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Profezia

25 settembre 1983

Una veggente ha una visione.

Un cavallo è lanciato in un galoppo sfrenato. Gli occhi sono sbarrati ma ciechi, le froge dilatate all'inverosimile, la bocca sbava schiuma rappresa lunga il collo e i fianchi, il manto è chiazzato, madido di sudore.

Lanciato al massimo delle sue possibilità, il cuore potente che si scuote parossistico nel costato come voglia schizzar fuori dalla gabbia toracica, l'animale si dirige impazzito verso un precipizio, al di là del quale un muro di nebbia fitta nasconde ogni cosa.

A pochi attimi dal bordo si materializza su di lui un uomo, aggrappato alla criniera, la bocca spalancata in un urlo d'orrore. Pochi attimi per guardarsi intorno, incredulo, per capire, per immaginare, per reagire.

Il cavaliere si china sul collo della bestia afferrando le briglie, si prepara, e attraverso le gambe strette attorno al torace di quella le trasmette un ordine.

Non c'è tempo per fermarla, impossibile deviarne la corsa. Allora, il cavaliere si salda al cavallo e dà di sprone, e quello si raccoglie e si slancia ciecamente, obbedendo. Si proietta nella nebbia.


La linea del tempo.


Il 1983 è l'ultimo anello della catena di eventi che mi serve per raccontare questa storia lunga quasi due millenni. La prima scena infatti, è collocabile addirittura nel primo secolo dopo Cristo, durante l'impero di Tito Flavio Domiziano. Seguiamo la traccia di questa narrazione così come ordinatamente si dipana nelle varie epoche:

90 d.C. Isola di Patmos.

L'indaco dell'Egeo brillava intenso sotto il sole. L'anziano teneva gli occhi socchiusi, ferito da quella intensità. Dall'alto del blocco di roccia vulcanica su cui era arroccato il suo rifugio, si ammirava splendido l'istmo che separava l'isola principale da uno degli scogli minori, pure abitato.

L'uomo canuto non poteva saziarsi di quella bellezza, che straordinariamente ancora poteva ammirare benché da tempo lontano, ormai, l'età avrebbe dovuto renderlo cieco.

"Dio mio, quanto è bello il tuo creato!", fu l'ultimo suo pensiero di quel mattino, il più sereno da molti mesi perché aveva finito di dettare le ultime visioni profetiche ricevute.

"Ero pronto da tanto", aveva confidato all'uomo premuroso che lo assisteva con reverenza, "ma questo lavoro andava prima concluso, evidentemente". Ora il rotolo era pronto, e Giovanni chiudeva gli occhi sorridendo.


Circa milleottocentocinquanta anni dopo, un'altra tessera della nostra storia si colloca nei pressi di Vladivostok, città affacciata sul Mar di Giappone, quasi sul confine Urss-Cina. Data: 9 settembre 1939.


Lunghe doglie, un parto complicato. Otto giorni dopo l'attacco della Germania nazista alla Polonia, che segnava l'avvio della seconda guerra mondiale, veniva al mondo in una povera casa contadina Stanislav Evgrafovič Petrov. È solo un neonato, ma i venti di guerra che soffiano alla sua nascita sembrano orientare il suo destino: da adulto sarà un militare, e anzi poco più che quarantenne sarà già tenente colonnello dell'Armata Rossa.


Dopo altri trentatre anni, in Italia, qualcuno spiega, a beneficio di chi vuole ascoltare, qualcosa di importante. Siamo in Piazza San Pietro, Città del Vaticano, nel1972.


Due sagome avanzavano affiancate.

"Io non credo di comprendere, padre. Credevo che l'Apocalisse di Giovanni fosse il libro profetico per eccellenza".

"Figliolo, esiste nel vecchio testamento un vero e proprio genere letterario che può definirsi 'Apocalittico'. Esso nasce per aiutare a sopportare l'insopportabile. Nasce cioè in momenti di estrema crisi per portare un messaggio di speranza. Si vuole insegnare che per quanto male possa scatenarsi, la conclusione sarà sempre quella della vittoria finale del Bene. Quindi, anche se il male sembra prevalere bisogna aver fiducia. Questo, è il messaggio! Sarebbe errato pensare agli apocalittici come a libri che rivelino dei segreti speciali e particolari sulla storia futura".

Il giovane seminarista seguiva a fatica il ragionamento del suo maestro. "Dunque le profezie non sono mai tali?", chiese.

