capitolo 18
Adam impiegò delle ore a capire cosa fosse andato storto nella mia macchina, per fortuna si trattò solo di un qualcosa che si era staccato da un'altra cosa ma che si poteva riattaccare facilmente, per fortuna non sarebbero serviti pezzi di ricambio. Restammo con lui tutto il tempo per tenergli compagnia parlando del più e del meno. In realtà a parlare erano più che altro loro due, mentre io mi limitavo ad ascoltare. La cosa non mi dispiacque affatto. Matt non cercava più di fare domande sul mio conto.
«Tu da dove vieni? Non mi sembri di qui.» Mi parlò Adam, nascosto sotto il cofano dell'auto.
«Miami.» Risposi in modo fiero. Amavo la mia città. Lui fece riemergere la testa per guardarmi un momento prima di tornare al lavoro.
«Scommetto che danno feste fantastiche tutto l'anno.»
«Scommetti bene.» Iniziai a ricordare vari momenti delle molte feste a cui ero stata con i miei amici. Più della metà erano sulla spiaggia. Adoravo essere sotto il cielo notturno mentre mi divertivo, era come se la mia felicità durante quelle poche ore di divertimento non potesse avere nemmeno i limiti di un soffitto, perché l'unico tetto che avevamo sopra di noi era fatto di stelle.
«Credevo che le feste non ti piacessero.» Si inserì Matt. «Ti sei fatta pregare per venire a quella di sabato.» Si lasciò sostenere dal fianco della macchina e incrociò le braccia al petto, scrutandomi attentamente con quegli occhi luminosi.
«Una volta mi piacevano le feste.» Ammisi. «Ora non più.» mi strinsi nelle spalle per sottolineare il fatto che non mi importasse dell'argomento. Le persone possono cambiare idea.
Durante un momento di silenzio tra di noi, vidi Chris uscire dall'edificio con Emily nella mano e si diressero verso la sua auto. Scesi dal muretto su cui mi ero seduta e andai loro incontro nel momento in cui Chris stava per passarci davanti con l'auto. Lo feci fermare e lui abbassò il finestrino per parlare.
«Si, agente?» Fece lo spiritoso.
«Molto divertente.» Gli feci un sorriso ironico. «Dove andate?» Emily, sul sedile posteriore, era concentrata nel tentare di mettere un tutù giallo al suo koala di peluche.
«Non preoccuparti. Farò in modo che si possa divertire solo con uno scatolone trovato per strada.» continuò a prendermi in giro senza darmi una risposta. «Avrà almeno il diritto di fare una passeggiata nel mondo esterno, no?»
Emily non era ancora riuscita a infilare quel tutù e non credevo che ci sarebbe mai riuscita, quel koala era decisamente in sovrappeso.
«Hai minacciato Matt di morte?» Lo accusai.
Lui non parve assolutamente pentito, anzi, sfoggiò un sorriso soddisfatto.
«Ha funzionato?»
«Era terrorizzato.» Presi le sue difese. «Perché l'hai fatto?»
«Così ora avrà paura di me nel caso abbia intenzione di farti soffrire.» Disse con ovvietà. Senza aggiungere altro, mi fece allontanare dalla portiera e partì. Senza darmi l'occasione di ribattere.
A volte mi capitava di dimenticare che era lui l'adulto, era lui che ci stava facendo da padre.
Tornai dai due ragazzi, che si immersero in una discussione riguardo un giocatore di basket, mi pareva, ma io non ne sapevo niente.
Trascorsero un paio d'ore prima che Adam finisse il suo lavoro. Lo invitai a restare con noi ancora un po', mi piaceva la sua compagnia e rendeva le cose con Matt più normali.
Più da amici.
«Si, credo. . . cioè, forse è meglio di no. Ho delle cose da fare.» Adam rifiutò nonostante le mie insistenze, quindi lo ringraziai ancora per la macchina e Matt mi riportò in casa decidendo di ordinare cinese per pranzo, dato che nessuno dei due aveva voglia di cucinare.
«Non posso credere che tua abbia accettato.» Mi disse buttandosi sul divano, vicino a me, mentre io cercavo qualcosa da guardare nell'attesa.
«Non era quello che volevi?» risposi con lo sguardo fisso sulla televisione. Non trovavo niente che mi piacesse, ma devo ammettere che non prestai molta attenzione a quello che stavo facendo perché la vicinanza tra i nostri corpi mi permise di sentire ancora il suo profumo invadermi le narici. Era così familiare che mi procurava uno stato di serenità assoluta.
