Conscious
Il primo raggio di luce filtrava timidamente dalla finestra, attraversando la stanza gelida e posandosi sul pavimento di legno lievemente sconnesso. Il silenzio della notte si faceva più lieve con ogni respiro, rotto solo dal leggero russare di Katsuki, che ancora dormiva profondamente avvolto nella coperta. Izuku, però, si svegliò con un sussulto, i suoi occhi si aprirono velocemente, come se avesse cercato di fuggire da un incubo che in realtà non aveva mai avuto.
Lentamente, si accorse che era ancora strettamente avvinghiato a Katsuki, il suo corpo nudo contro il calore di quello del biondo, completamente vestito e ancora assopito accanto a lui. Un brivido di disagio percorse la sua schiena e, in un movimento rapido e imbarazzato, si sganciò da quell'abbraccio, alzandosi dal letto con un gesto quasi frenetico e passandosi entrambe le mani sul volto.
Il cuore gli batteva forte, il respiro si era accorciato. Si trovò a scattare in piedi accanto al letto, completamente nudo, il corpo ancora tremante dal freddo che avvolgeva la stanza. La vergogna lo assalì in un istante, e i suoi occhi vagarono nervosamente verso la finestra, come se potesse riuscire a volare via, a fuggire da quella situazione tanto ambigua e disagiante. In quel momento, non si sentiva nient'altro che vulnerabile, completamente scoperto. E non solo fisicamente.
Katsuki, svegliato dal movimento brusco dell'altro, aprì solo gli occhi, senza nemmeno alzarsi o lasciare quel bozzolo tiepido che s'era creato sotto la coperta, solo con una genuina preoccupazione che trapelava dalla sua espressione ancora assonnata. Si sollevò a sedere solo dopo aver stropicciato gli occhi e messo a fuoco Izuku, scrutandolo con attenzione. «Stai bene?», chiese, con la voce ancora rauca dal sonno.
Izuku non rispose subito. Il suo sguardo si abbassò, e la vergogna gli bloccò le parole. Le mani si strinsero nervosamente a coprirsi il pube appena si rese conto che Katsuki era sveglio, ma non osò guardarlo in faccia. Un nodo si formò nella sua gola mentre cercava di ricomporsi, il suo corpo ancora scosso dai tremori. Sentiva la stanza gelida, ma non era solo la temperatura a fargli percepire freddo. Era il senso di vulnerabilità che gli serrava il petto, che gli impediva di respirare liberamente.
Katsuki si mise a sedere sul letto, il suo sguardo fissato su Izuku, ma senza alcuna velleità di giudizio. Non sembrava più arrabbiato né sarcastico, solo... preoccupato. «Ehi...», disse con tono più dolce del solito, «Va tutto bene. Non c'è bisogno di scappare.»
Izuku non riusciva a fermare il rossore che gli saliva al volto, ma, dopo un momento di silenzio imbarazzato, si guardò intorno e si allontanò un passo, come cercando di ritrovare una parvenza di dignità. «Io... mi... mi scuso.», balbettò. «Non sapevo cosa fare, non... non volevo... essere così.»
Katsuki lo osservava senza parole, ma il suo sguardo era serio, quasi addolorato. Con un sospiro, si alzò dal letto lentamente e si avvicinò a Izuku zoppicando, la gamba che ancora gli faceva un male cane se la muoveva troppo in fretta. «Fermati.» disse, mettendo una mano sul suo braccio. «Non c'è niente di cui scusarsi.».
Izuku si sentì di nuovo sopraffatto e fece un passo indietro, togliendosi da quel tocco. Aveva sempre cercato di nascondere le sue emozioni, di mantenere un controllo, ma non era mai riuscito a farlo davvero. E ora, davanti a Katsuki, sembrava che tutta quella forza che aveva accumulato nel corso degli anni fosse crollata, assieme a tutte le poche certezze che pensava di avere. Il biondo non lo stava giudicando, non stava facendo battute su di lui, non lo stava guardando con disprezzo. Anzi, lo guardava come se cercasse di capire davvero cosa stesse passando.
Katsuki si schiarì la voce, cercando di mantenere il tono il più calmo possibile mentre osservava Izuku che, ancora visibilmente confuso e imbarazzato, cercava di raccogliere i propri indumenti sparsi per la stanza. I suoi movimenti erano impacciati, e sembrava quasi sforzarsi di non incontrare lo sguardo di Katsuki, come se il ricordo della notte precedente fosse troppo lontano, ma allo stesso tempo fin troppo presente.
«Che... Che cosa ti è successo ieri sera?», chiese il criminale, la sua voce stranamente gentile, priva di quel tono pungente che usava di solito. Si era promesso di essere comprensivo, di lasciargli il tempo di riordinare le idee senza pressarlo.
