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Cute

Izuku si avvicinò di nuovo a Katsuki con passi lenti e incerti, trattenendo il respiro mentre stringeva e stropicciava tra le mani la maglietta intima in lana, indispensabile per sopportare meglio il freddo inverno newyorkese.  L'agitazione gli martellava in petto, e le mani non riuscivano a smettere di tremare. Izuku strinse di più quel pezzo di stoffa tra le mani, cercando di ignorare il modo in cui Katsuki lo osservava con quello sguardo divertito e provocatorio. Avrebbe voluto essere più sicuro di sé, ma ogni mossa che faceva sembrava goffa e impacciata, e il biondo non faceva nulla per rendere la cosa più facile. «D'accordo... mettiamo questa...», disse il poliziotto, la voce leggermente tremante, mentre cercava di far passare la maglietta oltre la testa di Katsuki.

Appena provò a sollevargli le braccia, però, si rese conto di un problema: Katsuki, in piedi lì con il suo sorrisetto sornione, era un po' più alto di lui, e Izuku non riusciva a far scivolare la maglietta con facilità. «Puoi...piegarti per favore?» chiese, il tono imbarazzato, mentre tirava leggermente la maglia, sperando che Katsuki collaborasse almeno un po'.

Katsuki, alzando un sopracciglio, si piegò leggermente in avanti, ma il suo ghigno si allargò. «Piegarmi, eh? Certo, sbirro... ma non mi pare che tu abbia bisogno di tanto aiuto. Te la stai cavando benissimo.». La voce era intrisa di sarcasmo, e ogni singola parola sembrava fatta apposta per infastidire il povero detective.

Izuku sentì il sangue salire alle guance, cercando di ignorare quella maledetta voce che rendeva ogni gesto più complicato. Tentò di infilare le braccia di Katsuki nelle maniche, ma le sue mani tremavano ancora.

Il biondo, immobile come una statua, non fece nulla per facilitargli il compito, godendosi evidentemente la situazione. «Smettila...», sibilò Izuku tra i denti, cercando di non esplodere, mentre si chinava verso terra per riuscire a infilargli i pantaloni.

La lana ruvida della maglietta solleticava la pelle di Katsuki, che continuava a muoversi con piccoli scatti, mentre guardava il poliziotto dall'alto in basso, il divertimento negli occhi cremisi. «Dio... Sei proprio imbranato, sbirro. Davvero... chi ti ha insegnato a fare così?».

Izuku alzò il capo, le dita che ancora arrotolavano l'orlo dei pantaloni e cercavano disperatamente di infilarli sul piede e lungo la caviglia di quel criminale strafottente.

Katsuki si mosse di nuovo e le dita scivolarono dalla loro presa, uno sbuffo contrariato uscì dalle labbra del detective, che tornò ad osservarlo, dal basso, ad arrabbiarsi per l'espressione divertita che vedeva su quel viso spigoloso, perché ogni movimento di Izuku era sempre più impacciato e la cosa sembrava allietarlo terribilmente.

Izuku tirò un po' troppo forte il pantalone, cercando di infilarlo definitivamente, ma Katsuki rimase perfettamente fermo, costringendo il poliziotto ad avvicinarsi sempre di più per fargli infilare anche l'altro gambale. Il respiro di Izuku era affannato, il cuore batteva forte nel petto, e ogni fibra del suo corpo gli urlava di allontanarsi. Ma non poteva. Si sentiva in dovere di finire quell'ingrato lavoro.

Finalmente riuscì a infilare anche l'altra gamba, ma mentre si raddrizzava, troppo in fretta, il bordo del letto lo fece inciampare, e Izuku cadde a sedere sul materasso, proprio di fronte a Katsuki, che esplose in una risata fragorosa, tanto improvvisa quanto sincera. «Sei un disastro completo, sbirro!» disse, quasi piegandosi in due dal ridere. Izuku, ancora più imbarazzato, provò a rialzarsi velocemente, ma le sue mani tremavano ancora, così come le gambe.

