Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore

Ci sono città che non dormono mai. Londra è una di quelle. Milano. New York. Dubai. Avevo almeno un alloggio in ognuna di esse. In alcuni di quegli appartamenti non avevo mai passato una notte. In altri sì, ma proprio come la città che mi ospitava non avevo dormito.

La città di Lea è una di quelle che si addormenta ogni notte, almeno in certi quartieri. Avevamo avuto la fortuna di alloggiare in una zona che si spegneva insieme al sole, stendendo un velo di silenzio sulle strade e sulle case.

Mi risultò confortevole lavorare in quella notte accomodante. Erano aperte solo le borse asiatiche, ma non avevo intenzione di sputtanare la mia pace interiore con del trading che non avrebbe modificato la consistenza del mio patrimonio in misura utile, di conseguenza mi concentrai su un paio di acquisizioni non particolarmente ostiche e perfettamente legali che avevo in ballo poco fuori Londra. Inviai le mie firme in formato digitale ai miei legali, dopo aver avallato le condizioni dei CDA delle due società di sviluppo e ricerca della realtà virtuale e intelligenza artificiale applicate all'intrattenimento digitale.

Avrei potuto proseguire, dato che per due società che acquisivo, ne avevo tre che ero intenzionato a cedere a una multinazionale cinese. Ma decisi che quella notte era troppo dolce per sprecarla davanti a un monitor, quando due porte più in là avevo Lea, morbida, calda, accogliente.

Aprii la porta della camera quasi di soppiatto, perché avevo deciso che se l'avessi trovata addormentata l'avrei lasciata in pace e me ne sarei tornato a gestire la mia frustrazione sotto altre lenzuola in fastidiosa solitudine. La notte mi fece invece un altro regalo, e la vidi distesa sul letto, illuminata solo dal bagliore di un'abat jour particolarmente timida, con le cuffiette nelle orecchie, collegate al cellulare. Muoveva il piede a tempo, e sembrava tutta immersa nell'ascolto, con la mente lontana da lì, lontana da quello che le avevano fatto i russi, da quello che le aveva fatto Matteo Gessi, lontana da me. Ancora una volta, mi parve troppo giovane per uno come me, ma forse troppo giovane per qualunque contesto: per ballare intorno a un palo, per spogliarsi davanti a una web cam, per lavorare alla Credit, per fare un pompino, per scopare, per avere e procurare un orgasmo.

Chissà se alla fine avrei fatto marcia indietro, se avrei optato per il piano B nonostante fosse sveglia. Magari mi sarei fatto una sega sotto la doccia, pensando a lei e sprecando un altro container d'acqua in un pianeta che prima o poi sarebbe morto di sete, o di qualcos'altro.

Ma Lea si voltò, e mi sorrise, e io non potevo più resisterle, non quella sera.

Si tolse uno degli auricolari e me lo porse. Mi sedetti sul letto, non ancora convinto che sdraiarmi con lei fosse una scelta responsabile.

«Cosa ascolti?»

Mi ficcò la cuffietta nell'orecchio, senza complimenti e senza rispondere. Sentii le note dolcissime di un pianoforte introdurre la strofa in italiano.

Qualche anno fa mi si è ingrigito il pelo

per la prima volta ho tirato il freno

incerto se fossi l'unico scemo

o l'ultimo a crederci per davvero...

La melodia mi piacque subito, nonostante la morbidezza delle note celasse malinconia e disincanto. E una certa delusione. Sì, anche delusione.

...Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore...

Cristo, quel rapper era un cazzo di filosofo. Non afferravo l'intero testo, lo slang era veloce e non ero abituato a un italiano di quel tipo, ma ne compresi il significato. Una graffiante voce femminile accompagnava le strofe, e il risultato era davvero gradevole. Restituii l'auricolare non appena la canzone sfumò del tutto.

«Bella. Come si intitola?»

Lea si liberò delle cuffiette e spense il cellulare. «Intro. È di J Ax.»

«Mai sentito.»

Si girò su un fianco, nascondendo entrambe le mani sotto il cuscino. «Sdraiati, Trevor. Non sono pericolosa, sai?»

Sì, invece. Lo era. Me ne infischiai, ormai convinto che fosse meglio crepare per una donna che per un pugno di dollari. O una montagna di dollari. Una montagna parecchio alta.

Appoggiai la testa accanto al suo viso, e sentii il suo corpo cercare il contatto con il mio.

«Niente sesso, Lea. Questo deve essere chiaro.»

Sbuffò, poi mi appoggiò la testa tra la spalla e il petto. Circondai il suo corpo con il braccio.