Izuku si fermò a metà, stringendo tra le mani il proprio cappotto per coprirsi, ma riuscì solo a balbettare qualcosa di incomprensibile. I suoi occhi vagavano intorno alla stanza, forse cercando qualche indizio di ciò che potesse essere accaduto. «Io... non ricordo tutto...» ammise piano, la voce insicura, quasi vergognosa. «Sì... sono uscito, ma...». Sembrava lottare per mettere ordine ai suoi pensieri, e Katsuki lo osservava attentamente, notando come si sforzasse di coprire i lividi sul corpo mentre si rivestiva.
Mentre Izuku si chinava a raccogliere la camicia, Katsuki si mosse verso la stufa e provò a riaccenderla, sperando di scaldare l'atmosfera, letteralmente e figurativamente. Si accovacciò, imprecando silenziosamente per il dolore alla gamba, aggiungendo qualche pezzo di legno e rimestando le braci per scoprirne ancora di ardenti, soffiandoci sopra un po' per far riprendere un pezzo di carta umidiccia che aveva trovato nel cesto della legna, un vecchio brandello di giornale, gettando un'occhiata ogni tanto verso Izuku, che si avvolgeva stretto nella camicia, sfregandosi le mani sulle braccia e sul torace, come se tentasse di scacciare il freddo dal suo corpo.
Il giovane poliziotto sembrava tentennare, forse valutando se fosse davvero il caso di fare quella domanda che gli stava sulla punta della lingua. Alla fine, con una voce quasi infantile, disse: «Ho fatto qualcosa di... stupido, vero?». Il suo tono era pieno di incertezza, come se temesse la risposta, come se un sì avrebbe potuto disfare ogni briciolo di dignità rimasta.
Katsuki si voltò a guardarlo e per un attimo, in quel silenzio tra di loro, decise di non dirgli nulla di troppo pesante. Di non infierire: lo sbirro era già abbastanza in difficoltà, e in fondo... aveva capito che ciò che era successo la sera prima parlava di un dolore molto più profondo di quanto aveva solo ipotizzato. Si strinse nelle spalle e rispose con nonchalance, mantenendo il tono leggero: «Nulla di cui preoccuparsi, sbirro. Solo... hai avuto una serata un po' agitata, tutto qui.»
Izuku annuì, abbassando la testa e tirando un mezzo sospiro di sollievo, anche se un'ombra di incertezza rimaneva nel suo sguardo. Fece un piccolo cenno di gratitudine e, senza guardare Katsuki negli occhi, finì di sistemarsi. L'imbarazzo era ancora palpabile, ma il contrabbandiere poteva vedere come quel silenzio, quella delicatezza, fossero forse la cosa di cui Izuku aveva più bisogno in quel momento.
Il giovane, ormai vestito, rimase fermo e in silenzio per qualche istante, guardando le scarpe, slacciate con cura e lasciate scomposte sul pavimento, prima di raccogliere il coraggio per dire, ancora incerto: «Esco a prendere dell'acqua. Così possiamo fare il caffè per colazione.».
La sua voce era sommessa, come se stesse ancora cercando di scrollarsi di dosso l'imbarazzo della sera precedente. Senza aggiungere altro, si girò verso la porta e uscì, lasciando un'aria fredda e un lieve silenzio sospeso nella stanza.
Katsuki lo seguì con lo sguardo fino a quando la porta non si richiuse. Si rialzò lentamente da terra, la faccia calda per il fuoco che aveva fatto partire nella stufa, e cominciò a curiosare tra le poche cose lasciate sul piccolo tavolo della cucina, solo per impegnare le mani e distrarre la testa.
In un angolo, avvolti con cura in uno straccio, trovò due pezzi di torta. Erano quelli che la moglie del dottore gli aveva recapitato tramite il vecchio medico la sera prima, probabilmente come gesto di premura verso uno sconosciuto malato che aveva accolto in casa sua.
Katsuki si fermò un istante, quasi sorpreso da quanto potesse essere toccante un piccolo gesto come quello. Un pezzo di torta avvolto in un panno... qualcosa di tanto semplice, eppure così gentile. Rifletté tra sé e sé su come, alla fine, anche lui e Izuku fossero stati due estranei all'inizio. Due vite che non avrebbero mai dovuto incrociarsi, e che adesso, invece, si intrecciavano in modi che mai avrebbe immaginato. E si ritrovò, stranamente, a sorridere.
Perso nei suoi pensieri, fu riportato alla realtà dal lieve cigolio della porta che si apriva: Izuku stava rientrando con un'espressione ancora vagamente colpevole, lo sguardo basso, e si avvicinò al piccolo fornello sulla stufa con il secchio d'acqua in mano, riempiendo un pentolino per metterla a scaldare assieme alla polvere di caffè. Il biondo lo osservò, notando quei gesti lenti e attenti, come se cercasse di scivolare silenziosamente nella routine della mattina, quasi sperando che quel silenzio cancellasse i fantasmi della notte appena trascorsa.
