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12. PRIMA DELLA PARTENZA

La prima missione era stata superata: James e Katie con l'aiuto di Kuinda avevano preso il trio che perseguitava la città da tempo.

Katie era nella sua stanza a preparare la valigia, non sarebbe stato un viaggio lungo.

Disponeva al suo interno vestiti e libri di magia da una parte, e armi per possibili nemici dall'altra.
Il tutto recuperato tra le cose del padre.

La ragazza licantropo era stata rinchiusa in una gabbia d'argento e portata da Kuinda, nel loro mondo.

Katie si affacciava di continuo alla vetrata del suo balconcino, in attesa di vedere James arrivare.
Quella mattina doveva essere l'inizio di un'avventura tranquilla, invece, quel giorno si stava per trasformare in quello che tutti definirebbero: "Un insieme di casini".

Sentì il fischio del freno di una bicicletta giungere dalla strada, essa si era appena fermata davanti all'ingresso di casa Ariston: era Jonathan, il figlio del postino. Abitava all'angolo della strada, e spesso aiutava suo padre con le consegne nel quartiere, in modo da fare pratica.
Quando incrociò il volto di Katie delusa fissarlo, le fece cenno, per poi giungere alla porta per bussare.

«Chi è?» chiese Giuliet, aprendo la porta lasciando la catena inserita. James era stato chiaro sulle nuove regole da rispettare per la protezione della casa; tanto da far inserire anche in giardino una stana pianta, accanto alla porta, dicendo che sarebbe stata d'aiuto per cacciare forze ostili. George aveva seguito ogni sua idea alla lettera, e fatto da portavoce ai propri genitori, con la scusa del killer ancora in circolazione.

«C'è posta per sua figlia signora: è una raccomandata!»

Quando il giovane se ne andò, Giuliet salì da sua figlia. Lei l'aspettava seduta sulla valigia, cercando di chiuderla con tutte le sue forze.

«Katie questa è per te. Ma che fai?»

«Non si chiude! Eppure non ci ho messo granché dentro».

«Fammi vedere». Quando aprì la valigia tutte le cose incatastate con forza cercarono libertà. Schizzarono fuori, come spinte da una molla: libri, vestiti, ma sopratutto armi di vario genere.

«Vai in guerra cara?»

«Boh!»

«Come sarebbe:"boh"?» ribatté la madre afferrando un pugnale dal pavimento, e con esso aprì la busta da poco ricevuta.
Se vi state chiedendo perché non sia sconvolta per tutte quelle armi? La risposta è molto semplice; per anni Elbert dalla nascita di Katie aveva iniziato a metterle in testa tante strambe idee, tra cui, l'importanza di esser preparati contro creature pericolose e sconosciute. Per viver tranquilla aveva accettato e quasi non dato peso alle sue convinzioni, lasciando che suo marito giocasse con i suoi figli come voleva, perfino con la scherma mattutina.

"Gentile signorina Katie Elisabeth Loris Jennifer Ariston.
Le informiamo che le lezioni scolastiche riprenderanno tra pochi giorni: esattamente il 3 Ottobre dell'anno corrente, ci scusiamo per il disagio.
Firmato
La vicepreside
Ginevra Di Mitrio"

«Accidentaccio, ma è dopodomani!»

«Una balestra?» sua madre afferrò con la punta delle dita l'arma, inginocchiata sul suolo, iniziò a raccogliere tutto ciò che era traboccato. «Katie pretendo una spiegazione!».

«Come faccio? Dovevo partire oggi, ma James non è ancora venuto a prendermi, e sono già le 9 di mattina!»

«Mi spieghi che devi fare con una balestra, un pugnale, una sciabola? Una valigia così piccola non ti basta».

Katie continuava ad andare avanti, indietro agitando le braccia e tormentandosi i capelli.

«Vuoi anche un fucile?»

«L'ho preso grazie!» Uscì sul terrazzino, facendo un respiro profondo.

«Come sarebbe?»

A un tratto un pesante rumore di clacson di un'auto che sfrecciava a tutta velocità, spezzò quel momento di relax.
«Che succede, adesso?» Ormai Katie era disperata, si mise le mani sul viso alla vista di suo padre Elbert, uscire dall'auto con il figlio maggiore George e gridare: «Presto, preparate le valigie, traslochiamo!»

