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Chapter 12 - ⭒The Minotaur⭒

—Mi piacerebbe sapere lei chi sia e perché riposa sulla porta della mia residenza—

Saltai per aria a quelle parole, insultandomi mentalmente per non aver sentito avvicinarsi l'uomo. Era la seconda volta in meno di ventiquattrore che venivo sorpresa da qualcuno. Bloody Hell, dovevo farmi controllare le orecchie, oppure smetterla di far la pigra e iniziare a comportarmi come un'agente con anni di addestramento!

—Signore— replicai prontamente, assumendo l'atteggiamento che avrei tenuto se mi fossi trovata davanti al Capo Vaughan, il Direttore Generale.

L'uomo alle mie spalle corrispondeva perfettamente alla descrizione che ne aveva dato l'amico di Larimar. Più scuro di capelli rispetto al figlio, forse per il taglio corto e ordinato in cui erano stati acconciati, meno alto, ma con le spalle un po' più larghe. Gli occhi, invece, erano decisamente diversi. Grigi come il ferro, ma ancor più freddi e inflessibili di quel metallo. Erano incastonati in un volto dai lineamenti austeri e aristocratici quanto quelli di Larimar. E gli assomigliava anche nel portamento, talmente imperioso che la Regina stessa avrebbe potuto prendere lezioni da lui.
Dovevo lottare con la mia colonna vertebrale per impedirle di piegarsi in un profondo e deferente inchino.

Quando sollevò uno di quei regali sopraccigli compresi si aspettasse ancora una risposta, così balbettai —Stavo cercando di capire da che parte stessero entrando le formiche in casa, in modo da porvi rimedio al più presto—

Che scusa terrificante! Ero molto più brava di così a mentire. Dovevo riprendermi dai novecento e rotti anni di sonnellino, perché avevano decisamente compromesso le abilità per cui ero stata richiesta dal Primo Ministro in persona.

—Non credo di averla mai vista. È stata assunta di recente? — domandò Corallo, studiandomi dalla cima dei capelli alla punta delle scarpe come se fossi stata un mobile di cui non sapeva che farsene. Si soffermò qualche minuto sulla ciocca bianca e le sue narici ebbero un fremito impercettibile, che interpretai come un'espressione di fastidio. Possibile che trovasse oltremodo infrequente vedere un colore simile su una ragazza di neanche trent'anni, ma perché gli desse fastidio, questo proprio non avrei saputo dirlo. In ogni caso, mi adoperai per inventare una frottola più credibile.

—Esattamente, signore. Suo figlio mi ha ingaggiato personalmente. Ritiene possa rendermi utile—
Ecco, così andava meglio. Mantenersi sul vago e rispondere ciò che avrebbe voluto sentirsi dire.
—Non ti ho mai vista prima. Non sei di queste parti, vero? —
—No, signore. Vengo da una comunità a nord di Tamesis—
Grazie al Cielo avevo studiato la loro geografia!
—Capisco. Sei di famiglia Indaco? —
Compresi di dover rispondere affermativamente dall'occhiata penetrante che seguì a quella domanda, quindi annuii.

—Come ti chiami, ragazza? —
Aveva addolcito la sua voce rendendola quasi bonaria, ma non mi feci imbrogliare. Quel serpente era un animale a sangue freddo, non sembrava neanche in grado di provare un'emozione simile all'affetto, ma solo di simulare.

—Mi chiamo...—
For God's sake, cosa avrei dovuto rispondere? Di sicuro non il mio nome per intero, visto quanto si era sconvolto Larimar sentendolo. Mi tornarono in mente le sue parole e quelle dell'amico quando cercavano di stabilire se ero Verde o Indaco. Cosa avevano detto? Neris era un nome da Verde e Amber da Indaco, possibile?
Sperando che la mia memoria fosse più allenata del resto delle mie abilità da agente speciale, risposi  —Mi chiamo Amber—

Finsi di essere emozionata per le attenzioni che mi riservava, cercando così di dissimulare il tentennamento che avevo avuto nel rispondere. Tanto per rendere la cosa più credibile, abbassai anche lo sguardo e sfruttai la mia pelle bianca latte facile ad arrossamenti facendo comparire l'universale espressione di imbarazzo sulle mie gote.