«Ti tratta bene il vecchio, eh.», commentò Katsuki, accennando ai pezzi di torta. «Ha lasciato pure questi per noi.». Aveva un tono neutro, ma con una nota di sincerità; un modo semplice per smorzare la tensione che si era creata, una mano tesa verso quella normalità che l'altro sembrava disperatamente cercare.
Izuku si voltò appena, accennando un sorriso timido e annuendo. «Hai ragione. È stato... davvero gentile.», mormorò.
Katsuki, per stemperare l'imbarazzo nell'aria, decise di tentare una conversazione normale. «Allora... che turni avrai oggi?» chiese, gettando un'occhiata a Izuku mentre questi si toglieva il cappotto. «Sai già quando tornerai?»
Izuku esitò un momento, visibilmente incerto. «Eh... fino a mezzogiorno sarò impegnato.», rispose, la voce più bassa del solito. «E poi... dovrei passare in chiesa.» Fece una pausa, come se stesse pesando attentamente le parole, poi aggiunse con tono un po' colpevole: «Io dovrei...confessarmi.».
Il silenzio che seguì sembrava sospeso, carico di un imbarazzo che Izuku non riusciva a nascondere. Abbassò lo sguardo e continuò, la voce spezzata e un po' tremante: «Non so, è solo che... mi sento in colpa, mi sento... una merda.». Con le mani che tradivano una lieve incertezza, fece scorrere il caffè nella tazza, evitando di guardare Katsuki. «Non so cosa mi sia preso ieri sera. Ma è stato... sbagliato. Sento di aver fatto un errore, che non dovrei nemmeno...»
Prima che potesse terminare, una mano si posò sulla sua testa.
Forte e ferma, ma con un gesto inconsueto di gentilezza, la mano di Katsuki era lì, come a calmare quel tumulto che si rifletteva negli occhi smarriti di Izuku.
«Ehi.», lo richiamò il biondo, con un tono più basso e quieto. «Non devi sentirti in colpa. Tutti sbagliano, in questo mondo. Anche quelli che si credono perfetti.»
Izuku sollevò lo sguardo, colto alla sprovvista da quelle parole. C'era un calore nella voce di Bakugō, una comprensione inaspettata che sembrava allontanare quel senso di vergogna che aveva iniziato a soffocarlo.
Katsuki continuò, con un tono un po' ironico, un sorrisetto appena accennato. «Anche Nostro Signore ha sbagliato, no? Voglio dire... soprattutto a valutare quel traditore di Giuda!»
Izuku lo fissò, incerto, per un attimo preso tra la serietà della sua confessione e l'ironia tagliente di Katsuki. Poi, contro ogni sua aspettativa, un lieve sorriso si fece strada sul suo volto e annuì, pensieroso, riflettendo su quella sua ultima battuta, che ancora riecheggiava nella stanza. Con un'espressione più serena, si allontanò dal tavolo e si avvicinò alla finestra, osservando il cielo che iniziava a schiarirsi, mentre addentava la fetta di torta della vecchia moglie di Toshinori. «Devo fare qualche commissione prima di iniziare il turno...», disse, dopo aver sorseggiato un po' di caffè con una calma nuova nella voce.
Così, senza neppure finire né la bevanda né il dolce, abbandonandoli invece sul tavolo di fronte al biondo, si rimise il cappotto, preparandosi a uscire.
Però si fermò improvvisamente sulla soglia, si voltò indietro, trovando lo sguardo di Katsuki che lo servava mentre era intento a soffiare sulla tazza di caffè.
Per un attimo, il silenzio tra loro parve colmarsi di qualcosa d'indefinito, finché Izuku non gli rivolse un sorriso, le guance sporcate d'imbarazzo, accennando a un tono quasi divertito: «Ti ho visto...», disse, con quel piccolo sorriso negli occhi.
Katsuki inarcò un sopracciglio, interdetto. «Visto cosa?»
«Che sorridevi, prima.», rispose Izuku, mentre apriva la porta. «Ed eri... carino.»
Non aspettò la reazione di Katsuki, scivolando fuori dalla stanza e chiudendo la porta dietro di sé, lasciando il criminale da solo, interdetto e con le guance inaspettatamente calde.
Katsuki rimase a fissare la porta, borbottando tra sé. «Dannato idiota... sono ben più che carino io!», e, con uno sbuffo a metà tra l'irritato e il divertito, tornò a sorseggiare il caffè, mentre un sorriso ostinato gli sfuggiva ancora una volta, senza che potesse fermarlo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro