52 Non abbastanza. Punto
Domenica mattina. Capita che alcune domeniche mattina Londra finga di essere una città sonnacchiosa, che finga di essere innocua, addirittura. Londra è pericolosa, proprio perché non è rude come Detroit, arrogante come New York, blasfema come San Paolo. Ci sono metropoli evidentemente sporche, bugiarde, maleducate: bad girl di cemento e corruzione, sotto un cielo infame. La logica conseguenza è innamorarsi perdutamente di esse.
Londra è più meschina, seduce con discreta eleganza, relegando disagio e povertà ai margini, ergendosi al di sopra del sudiciume esposto dalle altre metropoli.
Londra, piccola grande bastarda, non è una bad girl, è una femme fatale impietosa ed egoista. Inaffidabile. Stronza.
Quella mattina Londra decise di tenermi il broncio: le sue strade non erano invase da auto rumorose ammassate come formiche sullo zucchero, ma il suo traffico era avvilente, i ritmi delle strade smorti, e pareva si fossero messi tutti d'accordo per uscire di casa guidando con pigrizia e rancore.
Se Londra avesse avuto la parola, quella mattina, alla domanda "cos'hai?" avrebbe risposto "niente", e io non avrei potuto evitare l'imminente catastrofe uscendo di casa dato che Londra non aveva una porta da cui fuggire lontano.
Quindi, quando entrai con Andrey nel mio ufficio all'ultimo piano della Baker Tower, non fu la presenza sgradita di Sebastian con il culo affossato nella mia poltrona a rivelarmi quanto la città fosse incazzata per la mia prolungata assenza, quanto la presenza tanto inaspettata quanto minacciosa di Viktor, ritto accanto a mio padre come un palo della luce che illumina la sua puttana preferita.
«Bentornato, Trevor.» Il tono di mio padre, affilato come la lama di una katana, non mi infastidì quanto la smorfia soddisfatta del gigante russo.
«Quella è la mia scrivania, Sebastian.»
«L'hai lasciata vuota per troppo tempo, mi sono sentito in dovere di...»
«Perché lui è qui?» lo interruppi. A Sebastian non piaceva essere interrotto. Lo sapevo da quando avevo nove anni e avevo sperimentato il fastidioso prurito del gesso intorno al polso quando è estate e Londra si cuoce sotto la sua cappa di smog. Ma quel giorno di anni ne avevo trentacinque e non potevo più ignorare la mia supremazia fisica, né potevo continuare a permettere che la ignorasse Sebastian.
Lo vidi ingoiare un bolo d'indignazione grosso come un gomitolo di lana. Rispose ringhiando. «Mi sta aiutando a cercare Alan, Trevor. Ti sei reso conto che tuo cugino nonché socio in affari è scomparso da giorni?»
Mi impegnai per trasformare il viso in una maschera di granito, evitando qualsivoglia espressione di profonda soddisfazione al ricordo del suo sangue nero che imbrattava il pavimento di pietra. «Francamente non ne sentivo la mancanza, e la sua funzione nei miei affari è così marginale che nemmeno gli azionisti e i dipendenti se ne sono lamentati.»
Sebastian batté il pugno sulla mia scrivania, alzandosi di scatto. «Era in Italia, Trevor! Tuo cugino era in Italia e se scopro che sei coinvolto nella sua scomparsa provvederò a cambiare le regole del gioco. Ti lascio in pasto ai Volkov.»
Viktor si schioccò le dita con un sorriso che somigliava a una fontana di ossa e sangue. A volte dovevo concentrarmi per ricordarmi che era un essere umano. Mortale. Fallibile.
«Sai chi altro era in Italia e lo ha visto vivo per l'ultima volta?» chiesi a mio padre. Lo vidi aggrottare le fronte, forse colto di sorpresa dalla mia serena collaborazione. «Chi? Parla!»
«Lui.» Indicai Viktor con il mento, infilando le mani in tasca e ostentando una tranquillità che in realtà era contraffatta quanto una banconota da trenta euro. «E conosco poca gente che è sopravvissuta a una chiacchierata con Viktor per poterlo raccontare. Io e Andrey facciamo parte di quel club esclusivo.»
