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Chapter 1.1 - ⭒The awakening⭒

1 Luglio, 2012

—Neris, un secondo! —
—Dai, lumaca! —
—Aspetta, Neris, aspetta! —continuò a strillare con quella vocina tremante il mio fratellino.
—La nonna ha fatto i baps. Se restiamo qui ancora a lungo si raffredderanno! Dai, buttati, codardo! —

Guardai mio fratello stringersi il naso tra pollice e indice, chiudere gli occhi, fare un grosso respiro e... Restare lì, immobile, sopra al sasso.
Cacciai indietro la testa e mi distesi a stella marina nell'acqua, i capelli che fluttuavano come una macchia di sangue attorno alla mia testa.

—Se non ti butti, la nonna ci sgriderà— tentai di convincerlo con la logica.
—Sei tu che hai insistito per fare i rotoloni lungo la vallata. Darò la colpa a te—
Inspirai pesantemente dal naso, cercando di mantenere la calma. —Se invece ti butti e ti sfreghi via quel fango e quei fili d'erba non si arrabbierà, perché non le sporcheremo casa—
—Gliela bagneremo! — obiettò, ancora tremolante sul bordo del sasso.

—Ascoltami bene, il piano è questo: ci laviamo, corriamo fino al retro, saliamo su per il pergolato ricoperto d'edera, entriamo dalla finestra che ho appositamente lasciato socchiusa per le emergenze come questa, poi ci cambiamo e scendiamo a mangiare!—
Sicura che...—.

For God's sake, Roy! Buttati o vengo a spingerti io! — esclamai, esasperata
Il rumore dell'acqua che si infrangeva seguì le mie parole. Finalmente! Non vedevo l'ora di andare a pranzo!
—Lo sai che la mamma non vuole che imprechi. Non è educato—
Doveva avere sempre l'ultima parola, quel moccioso sputacchiante acqua.
—La mamma non c'è, quindi non rompere —

Uscimmo dal laghetto e ci stendemmo ad asciugare al sole per qualche minuto, prima di percorrere le verdi colline erbose delle mie amate Highlands e ritornare alla casetta di nonna Siobhan.

—La mamma ha detto che tornerà nel fine settimana— la speranza nel tono di mio fratello rese quella fastidiosa vocetta infantile ancora più acuta.
—Non strillare, Roy. E svegliati, una buona volta. La mamma dice sempre che verrà, ma poi non lo fa mai— ribattei, sbuffando.
—Non essere ingiusta. Ci vuole bene e vorrebbe essere con noi più spesso, lo sai. Solo che deve lavorare perché papà è morto—
—Non dare la colpa a papà se lei lavora sempre. Lo faceva anche prima. I soldi non ci mancano, Roy, smettila di credere alle sue bugie!—
Ma il suo lavoro è importante!—
—Sicuramente. Il suo lavoro è la cosa più importante, almeno per lei— borbottai, acida.
—La sua associazione è una delle più importanti nella ricerca e sviluppo nel settore biodiverisi... Biodi... di quello e di nuove tecnologie per coesistere con l'ambiente e...— iniziò con quel suo tono pedante da maestrino. Paroloni che mal si associavano a un bimbetto di sette anni.
—Oh, ma per favore. Sei proprio un moccioso—

Nonna Siobhan continuava ad ammonirmi di non disilluderlo. Per questo gli facevo sempre trovare i regali di mamma sotto l'albero di Natale, o firmavo i biglietti d'auguri a suo nome per il compleanni che, con puntualità, lei dimenticava di festeggiare.
Prima o poi però ci sarebbe arrivato: quella società dallo stupido nome che ricorda la luna verrà sempre prima di noi.

—La mamma salva molte vite— biascicò, non dandosi per vinto.
—Papà ne salvava altrettante. Gli hanno dato anche delle medaglie, per il suo valore — replicai, sorridendo al ricordo. Ero una poppante all'epoca, ma l'orgoglio che provai a quella premiazione fu indimenticabile.

