo che suo padre se n'era andato per sempre. E lui... lui non avrebbe mai potuto deluderla. Non dopo tutto quello che avevano passato insieme.
La sua fede, il Vangelo che gli leggeva ogni sera, gli avevano sempre insegnato che certi desideri erano un peccato, una deviazione dalla strada giusta.

Izuku credeva fermamente che cedere a quei pensieri, a quelle pulsioni che a volte lo tormentavano in silenzio, sarebbe stato un tradimento verso la madre e verso Dio stesso.

Sbagliato.

Quella parola gli balenava in testa, pungente come una ferita aperta.

Ma allora perché, ogni volta che Katsuki faceva una battuta volgare, lo faceva arrossire? Perché, nonostante il fastidio e l'imbarazzo, sentiva quel sottile filo di curiosità? Un filo che, per quanto tentasse di ignorare, sembrava farsi sempre più difficile da spezzare?

E sapeva di sentirsi in trappola.

«Il lavoro ha sempre avuto la precedenza.», ribadì, infine, la voce priva di emozioni, come se stesse recitando una formula vuota.

Ma la verità... la vera verità, era che il lavoro gli aveva permesso di non affrontare mai ciò che davvero provava. Si era nascosto dietro il dovere, dietro il desiderio di avere una qualche personale giustizia, perché altrimenti sarebbe stato costretto a guardare dentro di sé.

E lì, come aveva detto Katsuki, in quell'angolo oscuro della sua anima, c'era qualcosa che non voleva vedere. Qualcosa che lo faceva sentire sporco, inadeguato. Un peso che portava con sé ogni giorno, senza mai potersi liberare.

Katsuki, intanto, non sembrava accorgersi del tumulto interiore che stava travolgendo Izuku. Con la sua solita aria provocatoria, continuò a parlare, senza rendersi conto di quanto invece stava scavando a fondo. «Beh, comunque... non è che sto dicendo che dovresti per forza trovarti una moglie, eh! Magari, sai... è proprio perché passi troppo tempo da solo. Non è naturale! La gente ha bisogno di compagnia e credo proprio che anche un poliziotto tutto d'un pezzo come te si meriti un po' di svago! O forse... forse non ti piacciono le donne. Ecco perché non hai ancora messo su famiglia.»

Izuku sentì il sangue raggelarsi. Quella frase, buttata lì con un ghigno beffardo, colpì dritto al cuore. Katsuki rideva, come se fosse tutto un gioco, ma non sapeva quanto vicino fosse alla verità. Izuku si irrigidì, sentendo le spalle farsi tese come corde pronte a spezzarsi.

Non è naturale.

Quelle parole, le aveva sentite così tante volte, dalla Chiesa, dai sacerdoti, persino da sua madre. La verità era che quella parte di sé non l'aveva mai ammessa nemmeno con se stesso, e ora... non poteva permettersi di farlo.

Katsuki, vedendo che Izuku era rimasto in silenzio, decise di rincarare la dose. Sapeva che il poliziotto era un osso duro, ma anche le pietre, se colpite nel punto giusto, si possono scalfire.

«Sai cosa, sbirro?»  riprese con un ghigno. «Appena mi rimetto, ti porto in un posticino che conosco! Un bel bordello. Niente di raffinato, eh, ma le ragazze sono pulite e gentili... e ti farebbe bene, sai? Giuro che ti sentiresti subito meglio. Basta con tutte queste storie di giustizia e criminalità! Sfogati su una bella puttana e vedrai che ti sentirai come nuovo!»

Izuku arrossì furiosamente, incapace di trovare le parole per ribattere a una simile provocazione. «Sei un... sei un...»

Katsuki rise forte, chiaramente divertito dal disagio di Izuku. «Cosa? Sto solo cercando di aiutarti! Meglio una sana scopata che sfogare la tua frustrazione repressa sulla gente come me, no?»

Izuku sentì un'ondata di calore salire dal collo fino alle guance. Non era solo l'imbarazzo. Era la rabbia, il disagio di sentirsi messo a nudo da Katsuki, come se quello sapesse troppo. Il criminale non sapeva, non poteva sapere, ma le sue parole andavano a toccare corde che Izuku cercava di tenere nascoste, ben protette. La tensione era palpabile. Izuku, invece di rispondere, strinse i denti e guardò verso il pavimento, come se volesse scomparire tra quelle assi consunte.

«Ti ho detto che... che non è questo!», Izuku balbettò, cercando disperatamente di trovare una risposta che non lo mettesse ancora più in imbarazzo. «Non sono interessato...» mormorò, ma la sua voce mancava di convinzione.

