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3.

Una botta mi fece riprendere, avevo una benda sugli occhi e una sulla bocca ed ero legata come un salame. Cercai di smuovere i polsi ma più lo facevo più le corde mi sfregavano sulla pelle facendi male.

Ero stata rapita! Perché mi stavano facendo questo? Le lacrime scorrevano e il cuore lo sentivo martellare sul petto. Qualcuno aprì quello che doveva essere il porta bagagli, mi afferrò per i capelli tirandomi fuori. Non vedevo nulla ma riuscii ad aggrapparmi al mio aggressore che mi buttò a terra. Fu questione di un secondo, sentì uno sparo... poi più niente  tutto divenne buio. Ero morta? Doveva essere per forza cosi.

In quel sonno profondo che  credevo fosse il purgatorio dove ero stata mandata, qualcosa attirò la mia attenzione, un bip continuo e fastidioso.

Arii gli occhi, la luce forte e bianca mi faceva male alla vista

<<Dove...sono!>>

Mi guardai intorno, ero attaccata ad un macchinario con le flebo che uscivano dal braccio. Mi alzai staccando tutto e sentì una fitta al petto, mi guardai togliendo il camice, dietro la medicazione c'era una ferita, la sfiorai appena e sentii nuovamente lo sparo nella mia testa. Caddi a terra e iniziai ad urlare finché gli infermieri mi presero di peso e mi iniettarono qualcosa che mi fece nuovamente riaddormentare.

Passarono due settimane e capii due cose dalla tv; che i miei genitori erano morti e che io risultavo nel loro jet che si era schiantato nelle alpi.

Per due settimane cercai di convincere gli infermieri su chi fossi. Presi perfino una rivista dove c'erano le immagini della mia famiglia ma sembrava come se non volessero ascoltarmi.

Continuavano ad insistere che il corpo di Isabelle Foster era stato ritrovato tra le macerie e dovevo smetterla di dire quelle cose. La seconda cosa era che i miei rapitori avevano tagliato i miei bellissimi capelli del quale andavo fiera, mi arrivavano fino al sedere e adesso arrivavano poco piu in alto delle spalle. Non avevo documenti, non avevo denaro, non avevo piu una casa. Qualcuno aveva ucciso i miei genitori, e tentato di uccidermi e la cosa più spavebtosa, era che non potevo contattare nessuno, anche perché li avrei messi solo in pericolo visto come stavano andando le cose.

Mi arrovellai per altri due giorni il cervello sul perché, ma era tutto inutile, non eravamo in cattive acque con nessuno, nessuno di cui ero a conoscenza almeno. Era brutto da dire ma avevo gia superato la morte per i miei, in fondo non eravamo mai stati una vera famiglia ma dovevo sapere perché li avevano uccisi.

La polizia continuava a fare avanti e indietro davanti la mia stanza e sinceramente, ora come ora, non riuscivo a fidarmi neanche delle forze dell'ordine.

Ero senza documenti e mi credevano pazza, non volevo finire in un manicomio cosi quella stessa notte con quei pochi stracci che avevo la notte del mio rapimento dal mio armadietto, e me ne andai al cambio turno coprendo il letto con il cuscino sotto le coperte per non destare sospetti.

Non credevo avesse funzionato davvero! Fortunatamente nessuno aveva frugato nella mia pochet per gli assorbenti, li tenevo sempre dei soldi nascosti e i miei orecchini e orologio erano anche essi nella pochet, almeno nell'immediato non sarei morta di fame. La prima cosa che feci una volta fuori fu trovare un  banco dei pegni, feci il mio orologio a piu pezzi e ne sacrificai due maglie e riuscii a ricavarne un bel po'. La seconda mossa fu comprare dei vestiti puliti e comodi.

Nel camerino la mia mano si posò sulla ferita poco sopra la clavicola e quel rumore di pistola proprio non voleva abbandonarmi.

<<Tutto bene li dentro? >>

domandò la commessa bussando sulla porta. Finii di cambiarmi, pagai e uscii fuori, era la prima volta che visitavo quella parte della città ma non ci volle molto a capire che mi trovavo nella zona portuale, ben lontana da casa. Il primo bar aperto ci piombai affondando la faccia in una tazza bollente di caffè e senza che me ne accorgessi iniziai a piangere. Che cosa potevo fare ora? Che ne sarebbe stato di me!

<<Tutto bene tesoro?>> chiese una ragazza dai capelli rossi e un grembiule sporco.

<<Si, grazie!>> dissi strofinandomi gli occhi con la manica della felpa scura, non avevo mai indossato una felpa in vita mia.

<<Non ti ho mai vista da queste parti, sei appena arrivata?>> Era gentile e profumava di cannella. <<Come ti chiami?>>

<<Is...>> mi bloccai, non era sicuro dire il mio nome in giro, non conoscevo nemmeno l'identità di quello che aveva premuto il grilletto.

<< Zoe... mi chiamo Zoe! >> avevo scelto proprio bene, il nome del mio cane di quando ero bambina! Me lo tolsero perché dicevano mi distoglieva dallo studio.

<<Io Sono Jessica, ma tutti mi chiamano Jaz>> strinsi la sua mano, aveva piu o meno la mia età.

<<Come hai capito che non sono di qua?>> qualcuno imprecò il suo nome ma lei lo mandò a quel paese. 

<<Questo locale è della mia famiglia e sono praticamente cresciuta a hot-dog e parolacce... conosco tutti qui!>> sorrise poggiando il vassoio rotondo sul tavolo

<<E poi vedo che non fai parte di nessun Clan!>> mi prese un braccio controllando il polso.

<<Clan?e dove siamo? Nel bronx?>> speravo scherzasse ma non era cosi.  <<Dici sul serio? >> il sorriso si smorzó sul mio viso. Lei si alzo la manica dove c'era un piccolo tatuaggio con una piccola falena. A quanto pare non stava scherzando.

<<Non puoi andare in giro senza un marchio, sei troppo bella e con l'aria sofferente! Ti divoreranno li fuori.>> era tutto così surreale, non avevo idea che ci fosse un degrado del genere in città.

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