La lunga tonaca nera di chi camminava sotto i portici accanto a lui svolazzò per effetto del vento.

"Le profezie possono eccezionalmente anche prefigurare il futuro, sì, ma rammenta che esso non è conoscibile che da Dio solo. A volte da lui giungono a un messagero immagini del futuro possibile, affinché vi si possa preparare o perché possa essere scongiurato un pericolo. Cosa dirai, però, in quest'ultimo caso? Che la profezia era sbagliata perché non si è realizzata?"

"Non so... se Dio conosce il futuro, non significa che esso è già scritto?", gli replicò il giovanetto.

"Che Dio sappia ciò che gli uomini faranno non significa che tutto sia già deciso. Ogni uomo ha il libero arbitrio e può scegliere la sua strada: nessuno può sapere come egli agirà prima che l'abbia deciso".

Poi, all'allievo che scuoteva la testa, chiese se sapesse quante probabilità aveva di far uscire testa, lanciando una moneta in aria.

"Il cinquanta per cento", gli rispose.

"Al crescere del numero dei lanci otterrai una probabilità sempre più vicina al cinquanta per cento che compaia testa", riconobbe il maestro:"Tranne che la moneta stessa non sia truccata. Allora saprai in anticipo come cadrà.

Gli uomini sono monete truccate, per chi li conosce intimamente, le loro scelte sono prevedibili, da questo punto di vista il futuro stesso è piuttosto prevedibile. Tranne che una volta su mille, o anche più, una raffica di vento, il cedere di una trave, un qualche straordinario evento può rivoltare anche una moneta truccata".

Il seminarista si stringeva al petto il breviario. "Ma la fine del mondo verrà presto o no?", chiese infine.

Perché soprattutto quel concetto, gli premeva chiarire! E continuò:"Si dice che ci siano i segni delle antiche profezie, nell'aria, e che nei prossimi decenni potrebbe scatenarsi un'ultima guerra a cui nessuno potrebbe sopravvivere..."

L'anziano sacerdote sospirò. "Nessuno può risponderti, Costantino. Se pure vi fossero profezie che realmente segnalano i prossimi anni, comunque non indicherebbero che un pericolo, magari anche grave, ma non ancora ineluttabile. Ci indicherebbero solo un precipizio in cui ancora nessuno sa, se non Dio, se si può evitare di cadere".

E l'altro rabbrividì, con gli occhi sgranati.


Solo dieci anni dopo, nel 1982, negli USA veniva girato il film Wargames - Giochi di guerra


Erano gli anni peggiori della famigerata Guerra Fredda, termine usato per descrivere l'ostilità tra le due superpotenze, USA e URSS, non più risolvibile ormai attraverso una guerra frontale perché essa avrebbe messo in pericolo la sopravvivenza dell'umanità stessa.

La trama del film narrava di un giovane hacker che, tentando di introdursi nel computer di una nota casa di videogiochi, allo scopo di provare i suoi ultimi prodotti non ancora in commercio, inavvertitamente creava invece una connessione con un supercomputer della difesa americana.

Giocando col computer, studiato per sviluppare strategie atte a rispondere a un attacco sovietico, il ragazzino rischiava di innescare una guerra nucleare.

Il film portava sullo schermo il terrore che di fatto il mondo intero stava vivendo. Dotate entrambe le superpotenze di un arsenale atomico in grado di annientare tutte le forme di vita del pianeta, la pace si manteneva in quegli anni terribili sulla consapevolezza che attaccare l'avversario sarebbe valso ad autodistruggersi.

L'equilibrio del terrore soffocava il pianeta e, a dimostrazione che l'aggressività era reale e non solo di facciata, nello stesso anno in cui questo film emblematico usciva nelle sale i russi abbattevano senza esitazione un Boeing 747 sudcoreano, che aveva sconfinato nel loro spazio aereo, incuranti del fatto che trasportasse più di duecento civili, americani compresi.


Pochi mesi dopo, il 23 settembre 1983, qualcosa si ripetè identico come ogni anno da molte ere terrestri: l'Equinozio d'autunno.


Durante gli equinozi (dal latino "notte uguale") la giornata dura esattamente dodici ore in tutta la terra; due volte l'anno, il Sole sorge al polo sud, passa allo zenit all'equatore, tramonta al polo nord. Esso viene a trovarsi cioè esattamente sul piano dell'equatore terrestre, e determina l'avvento della Primavera o dell'Autunno.

