76. UN SEGRETO IN LIBRERIA
Era raro vederlo tra i libri, e per arrivarci aveva fatto di tutto per non esser visto. Da quando erano ritornati a casa, non avevano fatto altro che preparare i preparativi per festeggiare l'ultimo dell'anno, e il Natale.
Ciò che non poteva ancora accettare era la presenza di altri due demoni in casa: Quello dagli occhi di serpente e la ragazza in blu. Si era opposto in tutte le maniere. Aveva accettato la presenza della cugina di James in casa, a riposare. Aveva accettato il piccolo bambino Scimmia che non conosceva il Natale, ma la Vampira, il Serpente erano come un pasto pesante in tarda sera.
Fissava i libri con attenzione. Suo figlio George li aveva catalogati con impegno. In ordine alfabetico per genere. Aveva inoltre schedato ogni libro citando i sotto generi in un tomo posto sulla scrivania al centro della stanza.
Sospirò frettolosamente, pensando a quanto fosse attento e pignolo. Per lui, Elbert i libri andavano letti massimo una volta per poi conservarli e tenerli al sicuro, mentre per suo figlio sapeva che la conoscenza era ciò che rendeva un libro utile.
"I libri vanno letti, papà. Esistono per raccontare non solo per esser collezionati" .
Spiò sotto la scrivania cercando un simbolo. Quando sentì la porta aprirsi si nascose, cercando di farsi più piccolo possibile. S'inginocchiò, fissando i piedi di George avvicinarsi per fissare la guida sulla sua scrivania. Sentì i passi lontano subito dopo e la porta richiudersi il tempo per riprendere un altro libro.
Il nascondiglio era servito. Trovò sotto la scrivania al suo centro, un intaglio in oro, con la testa di un drago di profilo sopra uno scudo, il simbolo degli Ariston, non ne era sicuro prima, ma ormai gli era chiaro. Aveva trovato questo simbolo in più punti della casa.
Lo premette senza esitazione, e così facendo si aprì uno scomparto segreto, un cassetto con doppio fondo. Sapeva bene cosa cercare, era una cosa che si parlava nella sua famiglia. Gli occhi s'illuminarono alla vista di un vecchio taccuino: Diario di Jennifer Ariston -periodo seconda guerra mondiale-. Secondo la leggenda, i diari di Jennifer Ariston erano tre: periodo Vichingo, periodo oscuro e l'ultimo che ora, rivestito di cuoio era tra le sue mani.
Lo strinse forte, soddisfatto.
I diari erano stati nascosti tra le proprietà degli Ariston. Si tramandavano con gli anni vecchie storie, che la loro antenata fosse riuscita a vivere il più lungo possibile.
Aprì una pagina a caso del diario.
"Ho visto tante guerre in questa vita, molte le ho fatte io, di sacro pugno.
Mio padre aveva ragione, non c'è pace senza guerra. Seppur quei ricordi non sembrino più appartenermi, vedo mio figlio crescere e spero un giorno che la pace possa ritornare.
Il sogno che feci tanto tempo fa. Il patto tra umani e demoni inizia a svanire.
Insieme a quell'uomo, decidemmo di chiudere i passaggi, eppure credo che tra noi siano ritornati... "
Chiuse il taccuino soddisfatto, sapeva che il suo compito era quello di recuperare gli altri due. Uscì dalla biblioteca con aria furtiva.
Salì le scale, giungendo nei pressi del corridoio della stanza di Katie.
«Buona sera signor Elbert!» la voce del generale fermo nell'ombra lo fece sobbalzare. «È stata una giornata dura per sua figlia. So che odia il cigolio della mia armatura, quindi almeno per oggi...»
«È fermò nell'ombra» sospirò «Complimenti, se arriva, qualcuno lo uccide di sicuro».
La mano repentina del generale sulla fronte per il segno dell'attenti, lo fece saltare ulteriormente, mettendosi il taccuino sul petto.
