Era l'estate del 2014, avevo 9 anni e mia madre mi aveva portato a fare visita ai nostri parenti in un paesino vicino.

Quel giorno di luglio mio padre ed altri 14 uomini del nostro villaggio vennero rapiti.

I testimoni raccontarono a mia madre che un gruppo di uomini iniziò a bruciare tutte le case compresa la nostra.

Nel nostro villaggio, non rientrammo più.

Passammo un anno a casa dei nostri parenti ma poi, non appena le bombe ci raggiunsero, fuggimmo con altre migliaia di persone.

Così, nel giro di un anno la nostra vita cambiò drasticamente.

Quella di mia madre ancora di più, io ero piccola mi sarei adattata.

Lei era sola, con una bambina e in una città sconosciuta.

Il primo aiuto venne dalla Croce Rossa che ci fornì cibo e vestiti.

La situazione era difficile, vivevamo in una casa vecchia e fatiscente.

Iniziammo a stare meglio quando la Croce Rossa ci disse che una famiglia italiana aveva iniziato ad aiutarci.

Grazie al sostegno a distanza, mia madre divenne più serena e soprattutto non si sentiva più sola.

Il tempo è trascorso ed oggi ho quasi 12 anni.

Ho iniziato a studiare e ad appassionarmi a matematica, italiano e partite di pallamano.

In questi anni non ho mai smesso di pensare a mio padre, a quello che ha vissuto quel giorno di luglio di tre anni fa e a come sarebbe stata diversa la nostra vita se lui l'avesse vissuta con noi.

Non ho mai abbandonato nemmeno il desiderio di tornare dove sono nata,

per conoscere la mia terra e le mie origini. Forse un giorno lo farò.

La storia di Jela è quella di tante bambine e bambini cresciute in zone di guerra, dove il conflitto ha lasciato segni indelebili sulle loro vite.

Grazie alla solidarietà di tante famiglie italiane che hanno scelto di accompagnarli nel percorso scolastico o provvedendo a cure mediche, sostenendoli nel costruire un futuro sereno e dignitoso.

Aiutiamo l'emergenza in Siria diffondendo questa testimonianza di una bambina attraverso l'associazione www.unponteper.it