Pur ignorandone i precisi meccanismi astronomici, quasi tutte le culture antiche considerarono gli equinozi giorni sacri, in cui praticare riti di conciliazione affiché gli dei si mostrassero benevoli, e preservassero gli uomini dalle catastrofi.

Negli almanacchi moderni, l'equinozio autunnale si verifica ogni anno o il 22 o il 23 settembre. Nel 1983 esso cadde di venerdì 23, segnando il termine dell'estate.


E infine due giorni dopo il calendario recò la nostra data, siamo all'ultimo atto; la scena che segue, nel tardo pomeriggio del 25 settembre 1983, ha luogo nel Bunker sovietico 'Serpukhov 15'.

"Colonnello Petrov, mi duole ma deve tornare in servizio, questa sera, l'ufficiale di turno è ammalato".

Fjodor veniva ad annunciare a me, Stanislav Petrov, suo diretto superiore, un imprevisto, una sostituzione.

Nel bunker 'Serpukhov 15', situato sul confine occidentale dell'Urss, ci alternavamo in centinaia, in una costante sorveglianza dell'attività militare americana.

Si era perennemente all'erta, nel timore di un attacco che sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro. L'ultimo 8 Marzo, il presidente americano Ronald Reagan aveva definito l'Urss l'impero del male, e aveva preso accordi per collocare missili nella Germania dell'Ovest; il clima si era arroventato facendoci temere di non essere mai stati tanto vicini al disastro.

La logica perseguita dalle due superpotenze era quella della Mutual Total Distruction, a ogni minaccia si era pronti a replicare con minaccia, a ogni attacco con attacco.

Eppure, ognuno di noi esiliava queste preoccupazioni a margine della propria vita, la sola storia in cui eravamo chiamati a essere protagonisti. In quella superiore, nella Storia con la esse maiuscola, ognuno di noi è solo un granello di sabbia che rotola su una immensa spiaggia, che un'onda di marea porta sotto il sole e già la successiva rimuove e trascina via nel mare.

Quella sera di Settembre, la voce di Fjodor mi urtò i nervi quanto il suono di unghie che artigliano una lavagna. Erano quasi venti giorni che attendevo qualche giorno libero per tornare a casa a festeggiare il mio compleanno, eppure pareva dovessi rimandare ancora.

Quarantaquattro era un numero notevole, un'età cui volevo tributare la giusta importanza. Mi sentivo bene nei miei panni, non più inesperto e ai piedi della scala gerarchica, e non ancora vecchio da non sentire più il sangue scorrere potente e voglioso nelle vene. Uomo adulto nel culmine della vita, mi sentivo, al cui comando quella sera sarebbero state sottoposte nella base ben centoventi persone, per via della seria indisposizione del responsabile inizialmente incaricato del turno.

Mi rassegnai sospirando, e all'orario del cambio di guardia fui nella sala controllo, il cuore elettronico del sistema Krokus.

Il Krokus era il fiore all'occhiello della nostra tecnologia militare: un sistema informatico avanzatissimo che permetteva di monitorare le attività missilistiche americane di tutto il mondo. Dal 'Serpukhov 15' monitoravamo i cieli russi, pronti a lanciare l'allarme in caso di attacchi nucleari.

La consegna da rispettare, se ciò fosse successo, era passare al contrattacco; l'ultimo primato da conquistare sarebbe stato quello di emulare Sansone: trascinare nella fine gli odiati nemici.

Ma nonostante la tensione internazionale fosse al massimo storico mai raggiunto, io ero di quelli convinti che l'equilibrio del terrore avrebbe retto, e che la consapevolezza che le nostre testate nucleari potevano realmente spazzare via l'intera popolazione americana, sarebbe stato deterrente sufficiente ad assicurare la pace.

Fu dunque assolutamente fuori da ogni mia aspettativa, che quattordici minuti dopo la mezzanotte (orario di Mosca) una spia si accese.

Un quadro comandi, una serie interminabile di luci spente, che sempre spente erano e dovevano restare. Invece...

Il sistema satellitare dava l'allarme, segnalando un missile lanciato; partito dalla base di Malmstrom, nel Montana; un missile armato di testata nucleare in viaggio verso il nostro territorio.