«Cosa?» gridò la madre, affacciandosi al terrazzino, mentre Katie era rimasta stesa a terra.

Intanto James era per strada. Vestito da umano, senza ne orecchie da gatto, ne coda, con il suo federe Fim sul braccio sinistro, mentre con il destro trascinava una piccola valigia che ad un tratto si aprì.
I passanti si chiesero che cosa dovesse fare quel ragazzo con tutte quelle cianfrusaglie; tra libri e amuleti di aspetto un tantino sinistro.
«Accidenti... sono in ritardo». Si abbassò a raccogliere il tutto, ma nella fretta, si aprì uno scomparto segreto, dove uscirono pugnali e strane pistole. Tutti lo guardavano in modo sospettoso. Fim era sceso dal braccio, mentre James era rimasto in ginocchio sbiancato. Le persone che si erano fermate per dargli una mano, indietreggiarono. Lui in gran fretta prese tutto e corse via a gambe levate.

«Riuscirà a passare la dogana?» si chiese uno dei passanti.

Giunto finalmente nei pressi della casa della ragazza, si trovò circondato da camion con enormi scritte sulla fiancata bianche e verdi: "New location". Si allarmò quando vide caricare su questi camion mobili e scatoloni, portati via dalla casa di Katie. Fu tentato di usare il suo ciondolo, ma un miagolio di Fim lo tranquillizzò, portando alla sua attenzione la presenza di George vicino ad uno degli addetti.

«Ehi cognatino umano!» lo salutò George, ironizzando la mancanza delle sue solite orecchie a punta, e coda.

James, infastidito con un solo salto riuscì a raggiungerlo, mentre l'uomo che prendeva appunti accanto a lui, rimasto a bocca aperta, e in modo disinvolto tolse il disturbo, facendo un passo indietro per poi voltarsi a correre.

«Idiota, così fai cadere dei sospetti!» affermò James, costatando che il termine "umano" era troppo strano da usare contro un ragazzo normale.

«Ehi! Sei tu che sei saltato come un imbecille!»

«Che state combinando?» chiese guardandosi intorno alla ricerca di una bionda chioma.

«Ehi, chi sarebbe "cognatino umano"?» interruppe Elbert sbucando dal finestrino del camion alle loro spalle.

«Papà, ti ricordi di lui? Il fidanzatino di Katie».

«No, non ricordo!» "Come se fosse facile dimenticarlo"pensò tra sé. Fece un respiro e continuò: «Cosa vuoi, qui?»

«Ecco... vede, volevo portare sua figlia a conoscere i miei».

D'un tratto il padre aprì lo sportello, suonando la porta in faccia al figlio maggiore, che fece uno strano verso.

«Mi dispiace. Mia figlia è già a casa con sua madre».

Il "ragazzo" inclinò la testa per guardare la villa.

«Non questa, sciocco!» lo rimproverò rimettendogli la testa diritta, con la forza delle sue mani.

Elbert risalì nel furgone, mise in moto il camion e partì.
L'uomo, che prima era fuggito, iniziò a seguirlo gridando. Agitava le mani talmente tanto che il suo taccuino degli appunti volò e finì sulla testa del piccolo Fim.

«Vieni con me!» bisbigliò George, con un sottile fiato di voce, mentre si strofinava la fronte a causa della botta da poco ricevuta.

«Che cos'è questa?»

«È un'auto!» rispose soddisfatto, indicando la sua Ferrari rosso fuoco.

«Lo so, anche se vivo in un bagno, non sono stupido!»

«Dov'è che vivi?»

«Lasciamo perdere».

George posò la valigia di James nel portabagagli, e salirono in auto. Fim si posò sulle gambe di James, ed insieme seguirono il camion, fino ad arrivare ad un'enorme villa.

«È fantastica!»

«Ti piace? È talmente grande che se vuoi, puoi vivere con noi».

«Sul serio?...» L'entusiasmo del demone si percepiva. Per la prima volta, si sentiva amato, considerato. Non era più solo.
«Ormai stai per essere di famiglia, no?»

George sorrise all'entusiasmo di quel ragazzo. Si convinse che se pur si trattava di un "demone", quel ragazzo non era altro che un semplice adolescente.
Percepì il suo entusiasmo per le piccole cose. Notò come James per tutto il viaggio fosse rimasto a fissare il suo modo di guidare, incantato dal rumore dell'auto sull'asfalto; Il fissare il paesaggio muoversi. Impacciato, era rimasto in silenzio unicamente a guardare. Troppo imbarazzato per poter chiedere, ma tanto entusiasta come un bambino alla scoperta di cose nuove.