«Come va la mano?»

Male.

«Guarirà.»

Iniziò a vezzeggiare i bottoni della camicia con le dita agili.

«Lea. No.»

Non smise. «Sei molto noioso, Baker Jr.»

Appoggiai la mia mano sulla sua, scoraggiando ogni ulteriore tentativo di privarmi dei vestiti. «Non ti sei fatta visitare, Lea. Quindi opteremo per una prudenza che porterò avanti a mio insindacabile giudizio.»

Il suo corpo si arrese. La sua lingua biforcuta no. «Vorrà dire che martedì sera, al Sweety, troverò volenterosi giovanotti il cui insindacabile giudizio è che ogni lasciata è persa.»

L'istinto s'impadronì della mia volontà, e me la strinsi addosso con più forza. «Vuoi un altro Elia sulla coscienza, bambina?»

«Mi porterei a casa le mutande. Non avresti una scusa plausibile per un gesto estremo, stavolta.»

«Non mi serve più una scusa.»

Si zittì per molto tempo, forse si era appisolata per qualche minuto. Stavo per cedere al sonno anche io, ma Lea era in vena di chiacchiere, forse perché non poteva distrarsi con il sesso.

«Senti, mettiti qualcosa di comodo addosso, perché mi rifiuto di dormire accanto a un disgraziato che non si sfila la camicia per paura di non poter resistere alle mie lusinghe sfacciate.»

«Io non ho paura, ragazzina.»

La sentii soffocare una risatina. «Ti prego, non è l'ora giusta per le tue sparate da maschio alfa.»

E pensai avesse ragione. Mi costò fatica abbandonare il nido tiepido che condividevo con lei, ma mi alzai per andare in camera mia e infilarmi qualunque cosa non prevedesse bottoni o cerniere.

Avevo ficcato dentro un cassetto la mia divisa notturna: una maglietta Tommy Hilfigher da ottanta sterline e un paio di short di cotone. Non feci in tempo ad afferrare niente, da quel cassetto: avvertii il calore delle mani di Lea sulla schiena nuda.

«Cazzo, Lea, sei arrivata camminando su batuffoli di cotone?»

Mi girai e lei mi strinse in un abbraccio tenero, privo di malizia. E quindi ricambiai sia la tenerezza che l'assenza di malizia nel restituirle l'abbraccio e nel regalarle un bacio sulla nuca spettinata. «Sarei tornato di là.»

«Sì, ma ti saresti sdraiato e io mi sarei addormentata.»

«Che è quello che accadrà comunque.»

«Mi devi dire che hai combinato con i Volkov. Erano questi i patti, e tu hai detto di essere un uomo di parola, Trevor Baker.»

Non sciolsi l'abbraccio, ma iniziavo ad essere stanco anche io e dissotterrare le mie stronzate non era un'attività che amavo attuare. «Possiamo rimandare a domani mattina?»

Mi appoggiò il mento al petto, e da quella prospettiva mi parve bella e promettente come un nuovo inizio.

«No, stasera.»

«Perché?»

«Perché tu, Trevor, sei uno di quelli che sparisce all'improvviso, senza lasciarsi dietro nemmeno l'odore del proprio passaggio. Domani mattina potresti non esserci più. Magari non ci sarai più già tra una manciata di minuti. Di te mi resterà solo il dubbio di averti immaginato, o sognato, in una notte tormentata, in bilico tra sogno e incubo.»

Quando avrò preso davvero tutto quello che voglio da te, mi pregherai di restare.

Glielo avevo detto io, ma Lea non mi avrebbe mai pregato, figuriamoci. Anche se avrei voluto che lo facesse, anche se lei avrebbe voluto che restassi. Nessuno dei due avrebbe ottenuto quello che desiderava. Ma almeno una certezza volevo lasciargliela. «Sparirò, ma non all'improvviso. Salirò su un aereo, Lea, e tu saprai il giorno e l'ora in cui accadrà con giusto anticipo.»

Sospirò. «Oh wow. Sai essere rassicurante come il sacchetto del vomito sulle navi.»

La baciai sulla punta del naso, e fu complicato raggiungerla visto il quasi mezzo metro di altezza che ci separava. «Ora che mi hai paragonato a un sacchetto del vomito possiamo andare a letto?»

«Prima però sono stata molto poetica nel paragonarti a una creatura fatta di luce e tenebra come i sogni e gli incubi.»

«Leggi troppi romance.»

«E tu non ne leggi abbastanza. Dimmi dei Volkov.»

Alla fine cedetti a un sorriso. «Giuro che te lo racconto a letto.»