Quel gesto parve compiacerlo, tanto che accennò un sorriso... O meglio, la sua bocca disegnò una specie di mezzo cerchio, ma chiamarlo sorriso sembrava eccessivo, e non c'entrava nulla con l'assenza dei marcatori di Duchenne agli angoli degli occhi.
—Mia cara, è un piacere accoglierti nella mia casa... Ah, ecco mio figlio. Larimar—
L'uomo inclinò leggermente la testa in un impercettibile saluto verso il ragazzo che doveva star sopraggiungendo alle mie spalle.

Non volevo distogliere lo sguardo dalla sua versione più adulta, un po' come si farebbe con un animale selvatico, ma non pensavo neanche fosse educato dare le spalle a quello che si supponeva fosse il mio datore di lavoro. Mi spostai di lato continuando a tenere Corallo sott'occhio, mentre accennavo un lieve inchino in direzione di Larimar.

—Padre—
Il tono con cui il ragazzo parlò fu educato, ma non mi sfuggì la tensione sottostante.
Sicuramente temeva avessi detto o fatto qualcosa di sconveniente.

—Ha una figura piacevole, ragazzo, nonostante quell'evidente imperfezione. Tuttavia, sono certo che Onice ce la invidierà. L'hai assunta al posto della Gialla? —
Le mie mani prudevano dalla voglia di dargli una sberla su quella bocca offensiva.

—No, padre. È qui per aiutare coi preparativi per la celebrazione. Ho pensato di chiamarla con qualche giorno di anticipo— replicò Larimar, con il suo solito tono privo di inflessioni.
—Ah, capisco. Sì, l'accortezza è una virtù. Questo mi ricorda... Ho avuto un incontro con Crisoprasio, di recente. Ha confermato che darà l'annuncio del suo appoggio nei tuoi confronti a inizio della prossima settimana. Si è voluto complimentare per la tua efficienza negli ultimi mesi. Mi ha soddisfatto sentirglielo dire —

Tutte belle parole, ma non avvertii nessun calore nella sua voce.

—Lo contatterò per ringraziarlo doverosamente, padre— espresse Larimar, abbassando il capo in un gesto ossequioso.
—Ciò che mi ha realmente stupito è stato apprendere delle quattro nuove Promesse in tuo possesso. Questo porta il totale a un numero molto più alto di quelle che avevo io il giorno della mia elezione. Fa ben sperare, Larimar—
Una luce scintillò nella profondità oceanica degli occhi di Larimar.
—Ho in progetto di acquisirne altre sei entro la data delle elezioni— affermò Larimar, raddrizzando le spalle e sollevando il mento in un atteggiamento orgoglioso. —Corniola ha assicurato di potersi occupare di almeno tre di esse—

La conversazione in atto sembrava più simile a quella che potevo sostenere io col Primo Ministro che quella che si dovrebbe avere col proprio padre. Anzi, peggio. Sembrava quasi stessero leggendo il retro di uno shampoo. Dov'erano i sentimenti?!
Se non avessi promesso di comportarmi al meglio, mi sarei messa a pungolare quei due per accertarmi fossero creature a sangue caldo.

—Corniola è infallibile come la madre in questo campo. Ottimo. Finalmente il tempo che ho speso a istruire un ragazzino inutile e difettoso come te sta dando i suoi frutti. Potresti diventare il Consigliere Capo più giovane della storia, portando lustro al nome della nostra famiglia. Vedi di non rovinare tutto all'ultimo secondo—
Mi rivolse un'occhiata talmente gelida che dovetti istruire il mio volto a non mostrare emozioni.

Ancora una volta il mio istinto non sbagliava. Quello non era un uomo. Era un serpente!

—Ricorda: non fare giungere alla lingua i pensieri che hai in testa. Ho faticato a inculcarti un po' di saggezza, ma hai sangue misto nelle vene. Sappiamo entrambi quanto facilmente un apparente successo possa trasformarsi in un fallimento. E il fallimento è sinonimo di un animo debole. Quindi, non deludermi. Non ti piaceranno le conseguenze —

Restò qualche altro secondo fermo sulla soglia, aspettando forse che la gravità di quelle parole scendesse su di noi ammantandoci di tutto il loro peso, dopodiché si girò e rientrò dalle doppie porte, attraversando con eleganza l'immenso atrio.

—Tuo padre è proprio un gioiellino— borbottai, quando fui sicura non potesse sentirci.
—Seguimi— ordinò Larimar perentorio, gli occhi blu che all'improvviso sembravano più simili a un oceano in burrasca, per poi dirigersi a passo spedito verso una delle stanze del lato est.