«Oh, non dire così. Sai che non ti credo, no? Perché non lo fai? Forse ti senti un incapace per la tua poca esperienza? Sai... quelle ti insegnano tutto quello che vuoi! E poi, una sveltina non ha mai fatto male a nessuno!.». Poi Katsuki rise, una risata dura, carica di sarcasmo, ma c'era una scintilla nei suoi occhi, come se avesse trovato un nuovo modo per tormentare Izuku. «Magari hai solo bisogno di fartelo menare un po'. Alla fine arrangiarsi stanca!», e accompagnò quelle parole ad un gesto volgare fatto con la mano che colpì Izuku come un pugno allo stomaco.

Il suo cuore accelerò all'improvviso, una scarica di adrenalina che lo fece sentire ancora più esposto, come se Katsuki stesse scavando dentro di lui con troppa facilità. La verità era che si sentiva soffocare sotto il peso di quella conversazione, e la rabbia iniziava a montare dentro di lui rendendolo incapace di pensare lucidamente..

E non poteva permettere che Katsuki continuasse. Non poteva farlo.

Izuku si voltò di scatto, la voce più ferma di quanto si aspettasse. «Perché devi fare così?» chiese, con un tono tagliente. «Perché devi fare lo stronzo? Perché non puoi... non puoi semplicemente... smettere?»

Il criminale lo fissò per un momento, la sua solita arroganza sembrò scivolare via per un attimo.

Katsuki lo guardava con un'espressione di pura sfida, come se sapesse esattamente dove colpire. E fu in quel momento, vedendo la reazione di Izuku, che un pensiero gli si palesò chiaro alla mente. Un pensiero che si trasformò in un sorriso malizioso ancora più ampio. «Aspetta un attimo...», mormorò, gli occhi che si socchiudevano con aria predatoria. «Ci ho azzeccato...»

Izuku si irrigidì, avvertendo la piega che stava prendendo il discorso. «Cosa?»

Qualcosa si era acceso nella mente di Katsuki. Un pensiero, che prima era simile a un sussurro nel vento. Ripensò a tutte le volte in cui Izuku aveva risposto con silenzi o imbarazzi alle sue provocazioni su sesso e al modo in cui evitava certi argomenti. A come si era irrigidito quando aveva parlato di donne e famiglia.

Non era solo la tipica timidezza, quella che si aspettava da uno come lui. C'era qualcosa di più profondo, di più intenso. Una ritrosia che sembrava andare oltre l'insicurezza o l'inadeguatezza.

Il modo in cui Izuku si stringeva nelle spalle ogni volta che il discorso si faceva più spinto, come se portasse un peso segreto che non voleva condividere.

Katsuki aggrottò la fronte, mettendo insieme i pezzi. La sua mente scivolò, in maniera quasi automatica, verso una conclusione che lo fece irrigidire. Dopotutto, non era del tutto strano per lui aver visto quel comportamento, soprattutto nell'ambiente in cui si muoveva, tra delinquenti e gente di strada. Uomini che nascondevano desideri proibiti, che vivevano doppie vite per paura di essere scoperti. Il silenzio improvviso di Izuku, il suo comportamento riservato... cominciavano a prendere una forma sinistra.

Katsuki si schiarì la gola, il ghigno che stava per affiorare sulle sue labbra si trasformò in una smorfia. «Aspetta un attimo...» mormorò, con tono più serio di quanto avesse voluto. «Cosa c'è, mh? È questo il problema, vero?»

Izuku fermò di nuovo il coltello, affondato nel pezzo di carne che stava piacendo a tocchetti, le spalle tese. Non si voltò, ma Katsuki notò il leggero tremito che attraversava il suo corpo.

Per un istante, nella stanza calò un silenzio opprimente, rotto solo dal crepitio delle fiamme nel camino.

Katsuki lo scrutò, quasi incredulo.

Non è possibile...

Eppure, tutto tornava. Tutti i dettagli, tutti quei momenti di tensione, di imbarazzo...

«Dio santo...» mormorò infine, con una risata forzata, cercando di non mostrare quanto quella realizzazione lo avesse colpito. «Non mi dire che è proprio così... Sei un frocio...»

Un lampo di comprensione attraversò gli occhi di Katsuki nell'osservare il capo di Izuku che era indeciso se voltarsi a guardarlo o meno.

Quando i loro sguardi si incrociarono, per un breve istante, nessuno dei due riuscì a parlare.

Per Izuku quella consapevolezza, arrivata tutta in un colpo a causa di troppe domande scomode, era come essere stato colto in flagranza di reato, un abominio da nascondere.

«Certo che sì...» continuò Katsuki, ma la sua voce si era fatta più bassa, quasi riflessiva. «Ecco perché non ti sei mai sposato. Ecco perché ti dà tanto fastidio quando parlo di donne! Merda... davvero?»

Il pensiero di cosa quella situazione comportasse per un uomo come Midoriya Izuku, lo fece riflettere; si immaginò la paura che doveva provare, il terrore di essere scoperto, giudicato e punito per qualcosa che non poteva cambiare.

Katsuki si morse l'interno della guancia, cercando di mantenere il controllo su quella nuova informazione. Era sempre stato brutale e diretto, ma c'era qualcosa, in quella scoperta, che lo aveva reso esitante.

La voglia di sfruttare quella debolezza, di far sentire Izuku ancora più piccolo e vulnerabile, si scontrava con un'altra parte di lui, più razionale, che capiva il pericolo di affondare troppo il coltello e rischiare di farsi male a propria volta.

Izuku non si voltò, ma la tensione nel suo corpo era ben percepibile: non c'era più modo di nascondersi. Aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, ma non aveva mai immaginato che sarebbe stato proprio Katsuki a scoprirlo, a dare un nome a ciò che provava... a quel misto di vergogna, di senso di colpa, che ora lo travolgevano come un'onda, lo schiacciavano come un peso che gli pesava sul petto. Sentiva la gola secca, incapace di articolare una risposta.

Non rispose subito, e Katsuki capì che aveva colpito nel segno.

Dio... mia madre...

Il pensiero della sua fede, di quello che avrebbe potuto dire, lo paralizzava.

Aveva pregato tante volte, chiedendo di essere "guarito", di non dover portare quel segreto vergognoso. Eppure, non era cambiato nulla.

Katsuki, vedendo che Izuku non rispondeva, smise di ridere. Non c'era più nulla di divertente in quella situazione. Si accigliò, quasi irritato dal silenzio imbarazzato del poliziotto.

«Non... Non è come pensi,» mormorò infine Izuku, ma la sua voce tremava, spezzata dall'emozione. «Non volevo... Non volevo essere così.»

Katsuki lo fissò, per un attimo incapace di rispondere. Non sapeva cosa dire, non sapeva come rispondere a quella confessione. Parte di lui voleva fare un'altra battuta crudele, ma un'altra parte, quella che aveva imparato a essere vulnerabile almeno per un momento, lo trattenne.

Ma poi, in un'esplosione di rabbia e frustrazione, sbottò. «E allora tu?!» gridò il poliziotto, i pugni serrati lungo i fianchi, le guance imporporate dall'imbarazzo. «Tu che fai tanto il gradasso... ce l'hai qualcuno che ti aspetta? O sei solo bravo a parlare e basta?»

Katsuki si fermò per un istante, sorpreso dalla reazione del poliziotto, ma poi rise di nuovo, stavolta con una nota più sincera. «Oh, ho molte donne che mi aspettano, in realtà. Tante che vorrebbero accasarsi con me... Magari pure sposarsi, avere una famiglia. Ma sai cosa?»., si sporse in avanti, con un sorriso sardonico. «Non mi importa. Non mi interessa se è una donna o no. Alla fine, gli uomini danno più soddisfazioni... e meno rischi di mettere al mondo bocche urlanti che ti prosciugano il conto in banca!»

Izuku restò per un lungo momento in silenzio, fissando il criminale seduto sul suo letto.

Le parole di Katsuki, così sfacciate e imprevedibili, lo avevano colpito nel profondo. Non si aspettava una confessione così diretta, e, per quanto cercasse di ignorarla, sentiva il peso di quelle parole gravare su di lui. Katsuki, ovviamente, si accorse del suo turbamento e non poté fare a meno di farci sopra una delle sue battute. «Che c'è, sbirro? Ti ho sconvolto? Forse è solo un altro motivo per arrestarmi, eh?» La sua voce era piena di sarcasmo, ma c'era anche una sfumatura quasi provocatoria, come se stesse davvero cercando di capire fino a che punto poteva tirare la corda con Izuku.

Il poliziotto deglutì a fatica, e, alla fine, parlò con voce sommessa, senza guardarlo negli occhi. «Non ho il diritto di giudicarti.», mormorò, ripensando alle parole del Vangelo che sua madre gli aveva insegnato quando era bambino. «Chi è senza peccato scagli la prima pietra...».

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