Nel silenzio sbigottito dei presenti, prese a ululare una sirena d'allarme e io vidi con la mente la mia città, stazione d'arrivo della transiberiana. Pensai al suo grande porto militare sul pacifico; sicuramente uno dei primi, possibili obiettivi.

Ma subito dopo la mente mi disse che non faceva differenza: nessun luogo, neppure il più sperduto, sarebbe scampato a ciò che stava per iniziare. Anzi: l'Apocalisse era già iniziata.

I miei ordini erano chiari: dal nostro Centro di allerta precoce, qualora il cervellone avesse segnalato una minaccia, avrei dovuto avvertire immediatamente la difesa aerospaziale perché partisse la controffensiva.

E questo, significava che il pianeta sarebbe stato devastato dalla terza guerra mondiale. Una guerra che non sarebbe stata commentata in alcun libro di storia; non sarebbero più esistiti, libri.

Deve essere un errore. L'idea mi si formò nitida in mente: deve essere un errore! Il Krokus era pur sempre una macchina... poteva incorrere in un guasto, in un malfunzionamento. Non aveva alcun senso, il lancio di un solo missile. Sì, mi dissi, non aveva senso lanciare un missile solo.

Che attacco era? Significava scatenare la guerra e farsi rovesciare addosso l'intero arsenale sovietico senza aver inferto che danni limitatissimi. Devo attendere, mi dissi, almeno qualche conferma dal sistema dei radar di terra della Difesa. Anche loro dovevano presto intercettare il missile, qualora fosse veramente stato lanciato.

Intorno a me, dopo la frenesia iniziale in cui tutti si erano precipitati agli strumenti a seguire l'evoluzione dell'allarme, era subentrato il silenzio e l'immobilità. Io solo, dovevo agire.

Mentre prendevo tempo, ripetendomi che non aveva alcun senso il lancio di una sola testata, la sirena silenziata scattò nuovamente. Il sistema rilevava un altro lancio.

Impietrito, fissai il quadro in cui una seconda spia si era accesa. Una terza. Una quarta. E nessun rilevamento dai radar di terra.

Una quinta.

Con mani tremanti aprii lo sportellino protettivo del pulsante che avrebbe comunicato al comando dell'Armata Rossa che eravamo sotto attacco.

Calcolavo che ora, con cinque missili in aria verso la mia patria, entro venti minuti esplosioni pari a 250 volte la bomba di Hiroshima avrebbero cancellato 50 milioni di uomini. Solo con l'impatto. E poi sarebbe venuto tutto quello che sapevamo seguire la terrificante onda radioattiva.

Non è possibile! Deve essere un errore. Continuava a martellarmi il cervello l'idea che potesse essere un errore della strumentazione. Se avessi spinto il bottone rosso collegato direttamente al Cremlino, i missili sovietici sarebbero partiti. Non solo cinque. Sarebbe stata la fine del mondo.

Il cuore mi batteva furioso, sentivo le pulsazioni in gola, e le tempie strette come avessi la testa tra le ganasce di una tenaglia. Presto mi avrebbe frantumato il cranio, e fatto schizzar fuori sangue e cervello.

Inizialmente sull'enorme schermo centrale nella sala aveva lampeggiato la scritta:'lancio'; ma ormai i missili avrebbero dovuto essere prossimi al territorio sovietico, e la scritta era mutata in: 'missili'.

Come è possibile, se i missili sono veri e sono in volo, che ancora non li abbia intercettati la difesa? Nessun altro allarme arriva, come è possibile? Mi sentivo la divisa umida di sudore ghiacciato e avvertivo senza poterlo dominare il tremito delle mani.

Calcolavo quanti altri minuti mancavano agli impatti, mentre i livelli di sicurezza previsti per il controllo dell'allarme confermavano uno dopo l'altro che il sistema era scattato.

Quella procedura partiva automaticamente e se pure non avessi premuto io il bottone, il sistema alla fine avrebbe fatto da sé. Tranne non l'avessi fermato segnalando al Cremlino un malfunzionamento.

Anche volendolo, non potevo rimanere inerte.

O premevo il pulsante, o fermavo la procedura.

Attesi fino all'ultimo un cenno dalla Difesa. Nessun radar segnalò nulla. Infine indirizzai ai vertici dello stato maggiore un avviso che Krokus era in stato di errore, interrompendo definitivamente l'allarme.