Rimasi ferma per tutti i due secondi che ci misi a decidermi ad eseguire quell'ordine sulla spinta della curiosità. La stanza in cui entrammo era al piano terra, una di quelle poche in cui non avevo ancora messo il naso. Mi sorpresi a trovare ovunque attorno a me attrezzi professionali che avrebbero fatto invidia alla palestra nel seminterrato degli uffici dove lavoravo, e... Un secondo, le pareti erano insonorizzate? Aye, i pannelli sembravano quelli da isolamento acustico. L'ultima volta che mi ero ritrovata in un luogo insonorizzato non era stata una bella esperienza, così, istintivamente, rabbrividii.

De Lacey all'epoca non era ancora il mio capo, ma lavoravamo già assieme. Eravamo scesi nel seminterrato dell'Ambasciata di una Nazione di cui non farò il nome e lì avevo trovato un uomo conciato in un modo in cui di sicuro le leggi dell'ONU contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti avrebbero avuto da obiettare.
Quella era stata la prima e unica volta in cui avevo seriamente temuto per la mia integrità morale, ritrovandomi in conflitto nello svolgere il mio mestiere. Per fortuna, finì tutto per il meglio.

Con lo spettro di quel ricordo in mente, mi guardai più volte attorno, quasi aspettandomi di veder comparire un uomo imbavagliato e legato a una sedia tutto tremolante e sanguinante.

—Perché stavi parlando con mio padre? —
Sussultai al ringhio nella voce di Larimar, stranamente non più così piatta e disinteressata.
—Non gridarmi contro, laddie! — lo rimproverai agitandogli un dito sotto il naso in un'inconsapevole imitazione di mia nonna.

Lo vidi serrare le labbra in una linea bianca e sottile, quindi lasciai momentaneamente perdere la ramanzina e gli offrii una risposta. —Mi ha rivolto la parola per primo, cosa avrei dovuto fare? Fingere di essere sorda? O tonta, magari? —
—Sarebbe stata un'ottima idea, sì! — alzò nuovamente la voce.

Aggrottai la fronte, confusa da quell'insolita illogicità.

—E si potrebbe sapere cosa significa questa nuova parola, di grazia? Mi stavi insultando? Abbi almeno la decenza di farlo nella mia lingua!—
Lo stavo ancora studiando attentamente, sempre più preoccupata. Sembrava un bambino spaurito, coi pugni serrati e gli occhi blu sgranati che apparivano due gemme iridescenti su quel volto pallido e contratto.
—Non è propriamente un insulto. Significa ragazzino— mormorai, per poi aggiungere —Non ti conosco bene, ma non mi serve per capire che qualcosa non va. Cosa succede, Larimar?—

Lui scrollò il capo, si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, poi tornò a fissarmi con una strana luce negli occhi. Non riuscii a interpretarla, distratta da tutti i movimenti che gli vidi fare, così estranei al compassato ragazzo che stavo iniziando a conoscere.
—Devi stare lontana da mio padre— sussurrò, poi scosse di nuovo la testa e fissò un punto lontano alle mie spalle.

—Pensi che sia pericolosa? — scattai, avvertendo la cicatrice nel mio petto prudere come se fosse stata riaperta dalle sue parole.
Aye, d'accordo, tecnicamente c'erano almeno diciassette modi in cui avrei potuto ucciderlo, solo quattro dei quali prevedevano l'utilizzo di strumenti esterni al mio corpo che avrei poi dovuto ripulire dalle impronte, ma questo lui non poteva saperlo.

Rimase in silenzio, uno di quei silenzi nervosi in cui ogni cellula del suo corpo vibrava in risposta alla mia domanda e io compresi subito che sarebbe stata una risposta affermativa.
Molto bene. Non si fidava di me, ma come dargli torto.
Dopotutto, la cosa era reciproca. La fiducia si costruisce nel tempo e noi ci conoscevamo da troppo poco.
Inspirai, cercando di ricacciare indietro la delusione, e provai a farlo ragionare —Non intendo fingermi rimbambita o qualcosa di simile con tuo padre. Se mi rivolgerà la parola, io risponderò. Però ci tengo ad assicurarti che non sono qui per danneggiare qualcuno—
Ecco, avevo chiarito il punto. Eppure, non sembrò rilassarsi. Anzi, tutt'altro, a giudicare dal muscolo che pulsava all'angolo del suo occhio.

—Magari potresti essere tu in pericolo—borbottò alla fine.