«Dal nuovo anno, mi aspetto che anche voi partecipiate all'allenamento. Ho consentito alla principessa di riposare, ma dopo sarà in buone mani».
Elbert si limitò a sospirare recuperando fiato. Diede un'occhiata minacciosa al generale e poi continuò a camminare.
«Non li disturbi, la prego. Hanno discusso e ora stanno riposando tranquillamente».
«Chi, come quando, perché? Nello stesso letto?»
«Di là»
Elbert sbiancò alla vista dell'indice sonoro del generale puntare contro la stanza, corse trovando James e Katie dormire abbracciati sopra le coperte. Suo padre si morse la mano, avvicinandosi lentamente. Sentì uno strano rumore, brumbrum giungere dal ragazzo.
Strani pensieri lo attanagliavano, sbattete la testa contro il taccuino alla vista di quell'anello d'oro al dito di Katie.
Quel rumorino continuava interrottamente brumbrumbrum. Pensò che avrebbero fatto cose...
Gli occhi si spalancarono erano solo dei ragazzini e se l'avessero fatto già.
Morse quel taccuino chiudendo gli occhi per lo schifo che aveva assaggiato. Il sapore di muffa lo spinse a fare: "Bleah", mentre l'idea di piccoli gattini in giro per casa, uno, tre, quattro arrampicarsi sui muri, tende saltare di qua e di là. Trasformarsi in bambini e correre all'impazzata lasciati dai nonni, mentre loro rischiavano la vita in quell'altro mondo.
Sbattete di nuovo la testa contro quel diario.
Vide James muoversi nel sonno e abbracciarla più forte.
Katie sussurrò «Hai promesso, niente più segreti», continuando a dormire. Stava sognando?
Il motorino continuava a farsi sentire.
Elbert si avvicinò piano, giungendo al lato di Katie. Esaminò le braccia del ragazzo strette dietro la schiena.
Camminò lentamente al lato di James.
Attento a ogni singolo passo, spiando i loro gesti e assicurandosi che stessero ancora dormendo.
Giunto all'orecchio di James inizio a bisbigliare il suono di una zanzara.
Il ragazzo lanciò una mano contro il suo orecchio, si girò lentamente, aprendo gli occhi in piccole fessure.
Alzò la testa di colpo quando vide gli occhi di Elbert assassini su di lui.
Il padre nero di rabbia gli tappo la bocca prima che potesse urlare.
Indicò Katie e lo spinse a far silenzio.
Lo tirò da un orecchio, morbido e sottile.
«Che ho fatto sta volta?» bisbigliò mentre Elbert lo spingeva verso la porta.
«Non voglio gattini in casa per almeno altri vent'anni» affermò chiudendo la porta sul suo muso e poi chiudendola a chiave a tre mandate.
Il generale fissò basito il ragazzo grattarsi il capo e non capire.
Dall'altra parte Elbert fissò la sua bambina, giungendo delicatamente sul letto al lato della sua schiena, si sdraiò pensando a come stesse crescendo.
Katie era sempre stata più matura delle sue coetanee.
E tra pensieri e ricordi decise di dormire al suo fianco.
James oltre quella porta non ci stava, si chinò su di essa. La chiave ancora inserita era un bel guaio.
Cercò di farla cadere e per fortuna si riuscì. Aprì la porta restando basso. Vide Elbert dormire sul fianco di sua figlia con leggeri borbottii. Si tramutò in gatto sicuro che l'uomo non avrebbe fatto distinzione tra lui o Fim. Passò delicato fino ad appisolarsi accanto al pancino di Katie.
Sollevò il capo strizzando bene gli occhi a chi aveva disturbato il suo sonno.
Appoggiò le zampine una sopra l'altra e per finire posò la testa. Non era quello il momento della vendetta.
A passo tranquillo curioso della situazione arrivò Fim. Si mise a un angolo del letto. E si accovacciò anche lui.