Attesi la sua reazione, consapevole che quella di Viktor l'avrei subita in un'altra occasione, e chissà se sarebbe stata anche l'ultima. Ma erano anni che io e Andrey camminavamo sul pianeta sapendo che Viktor sarebbe stato protagonista e artefice del nostro destino, sapientemente istruito dai Volkov. Cominciavo a sentirmi sollevato all'idea che fosse iniziato l'ultimo capitolo della nostra storia. Il ticchettio della nostra fine era una sublime melodia. Ero stanco, e forse lo era anche Viktor.
Sebastian aggirò la scrivania, avvicinandosi a passo lento ma deciso. Ebbi il tempo di vederlo farsi sempre più vicino, sempre più nitido: sei passi e sei secondi, spazi e intervalli scanditi dal mio sguardo che acquisiva la precarietà della sua esistenza, dell'approssimarsi del suo tramonto definitivo. Eravamo tutti transitori, insignificanti granelli di polvere in un deserto di vite sprecate, ma l'alito di vento che avrebbe spazzato via il granello fetido di Sebastian era molto più vicino di quanto lui potesse accettare.
Mio padre non riusciva ad accogliere l'irreversibilità della morte, la perdita definitiva di ogni privilegio acquisito, di ogni tesoro accumulato, di ogni potere esercitabile ed esercitato.
E se per gente come me, Andrey, Lea e sì...anche Viktor, la morte era poco più di un appuntamento inevitabile che non poteva essere programmato ma solo rimandato con una punta di sollievo e una tazza di rassegnazione, per Sebastian la morte era una sconfitta inaccettabile. E forse era per questo che mi aveva odiato per tutta la vita: perché io avrei visto il mondo proseguire nel suo moto rotatorio anche dopo che i vermi avessero invaso le sue carni, indifferente alla sua dipartita, già dimentico della sua esistenza che non avrebbe lasciato tracce, non abbastanza memorabile, non abbastanza indelebile.
Sebastian Baker non era abbastanza Grande da essere Giulio Cesare. Non abbastanza figlio di puttana da essere Adolf Hitler. Non abbastanza. Punto.
Il suo fiato mi si infilò nelle narici nel momento in cui decisi che avrei vissuto abbastanza a lungo da pisciare sulla sua tomba. Avrei adottato un cane solo per portarlo a cagare ogni giorno davanti alla sua lapide. Avrei amato quel cane e la sua merda più di quanto mio padre avesse mai amato me. Un alano, cazzo. Avrei adottato un alano per vedere merde da mezzo chilo uscire dal suo culo e depositarsi due metri sopra la bara di Sebastian Baker e fertilizzarne il terreno.
Devi stare attento, ragazzino. Se sei ancora vivo, è perché ho avuto pietà di te e rispetto per il cognome che porti e che io ti ho regalato.»
Lo lasciai sfilarmi di fianco senza rispondere, concedendogli un'uscita di scena dignitosa. In fondo, in quella stanza, sapevamo tutti che Sebastian era un'istituzione, una presenza quasi rassicurante per tutti i partecipanti alle Olimpiadi della criminalità, ma sapevamo anche che era un presente che virava al passato remoto: il futuro non gli apparteneva.
Un pezzo di quel futuro attraversò la stanza non appena Sebastian se ne fu andato. Viktor si fermò a due passi da me e Andrey. «Tuo cugino era una scorreggia di cane, e se mi hai risparmiato la fatica di strappargli la vita con due dita non me ne frega un cazzo, piccolo Baker. Ma lasciati dire una cosa: per cercare il tuo osso hai scavato troppe buche, in Italia. Qualcuno si è innervosito e sono felice che quel qualcuno sia la stessa persona che mi paga per ammazzare la gente. Manca poco, Baker: il tuo nome sta per passare dalla lista degli intoccabili a quella dei morti che camminano.»