Roy rimase in silenzio, così gli lanciai un'occhiata di sbieco. Non volevo rattristirlo rinfacciandogli il tempo che avevo trascorso con papà. Lui non l'aveva mai conosciuto, purtroppo, ma non per colpa sua. Era morto in servizio qualche mese prima della sua nascita. All'epoca avevo la stessa età che ha Roy adesso, a pensarci bene.

—La mamma dice che faceva cose pericolose— bisbigliò mio fratello.
—Papà faceva cose coraggiose, è diverso—rimbeccai, con tono orgoglioso. —E un giorno anche io sarò come lui— conclusi infine, sospirando.
Mio fratello rimase in silenzio per lungo tempo, finché non avvistammo la casa della nonna. Prima che ci mettessimo a correre verso di essa, però, mi sembrò di sentirgli sussurrare una frase —Basta che non muori abbandonandomi pure tu, Amneris.

21 Dicembre, 2965

Lasciate che vi esprima tutta la mia incredulità nello svegliarmi con un cuore ancora palpitante nel petto. Non ero mai morta prima d'ora, ma di una cosa ero certa: avrebbe dovuto essere permanente.

Il mio risveglio avvenne nel modo peggiore. Il fetido odore della gomma bruciata mi soffocò, i polmoni smisero di collaborare e mi ritrovai a boccheggiare come un asmatico senza il suo fedele inalatore. Poi arrivò il prurito. Uno di quelli orribili, che fa male finché non lo gratti. Partiva dalle estremità del mio corpo e presto si estese a tutto il resto. Se solo fossi riuscita a muovermi. Invece no, il mio corpo continuava a non rispondere ai comandi.

Ma ero viva. Al limite dell'asfissia, ma viva.

Poi due mani mi premettero contro le spalle, una puntura e l'oblio.

Quel giochino divertente si ripeté così tante volte da avermi fatto perdere il conto.

A dir la verità, non ero ancora convinta di essere sulla Terra. Forse nonna Siobhan aveva ragione: l'Inferno esisteva e la tortura riservata alle vittime capitate nel girone in cui ero finita io sussisteva nella morte per soffocamento e prurito corporeo.

Poi l'aria, un bel giorno, entrò nei miei recalcitranti polmoni.

E bloody Hell! Bruciò come una dannata!

Quindi sì. Ero viva. Viva e immobilizzata nel mio stesso corpo ammutinato. Oh, e tra i vari organi in ribellione c'era anche il cervello, chiaramente. Non che fosse per forza un male.
Il dolore era tanto.

Forse la mia incapacità di ricordare poco più di scorci e visioni era un meccanismo di difesa. Un po' come quello che succede durante il parto. Dicerie smentite da mia madre, ora che mi viene in mente. Ripeteva sempre di ricordarsi benissimo il dolore del parto. Lo descriveva come uno dei dolori più grandi della sua vita, seguito solo dalla scoperta della morte di mio padre.

Però aveva fatto un secondo figlio, quindi i casi erano due: o era una masochista, oppure l'ossitocina funziona davvero come una delle magie di Harry Potter.

Tornando a noi: il mio risveglio avvenne durante l'Equinozio d'Autunno, ma non fu totale fino a molte settimane dopo. I primi giorni erano, appunto, confusi. Allucinazioni, sensazioni fumose, sogni, fantasie, luci e ombre. Il prurito, il freddo, un simbolo. Era qualcosa di celtico, qualcosa che sembrava uscito da uno dei miei ricordi d'infanzia. Tre spirali unite al centro. Credo che il nome fosse triskell.

Passò più di un mese prima che riuscissi a tenere aperti gli occhi per un'intera mezzora. Due prima di orientarmi nello spazio che mi circondava. Tre prima di riuscire a drizzarmi seduta sul letto in cui giacevo.

In quel terzo mese tornai a essere quasi umana. Il cervello funzionava. Le mie mani e il mio corpo meno.
Ma ero viva.
Ancora non riuscivo a crederci.