«Non c'è niente di divertente!», borbottò, cercando di riprendersi. «Non collabori!»

«Non collaboro?», ripeté Katsuki, continuando a ridere. «Non mi hai chiesto di aiutarti, né di alzare un piede. E poi... Guardati! Sei tutto rosso, impacciato come un ragazzino al suo primo appuntamento. Dai, rilassati. Se non altro, sei riuscito a farmi ridere. Era da un po' che non mi divertivo così!»

Izuku si sistemò i capelli con una mano, cercando di riprendere il controllo della situazione, ma Katsuki continuava a osservarlo con un sorriso sornione. «Perchè dovrei privarmi di una fonte di divertimento assicurato?», aggiunse il biondo, con un tono ora più calmo, ma ancora pungente.

Izuku sentì un'altra ondata di imbarazzo travolgerlo, ma stavolta riuscì a restare in silenzio. Katsuki scosse la testa, divertito. «Ma sai che non sei così tanto male, mh? Con tutta questa tua goffaggine sei quasi carino

Izuku, sentendosi il sangue ribollire per l'offesa e l'imbarazzo, afferrò la camicia di Katsuki dal letto con movimenti bruschi. Non voleva dargliela vinta, non voleva che Katsuki si accorgesse di quanto le sue parole lo avessero toccato. «Stai dritto!», borbottò, la voce appena udibile, mentre si avvicinava e gli infilava la camicia con gesti rapidi e impacciati, il viso rivolto altrove.

Gli girò attorno per sistemargli le maniche, cercando di evitare lo sguardo di Katsuki, ma sapeva che il biondo lo stava osservando, con quel sorriso irritante che sembrava non voler lasciare il suo volto. Quando tornò di fronte a lui per abbottonargli la camicia, le sue dita tremavano ancora, ma cercava di non farlo notare. Il silenzio nella stanza era rotto solo dai piccoli fruscii della stoffa e dal vento che sibilava oltre la finestra, tra le tegole vecchie del tetto, mentre i bottoni venivano chiusi uno ad uno.

Katsuki lo osservava con un'aria di maliziosa soddisfazione. «Oh, guarda un po'...», disse con un sorriso provocatorio. «Ti sei offeso, per caso? Perché ti ho fatto un complimento?», ma Izuku sembrava non badarlo.

«Cristo santo... non ce la fai proprio ad ammettere che ti è piaciuto, eh?». La sua voce era bassa, piena di divertimento, come se stesse godendo a vederlo così vulnerabile.

Izuku non rispose. Si concentrò sull'abbottonare l'ultimo bottone, cercando di ignorare quel sorriso irritante che non si toglieva dalle labbra di Katsuki. Ma il biondo non gli rendeva le cose facili. Anzi, sembrava divertirsi ancora di più a vederlo in difficoltà, soprattutto a vedere come tutta quella assurda agitazione lo aveva fatto sbagliare completamente l'ordine di asole e bottoni e avrebbe così dovuto ricominciare quella maledettissima tortura!

«Sei davvero carino, lo sai?» disse Katsuki con un tono che mescolava provocazione e serietà. Poi, con un piccolo sbuffo, aggiunse: «Ma sei anche altrettanto stupido, sbirro.», e, dicendo questo, gli allontanò le mani dalle asole per abbottonarsi la camicia in autonomia. «Non ho mica male alle braccia, eh. Potrei tranquillamente vestirmi da solo... almeno la parte di sopra...»

Izuku si bloccò per un momento, realizzando quanto fosse stato inutile tutto quello sforzo, ma prima che potesse replicare, Katsuki lo prese in contropiede. Con un movimento rapido del braccio, gli afferrò il mento tra le dita, costringendolo a guardarlo negli occhi, alzandogli il volto nella sua direzione.

Sentì il respiro fermarsi per un istante, mentre il cuore gli batteva forte fin nelle orecchie mentre Katsuki lo fissava, addolcendo lo sguardo mentre piantava quegli intensi occhi vermigli nei suoi.

