29. Sotto il Salice piangente
Ancora una volta non riuscii a dormire, ma mi sentii giustificata per il fatto che di lì a poco avrei incontrato mio fratello e che l'ansia che provavo non era paragonabile a niente di quel che avevo trascorso fino a quel momento.
Mi trovavo sdraiata su un comodo lenzuolino in lino, lo stesso che era stato testimone delle lanterne viste nella notte precedente. Voltata dal lato opposto a quello di Killian lo sentivo russare sul mio collo, mentre mi stringeva la vita con il braccio destro come se fossi un morbido cuscino da abbracciare.
Provai più volte a chiudere occhio, ma con scarsi risultati. Sentivo di non avere alcuna necessità di dormire, ma al contempo mi sentivo stanca e desideravo abbandonarmi al sonno per tagliare il tempo e giungere alla mattina successiva prima possibile.
Eppure, appena la luce del giorno iniziò a intravedersi oltre le torri del palazzo reale, non mi drizzai in piedi, al contrario, attesi che Killian si svegliasse, che stiracchiasse le braccia e mi baciasse delicatamente le labbra secche, dicendo: "Buongiorno".
Era una necessità per me, quella mattina, ricevere il suo saluto prima di iniziare a pensare.
"Dovrei andare" affermai a bassa voce, per paura che lui me lo impedisse.
Lui si passò una mano fra i capelli e fece un respiro profondo. Quando entrambi fummo in piedi, prese la coperta e la chiuse su se stessa. Io mi guardai attorno e notai il Salice piangente che scuoteva i suoi rami in sintonia con il vento, sembrava quasi che con quelle lunghe e possenti braccia tentasse di indicarmi e silenzioso mi chiedeva: "Vieni, ti sto aspettando."
Per qualche secondo esitai, ma non fu un tempo lungo, giusto quel che bastò per far parlare il pirata. "Ti guardo le spalle, qualunque cosa accada ho un arco che freme all'idea di essere utilizzato."
"Non ce ne sarà bisogno, vedrai" risposi e con ciò cercai di convincere soprattutto me stessa.
Killian allungò un braccio per stringere la mia vita con le sue mani possenti e in quel momento decisi che non lo avrei salutato. "Non ce n'è bisogno, sarò qui fra pochissimo" dissi e scostai con delicatezza il suo gesto.
Ingoiai della saliva, sperando che non mi sentisse deglutire e iniziai a camminare verso il Salice piangente di cui avevo parlato nella lettera.
L'erba soffice che calpestavo mi dava quel tanto di leggerezza e positività che mi sarebbero bastate per non uscire di testa e il sole tiepido, ma prorompente mi costrinse a togliermi dal volto l'espressione spaesata per realizzare finalmente che ogni passo verso il fusto triste mi avrebbe portata un po' più vicina a Neal e alla remota possibilità che credesse nella mia innocenza.
Ormai giunta ai piedi dell'albero lasciai che le sue fronde ballerine mi carezzassero le spalle e rivolsi lo sguardo verso il punto in cui credevo ci fosse Killian, ma non riuscivo a vederlo. Immaginai che anche lui avesse i propri occhi puntati su di me e questo mi fece spuntare un sorrisino sul volto.
Passò un po' di tempo, durante il quale mi fasciai la testa con mille pensieri e abbandonai la posizione eretta e nettamente rispettabile per poggiarmi a terra con la delusione sul volto. Iniziai realmente a pensare che non sarebbe venuto. Era l'unica opzione che fino a quel momento non aveva neanche sfiorato la mia mente, come se la paura che mi stesse incastrando e il desiderio di riabbracciarlo fossero più forti di quell'ovvia chance.
Lo vidi comparire dal nulla, quando ormai i fili d'erba attorno a me erano stati spezzati o strappati dalle mie mani impazienti. Ogni suo passo verso di me risultava come una coltellata e quando finalmente giunse a poco dal mio sguardo rimasi di pierta.
Mi sentii piccola, quando, da accovacciata sul terreno, con le spalle poggiate al tronco dell'albero, lo notai posto davanti a me, con sguardo fiero e mani sui fianchi. Una casacca con lo stemma reale lo copriva fino alle ginocchia, dove intravidi delle brache verdognole e una spada relativamente più grande di lui, stretta nella cinta. Fu come osservare un'esposizione teatrale, come una finzione che volevano per forza farmi credere reale.
"Neal" sussurrai incredula, alzandomi in piedi e ripulendo il mio vestito dalle erbacce e dalla terra. In quel momento notai, distanti, ma non troppo, due guardie osservare la scena. In un primo momento decisi di ignorarle.
"Buon pomeriggio, Emma. Spero tu non abbia atteso troppo."
Fu come sentir parlare mio padre, voce possente e superiore, diversa da quella che aveva un paio di mesi prima, così poco adatta a un ragazzino.
"No, no, tranquillo. Ecco, vedi... sono solo contenta che tu sia qui."
Un sorriso naturale spuntò sul mio viso. Era diverso, ma era pur sempre mio fratello e il desiderio di stringerlo a me, come non avevo mai fatto, si fece spazio nella mia anima con più prepotenza rispetto alla paura.
"Anche io sono felice di vederti."
La sua espressione non era mai stata così falsa. Nascondeva qualcosa e fino a qualche mese prima non sarei riuscita a capirlo, ma dopo quel tempo, passato lontano dal palazzo, mi era più facile comprendere le persone.
"Perché la spada?" chiesi leggermente rigida. Incrociai le braccia al petto, come se volessi studiare la sua prossima risposta.
"È una precauzione, non devi preoccuparti."
Annuii e mi grattai il mento.
Guardai il cielo, in attesa di trovare il modo per dire quel che volevo dirgli, per ribadire la mia innocenza senza sembrare ripetitiva o folle.
Evidentemente passai più del previsto a osservare la distesa azzurra sopra di me. Neal se ne stava fermo a guardarmi, in attesa che fossi io a parlare, ma non sapevo veramente da dove partire.
Mi guardai attorno, l'imbarazzo iniziava a farsi oppressante e, talmente persa nel labirinto della mia mente, non mi accorsi che una delle guardie si era affiancata a Neal e gli sussurrava qualcosa, tenendo una mano davanti la bocca per essere sicuro che non sentissi.
Ero stranamente tranquilla, nonostante avessi davanti due persone armate pronte a farmi fuori da un momento all'altro, la consapevolezza che Killian fosse nascosto da qualche parte, pronto a proteggermi, mi faceva sentire bene.
Mio fratello annuì alla guardia e disse con tono basso: "Scusa, Emma, ma se volessi giocare nella mia squadra non dovresti mentire."
Mi allarmai, ma era troppo tardi per fuggire. Tutto d'un tratto le mie convinzioni crollarono come fili di paglia e si sparpagliarono ovunque, lasciandomi nuda e priva di spiegazioni.
L'uomo vestito di nero, completamente coperto da un'armatura, a cui potevo vedere solamente gli occhi grigi come il cielo in autunno, si stava avvicinando e prima che potessi accorgermene già mi aveva stordita con un pugno.
Non caddi immediatamente a terra, ce ne vollero due o forse tre, prima che perdessi veramente i sensi, ma già con il primo avrebbero potuto considerarmi innocua. Ero già abbastanza terrorizzata.
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