Cresciuta tra scienziati, ne sapevo abbastanza di medicina da riconoscere una ferita letale. Ero stata addestrata per infliggerne io stessa e quella linea rosata vicino al mio seno sinistro, cari miei, avrebbe dovuto essere fatale. Un pugnale nel cuore ammazzava anche i vampiri di Twilight, figuriamoci una mortale come me!

L'uomo che supponevo mi avesse salvata doveva avere doti mediche eccezionali, ma per il momento non mi sarei interrogata oltre. Come si dice? Don't look a gift horse in mouth o, come avrebbe detto mia madre nella sua terribile pronuncia italiana (era convinta fosse eccezionale, ma fidatevi, la mia era buona, la sua... Emh) a caval donato non si guarda in bocca.

Un uomo, forse proprio colui che aveva compiuto il miracolo, veniva a trovarmi con una cadenza regolare e mi cambiava i sacchi della flebo; una sostanza viscosa di colore argento, come il mercurio liquido. A essere onesti, quella sostanza non mi faceva una gran impressione e avrei tanto preferito non averla in circolo per l'organismo, ma non mi opposi alla sua iniezione.

Non che avrei potuto fare molto, in ogni caso. Come il resto del mio corpo anche le corde vocali sembravano non collaborare. Ogni volta che aprivo bocca emettevano giusto un verso strozzato, come quello di un gattino appena nato. E come tale era anche la mia forza. Ero debole al punto che riuscivo a tenere a malapena sollevate le palpebre, figuriamoci alzare anche solo un dito per obiettare a quella trasfusione.

Durante il terzo mese dovetti riapprendere le abilità più semplici, come stare seduta, mangiare, fare pipì... Camminare era ancora complesso, i muscoli delle gambe troppo intorpiditi per sorreggermi. Ci riuscii solo al quarto mese, ma comunque non andai molto lontano. Il percorso che dal letto mi portò fino alla finestra all'altro lato della stanza sembrò più simile a una maratona, per la fatica che feci.

Inoltre, fu una delusione.

Speravo che, guardando fuori, avrei potuto comprendere qualcosa sul luogo in cui mi tenevano rinchiusa. Invece, sorpresa! Quella non era una finestra. Sembrava più un ologramma, una sorta di fotografia che rispecchiava lo scorrere del tempo, luce e buio a orari prestabiliti. Mi aveva del tutto fuorviata, vedendo addirittura le foglie ingiallire e cadere dagli alberi.

Quel bel paesaggio innevato non era reale e credo fu questo a iniziare a farmi insospettire per davvero. O forse quel misto di tecnologie innovative e arredamento spartano che mi circondava. Oppure il fatto che l'uomo non aprisse mai bocca, neanche per un semplice saluto. O che nessuno fosse ancora venuto a trovarmi.

No mamma, no Roy... Bloody Hell, persino vedere De Lacey mi avrebbe tranquillizzata.
Tutto ciò che mi rimase da fare era osservare Silent Man e sperare di riuscire a comprenderne le reali intenzioni.
Il fatto che non parlasse poteva non essere  indicativo di una sua ostilità e se avesse voluto nuocermi avrebbe potuto farlo durante tutto il tempo in cui ero stata inerme.

Insomma, perché darsi tanto da fare per curarmi se avesse avuto cattive intenzioni?

Eppure, il mio istinto era in allerta e questo mi rendeva molto diffidente. Era raro che il mio istinto sbagliasse. In effetti, aveva fatto la differenza tra la vita e la morte molte più volte di quanto volessi contarne, salvandomi prima che la mia coscienza avesse modo di riconoscere il pericolo.

Tuttavia, senza fatti, non avrei potuto muovere accuse. Quindi, ecco i fatti: maschio, tratti somatici orientali, naso piccolo e stretto, zigomi rotondi e morbidi, pelle dorata, capelli corti e scuri come gli occhi a mandorla. La statura non era facile da stabilire avendolo sempre visto da sdraiata, ma ero portata a credere fosse simile alla mia, quindi non basso, visto che ero attorno al metro e ottanta. Il suo incarnato era pallido, e intendo proprio cadaverico. Non come la tonalità bianco fantasma che poteva raggiungere la mia pelle, grazie al retaggio scozzese da parte di mio padre, ma comunque sembrava un dorato spento. Come di chi vede la luce del sole di rado.

E a proposito di luce del sole, quelle quattro mura, per quanto carine e colorate, avevano cominciato a starmi strette. D'accordo, non che riuscissi ancora a fare grandi camminate.

Irrequieta, iniziai a perlustrare la stanza in cerca di qualcosa con cui impegnare la mente. L'arredamento non era nulla di che, come avevo già constatato. Le tecnologie nuove come quello strano ologramma al posto della finestra o le lampadine simili a curiose alghe luminescenti riuscirono ad attrarre il mio interesse per breve tempo. Per fortuna, scoprii un ripostiglio segreto dietro un mattoncino a vista nell'angolo a sinistra della finta finestra. Vi era stato inserito un piccolo libricino rilegato in tela, qualcosa di simile a un diario.

Passai lungo tempo a studiarne le scritte, molte delle quali apparivano parole in un alfabeto latino. Talmente tanto tempo che alla fine conclusi si trattasse di una lingua, ma non era una che conoscevo. Aye, assurdo, considerando che parlo in modo fluente sette lingue e conosco i rudimenti di altre quattro.

La mia supposizione migliore fu che si trattasse di un codice, quindi provai a decifrarlo come tale. Nel giro di tre settimane riuscii infine a ricavarci qualcosa e no, non lo stavo più utilizzando come ventaglio!

Quella strana lingua era un misto di altri linguaggi, una sorta di esperanto, in cui riconobbi ceppi indoeuropei, ma anche sinotibetani e afroasiatici.

L'esempio con l'esperanto era quanto di più azzeccato, in effetti, e il fatto che, oltre alle sette lingue, conoscessi anche quella, mi aiutò non poco a coglierne la struttura grammaticale. Fu così che riuscii a intrattenere la mia prima vera conversazione con un'altra persona dopo più di settanta giorni passati a chiacchierare tra me e me.

Non mi prenderò il merito per averla fatta iniziare, però. Fu Silent Man (il cui soprannome adesso avrei dovuto cambiare) a parlare per primo.

D'accordo, non compresi affatto ciò che disse e adesso mi rendo conto che con ogni probabilità fu un verso e non una vera parola, però mi diede il coraggio per provare a parlargli.

May I know where I am? — domandai.
Lui mi puntò contro uno sguardo vacuo, dal che dedussi non conoscesse l'inglese.
Ci riprovai — Qui êtes-vous? Gde zhe ya?
Continuò a guardarmi perplesso. Erano da escludere anche francese o russo.
Wie haben Sie mich wieder zum Leben erweckt?

Nulla. D'accordo, le lingue europee gli erano estranee.
Con cosa avrei potuto provare ora?
Arabo, magari? Conoscevo abbastanza anche di swahili per farmi comprendere. Oppure...
Dopo aver tentato persino col mandarino, presa dall'esasperazione, usai il linguaggio del diario.
I suoi occhi si illuminarono. Hooray! Alla fine mi aveva capita.
Bloody Hell, non era l'invenzione di un qualche Tolkien in erba che cercava di costruire una lingua artificiale per una sua versione de Lo Hobbit.

—Sei ad Arduinna e questa è casa mia— rispose No Longer Silent Man nella stessa lingua.
—Come hai fatto a riportarmi in vita? — tornai a chiedere.
Lui aggrottò le sopracciglia — Non sei mai morta, ragazza. Eri in Stasi—

Non compresi quell'ultimo termine. Forse un errore nelle mie abilità amatoriali di traduzione. Quindi glielo chiesi e fui ricompensata da una lunga ed elaborata spiegazione del procedimento che aveva permesso di resuscitarmi... Anzi, più che altro risvegliarmi. In effetti, tra la difficoltà lessicale e le mie conoscenze mediche rudimentali, riuscii a comprendere giusto qualche elemento, che ora cercherò di riassumere per sommi capi: non ero mai morta, innanzitutto. Prima che ciò avvenisse, ero stata messa in una sorta di ibernazione criogenica, che l'uomo definiva Stasi. Una condizione in cui sarei rimasta fino a che la tecnologia di micro-medicazione a cui mi avevano sottoposta non fosse stata in grado di guarire la mia ferita in modo definitivo.

Et voilà. Ero risorta. 

Chissà quando avevo aderito a questa iniziativa scientifica... Era probabile fosse scritto in uno di quei moduli che mia madre mi aveva fatto firmare non appena aveva scoperto del mio lavoro. Aye, forse era stato specificato in una delle clausole di quello riguardante la donazione di organi!

Non che fosse importante, visto che ormai il danno era stato fatto. Anche se definirlo danno non era del tutto corretto. Alla fine, mi aveva salvato la vita.

In ogni caso, come sospettavo, ad avermi risvegliata dal mio riposino di bellezza era stato proprio No Longer Silent Man e ora si prendeva cura di me, supervisionando i miei parametri vitali ogni giorno per assicurarsi che il processo di uscita dalla Stasi proseguisse in modo ottimale.

Se mi sentivo ancora stordita, infatti, era per colpa di essa, come mi spiegò. Gli effetti collaterali col tempo sarebbero passati ma, per il momento, era meglio continuare a tenermi monitorata.
Queste almeno furono le sue parole.

Dovete sapere che nel mio lavoro ero molto abile a ricavare informazioni dalle persone, anzi, si potrebbe dire che gli interrogatori fossero la mia specialità. Ero un fantastico segugio, e questo significa anche che ero davvero brava a riconoscere le menzogne. Più che brava, in effetti, ero stata addestrata in modo specifico per quello. I gesti, la postura e le micro-espressioni erano captati dal mio cervello allo stesso modo delle parole emesse e... Beh, mentre l'uomo parlava, nella mia testa si erano accesi talmente tanti allarmi luminosi da fare invidia al cielo di Londra nel giorno di Capodanno!

Troppi indicatori. Microespressioni incongruenti, gesti manipolatori eccessivi...

Non mi stava dicendo la verità, ci avrei potuto scommettere la vita. E forse era proprio quel che rischiavo di fare, considerando che dipendevo interamente da lui.

Durante la settimana che seguì, iniziai a fargli qualche domanda vaga per cercare di ottenere informazioni sul luogo in cui mi trovavo, questa Arduinna, città di cui non avevo mai sentito parlare, cercando nel frattempo di cogliere qualche spiegazione sul motivo per cui avrebbe voluto danneggiarmi. Lo ammetto: seguendo la logica, non avrebbe avuto alcun senso riportarmi in vita per poi farmi del male. Troppo lavoro. Di certo sarebbe stato più facile rapire un qualche senzatetto nelle zone malfamate di quella città. Tutte le città ne hanno una, sicuramente quella non faceva eccezione. Eppure, il mio istinto sbagliava di rado e diceva che quell'uomo aveva un secondo fine.

Purtroppo, non era uno di molte parole e, invece che mettersi a conversare con me, mi sommerse di libri. Sembravano tutti manuali nuovi di zecca, come se non li avesse mai sfogliati in vita sua, e fui tentata di non aprirli neanche, considerando che non avrebbero potuto rivelarmi nulla su quell'uomo.

Invece, spinta dalla noia di quelle giornate passate a leggere e rileggere il diario per fare pratica con la nuova lingua, decisi di aprirne uno, quello di storia... E rimasi sconvolta a tal punto che quasi ebbi un altro arresto cardiaco!

Per forza non avevo mai sentito parlare di quella città, né riconoscevo la lingua parlata. Era passato quasi un millennio dalla mia nascita!

Continua...


Note
For God's sake: trad. dall'inglese, "per l'amor di Dio".
Silent Man: trad. dall'inglese, "Uomo Silenzioso".
No Longer Silent Man: trad. dall'inglese, "Non più Uomo Silenzioso".

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