«Allora, Izuku...», sussurrò, la voce bassa e provocatoria. «Che c'è, mh? Ti imbarazza anche tirarmi su le braghe?». Fece una pausa, gustandosi il momento. «Cos'è? Hai forse paura di toccarmelo?».

Izuku sentì il volto infiammarsi, il battito del cuore accelerare come se volesse scappare anch'esso da quella situazione. Le sue mani, che prima tremavano leggermente, ora sembravano del tutto inermi, incapaci di fare qualsiasi movimento e gli occhi... quelli era impossibile staccarli dal sorriso accattivante che quel criminale sfoggiava. Non sapeva come reagire, e l'espressione sorniona di Katsuki, col volto così vicino al suo, non faceva che peggiorare le cose.

Katsuki gli lasciò il mento di colpo, facendolo allontanare un po' con un gesto brusco. Gli occhi si accesero di un bagliore di divertimento trattenuto, e mentre si ricomponeva, provò a trattenere una risata, ma le sue labbra si incresparono in un sorriso beffardo. Senza dire una parola, iniziò ad abbottonarsi la camicia da solo, scuotendo lentamente il capo.

«Sei proprio un perfetto idiota...» commentò con un tono a metà tra il divertito e l'incredulo, lanciando un'occhiata a Izuku di tanto in tanto.

Il poliziotto era rimasto immobile, ancora impietrito di fronte a lui, con il volto arrossato e lo sguardo fisso nel vuoto. Il silenzio nella stanza era quasi surreale, spezzato solo dal fruscio leggero del tessuto che Katsuki sistemava.

Dopo qualche secondo, il biondo si spazientì: schioccò le dita davanti al volto di Izuku, con forza sufficiente da farlo trasalire. «Ehi, svegliati giovane!», disse, il tono irritato, ma con un accenno di quel divertimento che ancora aleggiava tra loro. «Non dirmi che ti sei congelato lì in piedi.»

Izuku sussultò, distogliendo lo sguardo e arrossendo ancora di più. «Mi... mi scuso...», balbettò, cercando di giustificare il suo stato catatonico, ma le parole gli uscivano incerte e confuse, incapace di formulare una spiegazione sensata per quello che era appena successo.

Con un movimento rapido, si chinò a raccogliere i pantaloni di Katsuki, col cuore gli batteva ancora forte, ma cercava disperatamente di riprendere il proprio controllo, concentrandosi sul compito che doveva portare a termine.

Le sue mani ripresero a tremolare mentre iniziava a far salire i pantaloni con gesti lievi e lenti, facendo del suo meglio per non incrociare lo sguardo di Katsuki e cercando di non spostare o toccare troppo la fasciatura sulla ferita.

L'atmosfera era ancora carica di tensione, ma Katsuki, per un istante, rimase in silenzio, osservandolo dall'alto con un'espressione difficile da decifrare.

Izuku finì n fretta di far salire il tessuto, cercando di salvare quel poco di dignità che gli era rimasta, evitando di guardare l'intimo di lana che lo copriva. «Scusami...» mormorò, la voce spezzata dall'agitazione, quando le dita mancarono un paio di volte il gancio di metallo sulla chiusura del pantalone. Con le orecchie ancora rosse, si chinò di nuovo, questa volta per aiutare Katsuki a infilarsi i calzini, cercando di non guardarlo in faccia.

Il biondo lo continuava ad osservare in religioso silenzio, la risata ormai svanita.

Ogni piccolo gesto di Izuku, ogni balbettio, ogni tremore delle sue mani, lo rendevano... umano. Era come se, in quel momento, Katsuki fosse riuscito a vedere, una volta di più, oltre la facciata rigida e disciplinata del poliziotto.

Per lui c'era qualcosa di affascinante in quelle imperfezioni, in quella goffaggine che lo rendeva così vicino, così reale.

Katsuki non fece più alcun commento provocatorio. Lo lasciò fare, osservandolo con una curiosità nuova, quasi intima, sollevando piano i piedi, uno alla volta, per aiutarlo, noncurante del dolore alla gamba quando ci aveva caricato per un attimo il peso.

C'era qualcosa di strano nel silenzio che si era creato tra loro.

Dopo un momento, Katsuki parlò, ma il suo tono era diverso, quasi riflessivo. «Sai, sbirro... Non sei così male, dopotutto.» Il solito sarcasmo nella voce sembrava meno tagliente. «Anche se ti ho trattato di merda, continui ad aiutarmi. Vuol dire che sei davvero una persona buona...»

Izuku alzò lo sguardo, sorpreso da quella dichiarazione, le mani ancora impegnate a sistemare i pantaloni di Katsuki. Non era abituato a sentirlo parlare in quel modo, e la cosa lo disorientava. Balbettò una risposta, incerto su come reagire. «Io... magari io sono solo un dannato testardo...»

Katsuki lo fissò per un attimo più lungo del necessario, prima di ridere leggermente. «Forse. O forse sei davvero solo troppo buono e stupido per lasciarmi crepare qui.»

Katsuki continuava a osservarlo con una strana espressione, qualcosa che andava oltre la solita arroganza, mentre il poliziotto sistemava quelle poche cose che aveva lasciato in giro, mentre piegava minuziosamente la sporta di carta e la poggiava accanto alle cipolle.

«Sai...» disse dopo un po' Katsuki la voce bassa e riflessiva, mentre si sedeva di peso sul materasso e continuava a vederlo gravitare per la stanza, come sé quella casa fosse troppo disordinata, come se tutto quel vagare servisse solo per calmarlo un po' dall'agitazione. Però Izuku ogni tanto lo guardava di rimando, e, forse, aveva le orecchie attente nell'ascoltarlo. «...non pensavo che qualcuno potesse sembrare così vulnerabile senza nemmeno volerlo.»

«È un altro dei tuoi complimenti?», disse il poliziotto a voce alta, forte del suo dargli la schiena.

«No. Credo di no.».

Ci fu una pausa, lunga, in cui Izuku sembrava voler tirare giù l'armadio della cucina cercando chissà cosa.

«Non ci ho mai dato peso a queste cose.», continuò il biondo. «Amicizia, relazioni... mi sono sempre sembrate tutte delle stronzate per mammolette. Sarà che ho sempre avuto solo uomini di fiducia attorno... mai amici veri...»

Izuku si fermò un attimo, sorpreso dall'improvvisa sincerità di Katsuki.

«Non che tu ne abbia mai avuti di amici, dico bene?» continuò Katsuki, quasi con tono nostalgico. «Anche tu sembri uno che ha vissuto la propria vita da solo.».

Il detective si girò appena verso di lui, lo sguardo curioso e un peso sul petto. Mormorò solo un "Già." abbassando lo sguardo

«E guarda dove siamo finiti. Io con una pallottola nella gamba, e tu... tu pieno di dubbi su tutto. Scommetto che non ci avevi mai dato troppo peso nemmeno a quella cosa... »

«A cosa scusa?»

«Beh... alla tua sessualità. O sbaglio?»

Izuku si bloccò per un attimo, il respiro trattenuto. Katsuki lo guardava di nuovo con un sorrisetto sornione, ma non c'era la solita cattiveria nei suoi occhi. C'era curiosità, forse anche una leggera comprensione.

«Avevi promesso una cosa...», sibilò il poliziotto, gli occhi assottigliati in due fessure mentre osservava il sorriso di Katsuki farsi pieno e disteso.

Izuku si morse il labbro. Non riusciva a capire se Katsuki lo stesse prendendo in giro o se, in qualche modo, fosse una strana forma di...aiuto?

«Devo ammetterlo...» mormorò il biondo quasi per sé stesso: «Avere un amico non è poi così male.»

Izuku si passò una mano tra i capelli, cercando di riprendere fiato, mentre il cuore continuava a martellargli nel petto. Tutto in quella situazione lo faceva sentire disorientato: l'intimità forzata, le parole di Katsuki, e soprattutto il modo in cui si sentiva, sempre più confuso, sempre più vulnerabile.

Dopo un lungo silenzio, Katsuki si mosse leggermente sul letto, cercando di appoggiare la schiena contro la testata senza sforzare troppo la gamba ferita e iniziò a dire, con un tono quasi casuale: «Forse dovresti smettere di preoccuparti così...» Le sue parole erano dirette, quasi dure, ma non c'era più malizia e il suo sguardo caldo passava in rassegna le travi del soffitto.

Izuku lo guardò confuso, senza rispondere subito, ancora incerto su dove volesse andare a parare.

«Voglio dire...», continuò Katsuki, «Sei sempre così... teso. Come se stessi cercando di tenere tutto sotto controllo. Ma non funziona, vero? Non sempre, almeno. Credo che sarebbe più facile se ti lasciassi andare un po', se smettessi di pensare a ciò che dovresti essere, e iniziassi a capire chi sei davvero.».

Izuku sentì quelle parole colpirlo in modo diverso rispetto alle solite frecciate di Katsuki. E gli sembrò che quel tono indulgente fosse più rivolto anche a se stesso. C'era qualcosa di sincero, quasi comprensivo, nel modo in cui parlava in quel momento. Non era un ordine, non era neppure una provocazione: era un'osservazione. E si trovò senza una risposta razionale: non poteva controbattere, e non perché non volesse, ma perché sentiva che Katsuki aveva ragione.

«Non è mai facile mettere tutto in discussione, lo so. Ma meglio così che vivere nella menzogna, no? Alla fine, conoscere se stessi è l'unica cosa che conta. Anche se fa paura.»

Izuku abbassò lo sguardo, cercando di raccogliere i pensieri che sembravano scivolare via ogni volta che provava a focalizzarsi su qualcosa. Katsuki parlava con una saggezza che non avrebbe mai attribuito a uno come lui. E forse era proprio questo che lo spiazzava: la sua capacità di capirlo in un modo che nessuno sembrava mai essere riuscito a fare.

«Kacchan...», mormorò Izuku, quasi senza accorgersene. Il soprannome gli era scappato di nuovo, ma questa volta non sembrava sbagliato. Era familiare, amichevole. Giusto...

Katsuki lo guardò per un istante, poi scrollò le spalle, come se quel soprannome non lo infastidisse più. «Sai, Deku... », e fece una pausa, come se stesse riflettendo su cosa dire dopo. «Forse... forse tu mi stai facendo vedere le cose da un'altra prospettiva.»

Izuku lo guardò, sorpreso: non si sarebbe mai aspettato una confessione del genere da lui.

Katsuki sorrise: «Non è che tu mi stia facendo cambiare idea o roba del genere, eh! Solo... Mi hai fatto venire anche tu un po' di dubbi. E non mi succede spesso...»

Izuku lo fissò, ammutolito e ancora più agitato perché non apeva se sentirsi lusingato o spaventato da quelle parole.

Poi, tornò a voltargli le spalle, provando a rispondere, con quel tono incerto e distaccato che funzionava per lui come uno scudo: «L'hai detto tu, no? Che non è poi così male avere dei dubbi. Fa parte del capire chi sei, giusto?»

Attese.

Attese a lungo una risposta, tirando le orecchie per capire se quel silenzio era una cosa buona, un modo per Katsuki di riflettere su ciò che aveva detto.

Quando Izuku voltò il capo, lo vide nella stessa posizione che ricordava: le braccia incrociate al petto, le gambe distese sul materasso e lo sguardo che ancora scrutava le assi di legno del solaio sopra la sua testa.

«Non è male avere dei dubbi...», ripetè il biondo, abbassando gli occhi verso il detective, l'espressione seria e quasi risoluta. «Non è mai un male avere dei dubbi, Izuku

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