Sentii le labbra incresparsi in un sorriso di scherno che probabilmente aveva vita propria, dato che mi si era contorto lo stomaco nel sentire di nuovo la sua voce. Era rabbia, la mia. Non paura. «Cristo, Viktor, devi essere stato sveglio tutta la notte per preparare un discorso così articolato.»
La sua bocca si deformò in una smorfia disgustata che disgustò anche me. «Ti terrò in vita quanto basta a mostrarti in quanti modi diversi posso indurre la tua shlyukha italiana a sperare di morire prima che le infili qualcosa di nuovo dentro il corpo.»
«Se ti vedo a meno di quattromila chilometri da Lea ti strappo i coglioni e li appendo all'albero di Natale.»
Trattenne una risatina, scuotendo la testa. «A presto, piccolo Baker.»
Sollevò lo sguardo per incrociare quello di Andrey, prima di uscire.
Nel mio ufficio piombò un silenzio assordante per diversi secondi. Fu Andrey a infilzarlo con la sua voce profonda. «Non è magnifico quando famiglia e amici ti si stringono attorno dopo una lunga assenza?»
Mi concedetti un mezzo sorriso. «Vaffanculo, va.»
Sospirai e andai al mobiletto degli alcolici. Versai due Macallan nei bicchieri e ne allungai uno ad Andrey.
«Sono le nove di mattina» disse, ma prese comunque il bicchiere e lo svuotò.
«Abbiamo un po' di cose da fare, Andrey.»
«Tipo sopravvivere?»
«Tipo indagare su Lea.»
Mi guardò con genuino stupore. «Vuoi indagare sulla Rossa?»
«Vorrei indagare su Denis, ma ti sei arenato. Quindi arriveremo a lui passando per Lea.»
Appoggiò il bicchiere e parve preoccupato. «La tua è un'ossessione inutile. Se va bene perdiamo tempo, se va male perdiamo la vita perché Viktor ci spara alla schiena mentre guardiamo nella direzione sbagliata.»
Versai altro Macallan nei nostri bicchieri. «Ci manca un collegamento, Andrey. Denis, Matteo Gessi, mio padre...e forse anche i Volkov. Sono legati da un filo di nylon, sottile e quasi invisibile, ma fondamentale. Potrebbe essere la chiave per la nostra libertà, Andrey. Potremmo liberarci entrambi dalla nostra gabbia di crimini e soldi.»
«Io non voglio essere liberato, stronzo. Mi piace spaccare le ossa alla gente.»
«Da uomo libero potresti spaccare le ossa alla gente che scegli tu, Andrey.»
«E tu vorresti crescere marmocchi con la Rossa su una spiaggia dorata lontana dai Volkov?»
«Cosa sai di El Diablo, Andrey? All'epoca eri ancora un uomo di mio padre.»
«Non so un cazzo di quella roba digitale.»
«Non voglio i dettagli tecnici.»
«Cosa vuoi allora?»
«Nomi. Accordi. Alleanze. Roba così.»
«Roba così.»
«Sì, roba così.»
Sospirò. «È poca roba, Trevor. Non abbastanza per fare ipotesi sensate.»
«Questo lo stabilisco io.»
Alzò le spalle. «Ok. Ma prima versami un altro po' di quel coso che non è Vodka ma che non è affatto male.»
SPAZIO AUTRICE
C'è da scavare...nel passato di Sebastian, in quello di Lea, in quello di Denis e anche in quello di Matteo Gessi. Cercherò di non tirarla troppo per le lunghe, altrimenti poi ci si abbassa la libido e questa non è una cosa buona e giusta!
Vediamo se l'autrice riesce a tirare tutti i fili della trama come si deve. Male che vada vi distraggo con dei capitoli HOT ahahaha!
Scherzo, dai! Mi impegno su tutti i fronti. I capitoli saranno un po' più distanziati perchè appunto devo collegare tutti i pezzi del puzzle come si deve senza annoiarvi, e non è facile. Accendete un cero in Chiesa per me.
Stelline commenti pubblicità consigli bla bla bla...ormai lo sapete, è tutto grasso che cola!
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