Eccola lì. La frase che nessuna donna in una stanza insonorizzata avrebbe voluto sentirsi dire. Era forse uno psicopatico che mi avrebbe cercato di sedare come No Longer Silent Man?
Beh, aveva avuto diverse occasioni per farlo, quindi la ragione doveva essere un'altra; tuttavia, non ero una di quelle persone capace di accogliere simili frasi con la dovuta cautela, quindi sbottai —In pericolo. Ma davvero? Beh, sarebbe una novità, considerando che tempo addietro venivo pagata per essere in continuo pericolo. Inoltre, cosa mai potrebbero farmi che non abbia già vissuto? Essere pugnalata al cuore? Fatto. Morire? Quasi fatto. Drogarmi? Fatto. Oh, aspetta, magari mi congela e mi spedisce mille anni nel futuro? Sarebbe forte, ma... Fatto! —

Mi sarei aspettata reagisse con la solita impassibilità al mio isterico sarcasmo, ma sembrava che davanti a me si trovasse un'altra persona. L'incontro col padre doveva aver smosso qualcosa in Larimar che improvvisamente l'aveva trasformato da statua di ghiaccio a fiamma vispa e ardente.

Con gli occhi in tempesta, mi afferrò per le spalle e mi scosse, facendomi battere i denti e sollevare le mani pronta a intervenire per fermarlo. Cosa che non feci, trattenuta dall'amarezza nel suo tono quando ringhiò. —No, Amneris. Tu non capisci! È un uomo distrutto, in grado solo di annientare chiunque gli stia attorno. Sei come un bambino appena nato, senza amici o relazioni di supporto. Non sai nulla di questa società. Nulla. Non sei in grado di proteggerti da lui... — o da me, sembrava voler aggiungere alla fine.

Rimasi in silenzio, rigida nella sua presa.
La profondità emotiva che stava mostrando era sconcertante. Non ero certa di come avrei dovuto reagire.

Larimar sembrò accorgersi del suo gesto impulsivo e mi lasciò, osservandosi le mani come se volesse punirle per aver agito contro la sua volontà.
—Se lo vedi, girati e vattene nella direzione opposta, Amneris. Resta nell'ombra. Non farti notare— mormorò alla fine, con una voce che sembrava scarica, svuotata, esausta dopo l'immersione emotiva avuta.

—Posso farlo— concessi. —Mi nasconderò, fuggirò o cercherò di passare inosservata—
—Bene—
—Bene...—

Un silenzio imbarazzato si creò tra noi. Pesante.
Fastidioso.
—Per cui... — tentai.
—Devo andare— mi interruppe. —Tornerò questa sera sul tardi. Devo supervisionare la Riunione mensile—
—Oh, fantastico. Bene. Io... Io credo resterò qui, allora...—
Non aspettò la mia risposta. Si era già voltato ed era uscito dalla stanza a passo leggermente più svelto del normale.
Come se fosse in fuga.

Perfetto.
Mi guardai attorno. Ero circondata da attrezzature per fare allenamento. In un ambiente simile mi ero sempre trovata a mio agio, eppure provai uno strano brivido che dalla base del collo si estese verso la periferia degli arti.
Quel confronto mi aveva lasciata più scossa di quanto credessi.
Non ero certa di ciò che Larimar aveva fatto trapelare nel suo sfogo. Un passato di abusi? La conversazione avuta col padre mostrava certamente una situazione di abuso emotivo.

Il brivido divenne sempre più profondo, tanto che mi strinsi le braccia attorno al corpo. Stavo tremando talmente violentemente che mi iniziarono a battere i denti tra loro.
Cosa stava succedendo?
La mia perplessità fu accantonata nel momento in cui mi sentii esplodere il cervello. Questa volta non era stato anticipato da un ronzio d'avvertimento, né un'insistente mal di testa. Semplicemente, mi ritrovai a terra prima ancora di comprendere cosa mi fosse successo e persi conoscenza senza emettere un suono.

⋰∴🌙∴⋱ ANGOLO AUTRICE ⋰∴🌙∴⋱

Eccomi qui! In questi giorni sono un po' di fretta per colpa del lavoro, spero di non aver fatto troppi errori. Se ne trovate, vi prego, avvisatemi che correggerò appena avrò tempo 😉

Dunque, abbiamo incontrato il Minotauro... Che impressione vi ha dato?

E la reazione di Larimar? Vi ha sorpresi?

Vi mando un enorme abbraccio!!!

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