Matt non impiegò molto a rispondere.
«Si, ma non capisco perché hai detto di si a lui e non a me.»
"Bella domanda" pensai. Nemmeno io sapevo perché avessi accettato. Me ne ero pentita subito dopo, quando avevo realizzato che sarei veramente andata ad una festa che sapevo al 90% avrei odiato.
«Aveva valide argomentazioni.» Il mio orgoglio mi impedì di dire come la pensavo veramente.
Smisi di cercare qualcosa in televisione, mi voltai verso di lui quando non sentii una sua risposta e lo vidi con gli occhi indignati e la bocca semi aperta per creare la stessa espressione.
«Ha detto che sarebbe morto di crepacuore! Questo, per te, è una valida argomentazione?» Mi chiese, ma ero certa che fosse una domanda retorica, solo per sfogarsi.
Io abbassai gli occhi e trattenni un sorriso. Era stata forse la frase più stupida che avessi mai sentito eppure mi aveva convinta.
«Si» risposi a bassa voce. «Qual è il problema? Volevi che venissi alla festa e ci verrò, è così importante chi mi ha convinta?» Matt sbuffò, probabilmente perché sapeva bene che avevo ragione.
«Posso almeno accompagnarti?»
Non ero sicura della risposta. Lo guardai con la coda dell'occhio riportando il volto verso lo schermo della televisione.
«Come amici.» Aggiunse quando notò chiaramente la mia indecisione.
In teoria non ci sarebbe stato niente di male. Si sarebbe trattato di darmi un passaggio e gli amici lo fanno.
«Okay.» Accettai e mi imposi di non guardarlo perché ero certa che avesse esposto uno di quei sorrisi presuntuosi che mi avrebbe solo fatto perdere la mia serietà e svelare quanto la cosa mi stesse accelerando il respiro.
«Cosa guardiamo?» Cambiò argomento voltandosi verso la TV. Io sorrisi lievemente, felice di averla scampata e gli dissi che non mi piaceva niente. Poco dopo suonarono alla porta e lui andò a prendere da mangiare, per poi tornare da me con due vaschette piene di meraviglioso cibo spazzatura cinese.
Mentre mangiavo la mia porzione, però mi sentii un po' ipocrita; dopotutto avevo vietato a Chris il cibo spazzatura e poi mi mettevo io stessa a mangiarlo.
«C'è una cosa che non capisco.» Esordì dopo aver ingoiato un groviglio di spaghetti. «Come pensi che possiamo essere amici, se non mi permetti di farti domande?»
Osservai i suoi occhi, meravigliosi. E dovetti ammettere che aveva ragione. Sembrava aver deciso di provare a modo mio, ma se non gli avessi permesso di conoscermi non saremmo mai andati oltre la "conoscenza da corridoio".
Abbassai lo sguardo verso la mia vaschetta e giocai con il cibo che conteneva.
«Non è che non puoi chiedermi niente.» Riportai i miei occhi su di lui. «Solo. . .»
Come gli avrei potuto dire di non dovermi chiedere della mia famiglia?
«Solo. . . niente sul mio passato.» Mi sembrò il modo migliore.
Matt alzò immediatamente le sopracciglia e prese un respiro per ribattere.
«Ma una persona la conosci grazie al suo passato! Vuoi dire che non posso nemmeno sapere qual' era il tuo gioco preferito da bambina? Non ha senso.» Concluse alzando le braccia lontano dal suo corpo. Un pezzetto di cibo, prima attaccato alle sue bacchette, era stato catapultato oltre il divano, ma non se ne accorse.
Ok, forse non avevo fatto la scelta migliore e mi trovai a dovergli dare ragione per la seconda volta.
«No, voglio dire, alcune cose certo che puoi saperle.» Mi bloccai un momento, poi mi buttai senza paracadute. «Facciamo così:» dissi in modo deciso, mascherando la mia ansia, «tu non chiedere niente della mia famiglia e io farò lo stesso per la tua.»
Mi sembrò ragionevole quando mi ricordai che la sua casa era così fredda, senza la minima fotografia di un parente. In quel momento mi ritrovai a sperare davvero che anche lui avesse qualche problema con la sua famiglia.
Matt tornò lentamente tranquillo, riavvicinò le braccia e inserì le sue bacchette nella vaschetta degli spaghetti. Mi rivolse uno sguardo che si trovava a metà strada tra la confusione e la tristezza, poi interruppe quel contatto portando la sua attenzione al cibo con cui stava giocando. Proprio come me poco prima.