Le sirene smisero di ululare ma le spie silenziosamente continuarono a lampeggiare paurose, e nella sala ancora nessuno fiatò.

Sullo schermo erano visibili le traiettorie dei missili, ancora a due minuti dai loro obiettivi. Cominciò il countdown.

Tutto ciò che avevo amato in vita mia, venne a visitarmi: le immagini delle persone più care, quelle degli amici, della donna che avevo amato, squarci di paesaggi, il susseguirsi di cupole dorate del Cremlino... tutto rividi e rivissi, quarantaquattro anni in un nastro di cento secondi.

Non sapevo se veramente il nostro avanzatissimo sistema informatico avesse fallito. Sapevo che avevo deciso di non poter uccidere io, miliardi di persone.

Poi, le spie si spensero a pochi secondi dalla fine del countdown. E seppi che era vero, non c'era stato nessun missile. Lo seppi e le gambe mi cedettero, mentre Fjodor e quelli che erano attorno a me correvano a sorreggermi, adagiandomi su una sedia.


26 Settembre 1983.

Questa è la fine della visione della veggente: dalla nebbia è scaturita una terra, il cavallo ha scavalcato in un balzo un precipizio e i suoi zoccoli hanno calpestato nuovamente erba, sollevando zolle e precipitandosi oltre.

Chi è il cavallo cieco? Chiederà infine il lettore di oggi, stanco di misteri.

Caro amico del 2018, il cavallo è la Storia, quella con la esse maiuscola, cui noi apparteniamo. Siamo parte di lei, cellule del suo corpo immenso, viventi pochi attimi e costantemente rimpiazzate. Con lei corriamo verso il futuro, a volte verso un precipizio. Ognuno di noi è parte di lei eppure è assolutamente ininfluente. Tranne che a volte, miracolosamente, un uomo come noi venga materializzato sulla sua groppa, per pochi decisivi colpi di cuore.

Nella notte tra il 25 e il 26 Settembre 1983, un uomo si trovò a fissare inorridito lo strapiombo in cui la Storia stava precipitando. La moneta truccata però cadde sorprendentemente sulla croce; Stanislav Evgrafovič Petrov, generale dell'Armata Rossa, disobbedì agli ordini. Esercitò il suo libero arbitrio. Sventò le profezie, si buttò nella nebbia benché non vedesse cosa c'era oltre quella; egli cambiò così il percorso della Storia.

Per te oggi, lettore, il 1983 è il passato. Sappi che se allora non fosse stato cambiato, tu non leggeresti queste parole.

E occorre aggiungere qualche ulteriore precisazione. Nonostante siano stati, chiaramente, liberamente ricostruiti con l'immaginazione i pensieri e i sentimenti dei personaggi, del Giovanni evangelista autore dell'Apocalisse, come del seminarista Costantino, come del Tenente Colonnello Stanislav Evgrafovič Petrov, la vicenda narrata è assolutamente, terribilmente reale.

Reale l'angoscia che si visse in quel decennio, le mille voci di sventura che proclamarono profezie catastrofiche. Inizialmente silenziato dal Cremlino, l'episodio qui romanzato è ormai noto come l'Incidente dell'equinozio autunnale, ed è emerso solo dopo la fine della Guerra Fredda; evidentemente si tentò di insabbiare la notizia perché avrebbe offuscato la fama dell'URSS come potenza tecnologicamente avanzatissima. Si è potuta comunque anche individuare la causa dell'errore in cui incorse il Krokus: in presenza del particolare allineamento tra la Terra, il Sole e l'orbita del sistema satellitare, derivante appunto dall'equinozio autunnale appena trascorso, si generarono inaspettatamente dei consistenti riflessi solari su nubi ad alta quota, che il sistema erratamente identificò come lanci di missili.

A voi consegno quella che potrebbe essere un'ultima amara riflessione: come ricompensa per aver salvato noi tutti, il Cremlino degradò Petrov e dopo pochi anni lo prepensionò, intimandogli di non far mai parola con nessuno dell'accaduto.

Quest'uomo è morto lo scorso anno, in solitudine e pressoché in miseria. Perché la giustizia, si sa, non è di questo mondo.

Ma se provate per lui la gratitudine che provo io, forse riuscirete a sentire che il suo spirito non si è dissolto nel nulla e che ancora assolve, da una qualche dimensione a noi viventi inaccessibile, al ruolo che da sé ha scelto: proteggere il mondo dalla follia umana.

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