«Buonanotte signora Giuliet» disse il generale quando la signora fece capolino nel corridoio.
«Ha visto Elbert?»
«Sono tutti in riunione lì dentro» alzò il braccio indicando la porta di Katie. Il cigolio di quella ferraglia le costrinse a otturarsi un orecchio.
«Perché non si toglie quella cosa arrugginita da dosso?»
«È la mia armatura!» costatò.
Giuliet proseguì stringendo gli occhi per il movimento di attenti del generale.
Spiò nella stanza guardando la dolce scena.
Un padre col braccio chino sotto la testa della figlia, una mano a grattarsi la pancia. Due gatti in dolci posizioni, uno stracciato verso Katie con la zampetta lunga sotto il suo petto, l'altro accucciato.
Entrò con delicatezza, l'invito era allettante, ma era difficile trovar posto.
Sposto leggermente James, ancora più al centro e delicatamente si stese chiudendo gli occhi di fronte a sua figlia.
Katie aprì leggermente gli occhi, alzò la testa guardando, sorridendo la sua famiglia attorno a lei, sbattete poi la testa sul cuscino, stanca e assonnata.
Dall'altra parte del corridoio George non riusciva a prendere sonno.
In casa c'era da qualche parte Faine con Undriu. Quando aveva invitato lei per rimanere a festeggiare non immaginava che il serpe si autoinvitasse.
Inoltre, Kuinda dormiva ancora profondamente nel suo letto.
Aveva letto un libro e iniziato un altro, ma il silenzio in casa l'aveva spinto a uscire.
La vista del generale sbirciare la stanza di Katie lo incuriosì da accelerare il passo.
«Che succede?»
La vista della famiglia su quel letto senza di lui lo spinse ad agire senza sentire la risposta del soldato.
«Banzai!» gridò saltando sul letto.
Tutti si svegliarono di colpo al peso di George steso sopra di loro.
Fim scese da letto, e poco dopo i piedi del letto cedettero uno a uno. E la famiglia si trovò più bassa di prima.
«George sempre tu!» disse Giuliet, sorridendo.
George si fece strada, mentre Elbert riprese a dormire come se nulla fosse successo.
«Geloso fratellino?»
George si accucciò, stringendosi tra Katie e Giuliet, mentre James salì sul pancino di Katie.
«Ho bisogno anch'io di un po' di attenzioni» e si preparò a dormire, ma qualcosa attirò l'attenzione oltre la spalla di Elbert sul comodino.
«Quel libro» bisbigliò alzando leggermente il capo. «Non l'ho mai visto».
Sua madre gli bloccò la testa dalla fronte portandola sul cuscino. «Dormi, adesso ci penserai domani, anche per sentire tuo padre quando scoprirà del letto».
«Non puoi aggiustarlo tu con la magia?»
«Dormi!»
«Ti prego mamma!»
Giuliet aprì un solo occhio, e poi lo richiuse. «Va bene ci provo».
«Puoi aggiustare anche a me una cosa?» disse Katie.
«Che hai rotto tu?» la testa di Giuliet si alzò di soppiatto.
«Una cosa di James, una lettera di suo nonno»
L'aspirante maga abbassò la testa sul cuscino. «Dormite, domani vediamo».
«Grazie» dissero i due in coro.
Il generale si accasciò lungo la parete, schiena contro muro, e si chinò per riposare.
Dall'altro lato oltre la piccola finestra, un serpente e un gatto nero dagli occhi blu fissarono la scena.
Undiu percepì un piccolo sorriso, un sorriso che sapeva di nostalgia.
«Perché ssssei venusssta qui?»
«Volevo controllare che era tutto a posto».
Si rannicchiò sulla finestra pronta per riposare.
«Vuoi dormisssre qua fuori?».
Faine si mise con lo sguardo verso l'interno. Voleva addormentarsi così, fissando l'allegra famiglia. Loro erano gli Ariston e questo Faine lo sapeva bene.
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