Ci avevo preso. Anche lui aveva qualcosa nascosto.
«Andata.» Disse in modo un po' distaccato.
Rilasciai un respiro che non mi ero accorta stessi trattenendo e avvertii chiaramente un peso sollevarsi da me.
Matt parve riprendersi subito, formò un sorriso sereno sulle labbra e mi riportò alla sua attenzione.
«Allora, come si chiamava il tuo amico immaginario?»
Sorrisi alla rapidità con cui il suo tono avesse ritrovato il gioco.
«Cosa ti fa credere che avessi un amico immaginario?»
«Tutti ne hanno avuto uno da piccoli.»
«Anche tu?» Sorrisi al pensiero di un piccolo Matt che vive avventure immaginarie.
«Certo, si chiamava Lollo e veniva da Amsterdam.» Disse alzando il mento.
Mi fu impossibile evitare di ridergli in faccia. Sembrava così orgoglioso del suo amico europeo.
«Sono contenta per te, ma io non ho mai avuto un amico immaginario.» Gli confessai e vidi ancora una volta quello sguardo indecifrabile che mi metteva in imbarazzo. Questa volta tornò alla realtà senza il mio aiuto.
«Un bel cambiamento dalla Florida al Missouri. Ti manca Miami?»
Si, mi mancava ogni giorno. Era il posto dove ero nata e cresciuta. In quella città avevo vissuto tutte le prime esperienze. Mi tornò in mente la gelateria vicino alla mia scuola e le volte in cui mi trovavo lì con i miei amici per poi spostarci in spiaggia, durante i sabato pomeriggio.
Sollevai lievemente le spalle quando gli risposi.
«Non molto.»
Mi mancava il mare con il rumore delle onde che si infrangevano sulla sabbia e che nelle ore calme, quelle in cui c'erano meno persone per le strade, e con il vento a favore, si potevano sentire anche a chilometri di distanza. Ma momenti così erano rari; mi capitò solo due volte di potervi assistere e non le scorderò mai.
Scacciai i ricordi prima di perdermi definitivamente quando mi accorsi di star fissando un punto indefinito nello spazio.
«E tu? Sei nato da queste parti?» Spostai l'attenzione su di lui, sperando non si fosse accorto della mia breve assenza e riportando l'attenzione alla vaschetta quasi vuota nelle mie mani. Ci buttai dentro le bacchette. Mi era passata la fame.
«Nato e cresciuto qui in Columbia.» Mi rispose con solennità. «Non sono nemmeno mai uscito dallo stato.»
Stava per aggiungere qualcosa ma fu interrotto dalla suoneria del mio telefono.
Lo estrassi velocemente dalla tasca dei pantaloni cercando di non fare disastri con il cibo che avevo in mano.
Era Allison.
«Pronto.» Risposi subito.
«Ciao Elsa, come va?» Ma non mi diede il tempo di rispondere che subito riprese a parlare. «Sei occupata? Perché se lo sei e ti disturbo posso anche aspettare e potresti richiamarmi tu quando-» Cominciò a parlare a raffica con un tono abbastanza titubante e io feci fatica a starle dietro.
«Allison va tutto bene, hai bisogno di qualcosa?» Le chiesi sperando non fosse agitata per qualcosa di grave.
«No, voglio dire, si ma, ecco. . .io. . .» Sentii che prese un respiro profondo per calmarsi e poi riprendere a parlare.
«È successo qualcosa?» Iniziai a preoccuparmi e Matt incrociò il mio sguardo e mi chiese se qualcosa non andasse mimando le parole con le labbra. Io gli feci segno che andava tutto bene e prestai attenzione alla risposta di Allison.
«No, niente di grave, solo che vorrei parlarti perché. . .sei a casa? Posso passare da te?»
«Ehm. . .veramente, sono vicino casa. . .aspetta un secondo.» Allontanai il telefono dal mio volto e mi rivolsi a Matt che mi stava ancora guardando interrogativo.
«Ti dispiace se me ne vado ora?» Non mi era mai piaciuto disdire un programma a causa di un imprevisto, anche se si trattava di Matt, ma dal tono di Allison mi era sembrata una questione abbastanza importante. «Sembra che abbia una piccola crisi.»
«Ehm, no.» Mi rispose un po' titubante probabilmente perché non capiva cosa fosse successo. «Nessun problema.»