James fissava in modo particolare il cruscotto con quelle piccole frecce che si alzavano ed abbassavano in base alle azioni del guidatore, mentre altre rimanevano ferme, immobili, e poi, c'erano quelle strane luci.

Quando arrivarono a destinazione, l'entusiasmo andò scemando quasi triste di essere già arrivati. Attraversarono un cancello di ferro battuto con piccole decorazioni.

James si guardò intorno. Il giardino era immenso: l'enorme villa, che ricordava un castello, s'innalzava con torri, simili a quelle medievali, ma tutto aveva anche il suo aspetto inquietante.

«Come ti dissi questa casa era dei nostri antenati. È stata abbandonata, fino ad ora, e usata come deposito di libri di famiglia. Una specie di enorme biblioteca personale, ma ora, dopo una bella ristrutturazione ci vivremo».

James scese dall'auto e lasciò la valigia che George recuperò poco dopo. Immersa in quel verde, la vide... Katie con una mogliettina corta celeste ed una piccola gonna bianca, parlava ad uno che aveva tutta l'aria di essere un giardiniere, dalla maglia unta di uno strano verde, i guantoni sporchi di terra.

«Ehi, chi è quello?» domandò James incuriosito.

«Chi quello, cognatino umano?»

«Non chiamarmi così! Allora chi è?»

«Non ne ho la minima idea, cognatino umano». George amava chiamarlo in quel modo, malizioso, voleva infastidirlo solo per scoprire la sua prossima reazione.

James sbuffò e con un enorme salto si trovò giusto dietro Katie.

«Perché, non posso farlo anch'io?» piagnucolò dando un calcio alla ruota della sua auto.

«Scusa amore!»

Il giardiniere rabbrividì alla vista di quel giovane spuntare all'improvviso e con una scusa, se ne andò.

«E ora chi lo sistema il prato?»

«Toc, toc». Katie sentì una voce provenire alle sue spalle accompagnata da due tocchi. Lei prese la mano che l'aveva toccata e con una mossa di karate, lo girò su se stesso e lo buttò a terra.

«Ciao...Aho!»

«James, ma sei pazzo?»

«Per stare con te di certo!»

«Stupido!» si girò e se ne andò «Cosa aspetti micio... vieni!»

«Non chiamarmi così».

Si alzò e ad un tratto si accorse che erano di nuovo spuntate le orecchie da gatto. Le coprì con le mani e come un bravo gattino continuò a seguirla.

«Ehi!» lo richiamò.

«Che c'è? Non ho detto nulla...»

«Cavolo, nasconde le orecchie e la coda come la spiega? Che coppia...» George era rimasto a guardare la scena da lontano, ma c'era un problema: da un cespuglio, nascosta, la madre aveva visto tutto!

George che notò uno strano movimento, corse a controllare e la trovò svenuta.

Dopo circa cinque minuti la signora Giuliet si riprese.

La madre lo prese per la camicia: «Ora mi dirai chi è quello!»

«Madre, con delicatezza prego!»

«Oh scusami» si addolcì «George, allora?» continuò, stringendo più di prima.

-Intanto nella villa.

«Quindi, dopodomani dovrai tornare a scuola?»

«Sì, però secondo mia madre, posso fare anche qualche assenza, ma solo per pochi giorni, in cambio però, dovrò dare una mano con il trasloco. La villa è grande ha anche la piscina, la vuoi vedere?» si fermò non sentendo più il suono dei passi di James seguirlo, quando si voltò, scoprì che si era fermato.

«Ehi, cosa guardi?»
Un enorme quadro, aveva attirato la sua attenzione.

Un uomo alla sinistra in piedi, con barba bianca e una donna seduta su una poltrona al suo fianco. Lei aveva un vestito rosso, i capelli castani rialzati con una semplice ciocca che scendeva sul lato.

«Ma quello?» chiese stupita Katie toccandosi la collana, alla vista di qualcosa di molto familiare.

«Sì, quello è il tuo ciondolo: questi sono i miei nonni».

«Ma che ci fa un quadro della tua famiglia, in casa mia?»

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