«Davvero?» Chiesi conferma e lui mi annuì portando la sua attenzione al cartone col cibo che aveva in mano.
«Allison» ripresi il telefono. «Va bene, vieni da me.»
«Ne sei sicura?»
«Sicura. Ti aspetto.» Attaccai dopo averla salutata e cominciai a prendere la mai roba per tornare a casa. Rimettendo il cellulare in tasca ripensai al messaggio dello sconosciuto, ma non aveva ancora risposto.
«Va tutto bene?» Mi chiese Matt leggermente preoccupato.
Finii di allacciare i miei stivaletti e misi il telefono in tasca.
«Certo. Credo che Allison abbia bisogno di parlarmi, ma niente di grave. Almeno lo spero.» Presi la giacca che avevo abbandonato sullo schienale del divano e la indossai. «Sei sicuro vada bene? Ti avevo detto che saremmo stati insieme un giorno.»
Anche lui si alzò e mi accompagnò alla porta.
«Allora ti piace la mia compagnia.» Esordì compiaciuto.
«Mi dispiace non mantenere la parola.» Lo corressi velocemente, sorridendo della sua presunzione.
«Non è uno di quei trucchi salva appuntamento dell'amica che chiama con un'emergenza, cosi puoi scappare via senza sembrare una stronza, vero?»
Risi, chiedendomi se esistesse davvero qualcuno che lo facesse.
«Questo non era un appuntamento.» Lo corressi di nuovo. «Anche se, effettivamente, sarebbe stata una buona idea.»
Gli lanciai uno sguardo divertito mentre mi infilavo la giacca. Lui mi accompagnò alla porta e io mi voltai per salutarlo, afferrai la maniglia della porta per aprirla con una lentezza impressionante. Era come se tutto il mio corpo fosse paralizzato e non riuscissi muovermi ad una velocità normale. Avvertii l'aria di ottobre insinuarsi sotto la felpa leggermente alzata e pungermi delicatamente la schiena.
Matt si avvicinò a me.
«Ciao» mi salutò e continuò ad avvicinarsi. Capii che stava per darmi un bacio sulla guancia e uscii di lì prima che potesse farlo, richiusi la porta dietro di me. Se fossi rimasta, mi sarei sottratta esplicitamente dal bacio e avrei dovuto spiegargli come mai non mi facevo baciare, con il rischio che pensasse che non mi piaceva per niente. Perché lui non mi piaceva in quel senso, ma se mi fossi sottratta avrebbe pensato che mi facesse così schifo da non accettare un suo bacio sulla guancia e io non volevo che pensasse questo, perché mi piaceva, ma non in quel senso. Non so se avesse senso quello che pensai. Aveva senso?
Era talmente contorto come pensiero che quasi mi venne il mal di testa, solo per giustificare una cosa che non era neppure successa!
Attraversai la strada e salii le scale del mio palazzo in fretta.
Aprii la porta nel silenzio assoluto, chissà se Chris avesse mantenuto la sua parola. Non ebbi nemmeno il tempo di pormi la questione perché pochi secondi dopo aver tolto la giacca suonarono alla porta.
«Arrivo!» gridai a Allison quando suonò con più insistenza. Doveva essere qualcosa di davvero importante che doveva dirmi, data la grande impazienza.
Quando aprii la porta per farla entrare aveva un volto sconvolto e leggermente arrossato. Mi superò senza nemmeno salutare e si lasciò cadere sul divano a pancia in giù. Mugugnò qualcosa con la faccia premuta sul cuscino, non curante degli occhiali che si sarebbero potuti rovinare nell'impatto. Chiusi la porta e mi andai ad appoggiare allo schienale con le braccia.
«Ciao anche a te.» La presi un po' in giro e lei sollevò la testa per guardarmi.
«Dimmi che conosci qualcuno con una macchina del tempo.» Si espresse in un lamento. Io sorrisi e scossi la testa prima che lei ributtasse la faccia nel cuscino per emettere un altro verso di frustrazione.
«Allora dammi una botta in testa abbastanza forte da farmi dimenticare le ultime ore.» Parlò con la voce smorzata dal cuscino. Non sembrava intenzionata a riemergere.
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Cosa sarà successo alla dolce Allison?
Ma soprattutto, chi può dire di avere un amico che viene da Amsterdam? Non importa che sia immaginario, voglio conoscere questo Lollo, voi?
Vi ricordo di lasciare una stella per aiutare sempre la storia a crescere!
XOXO
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