«Ok. Puoi evitare di infilarti i vestiti?»

«Lea.»

«Noiosissimo Baker.»

Mi anticipò verso la porta. Valutai l'ipotesi di lasciare la Tommy Hilfigher lì dov'era, ma poi feci la cosa più giusta e la infilai.

***

I greci la chiamavano hybris, poi Dante l'ha resa ancor più celebre offrendole un intero girone di peccatori: è la Superbia, principio di ogni vizio, origine di molti guai, radice di innumerevoli puttanate. Ecco, la Superbia mi aveva corteggiato, sedotto e infine ingannato. Della Superbia mi erano rimasti addosso ancora alcuni residui, ed erano quelli a rendermi così difficile raccontare a Lea quello che era successo con i Volkov.

Me la tenevo stretta, e lei si lasciava stringere, lottando contro il sonno e stropicciandosi gli occhi, mentre cercavo parole che alleggerissero il peso delle mie colpe.

«Sai quanto dura, tecnicamente, un battito di ciglia?» le chiesi, quando lei aveva iniziato a infilarmi la mano sotto la maglietta.

«No.»

«Trecentocinquanta millisecondi. Esistono macchine in grado di prendere decisioni nella metà del tempo. Intelligenze artificiali, algoritmi rapidi e via discorrendo.»

«E prendono sempre le decisioni giuste?»

«Solo se fornisci le direttive corrette. E io, Lea, ho fornito quelle sbagliate al mio algoritmo.»

«Sei un cracker?»

«Pensavo di sì. Mi sa che sono un cazzone. Hai sentito del crack della RedAnt Global Market, quattro mesi fa?»

Tutti ne avevano sentito parlare, pochi avevano colto l'importanza dell'evento, nessuno aveva capito come fosse potuto accadere.

«Sì, sono stati bruciati più di 160 milioni di dollari in pochi minuti, subito dopo l'esordio sulla borsa di New York.»

«Non in pochi minuti, Lea. Pochi secondi. Il tempo di sei battiti di ciglia e il prezzo di ogni azione della RedAnt è passato da 18,13 dollari a 0,0002 dollari. E sono stato io a causare il crollo.»

«Non avevi di meglio da fare, brutto idiota?»

Sorrisi. «Sto investendo soldi puliti nelle intelligenze artificiali, ma la RedAnt era un problema, e non solo per me. Pare che alcuni dei suoi cracker avessero il vizio di violare i sistemi della concorrenza per rubare i brevetti prima che venissero depositati.»

«E tu hai ben pensato di dargli una bacchettata sulle mani mandando all'aria il loro esordio nel Nyse con un algoritmo rapido che ha influenzato le vendite delle azioni.»

Beh, sì. Anche. Ma non solo. «Già che c'ero volevo far notare loro che io ero capace di pisciare più lontano.»

«Ma loro sono i Volkov, giusto?»

«I Volkov non erano nel CDA, ma erano quelli che in linea di massima si davano da fare per convincere amichevolmente gli ingegneri della concorrenza a collaborare con la RedAnt. Con amichevolmente intendo che Viktor ha avuto parecchio da lavorare, in quei mesi. Ma questo l'ho saputo dopo, quando ormai avevo pestato i piedi ai russi.»

«Come ti hanno beccato?»

«I Volkov non erano nel CDA, ma mio padre sì.»

«E tu lo sapevi?»

«Ovviamente.»

«Ma lo hai fatto lo stesso.»

«Certo, e sono stati i sei battiti di ciglia più fighi della mia esistenza da cracker. Sapevo che Sebastian non l'avrebbe presa bene, ma in un qualche modo avrei sistemato la faccenda. Il coinvolgimento dei Volkov però è stata la mia variabile impazzita: pensavo di dovermela vedere con l'incazzatura di mio padre e la criminalità informatica. Invece me la devo vedere con la criminalità russa, che prevede uno spargimento di sangue e non una guerra di software. Hanno acquisito l'intero debito dato che mio padre, pur di non dover rispondere delle azioni di qualcuno che comunque porta il suo cognome, ha ceduto loro anche la sua metà. Ed eccomi qui, Lea. Sono arrivato inseguendo i tuoi 15 dollari: la soluzione più rapida al problema, nonché un potenziale ed eterno torrente di denaro.»

Prese un respiro profondo, che si depositò in un lungo attimo di silenzio. «E quindi sei capace di mandare a puttane 160 milioni di dollari in 3 secondi, ma non di replicare El Diablo, né di sbloccarlo.»

«Esatto.»

«Sai cosa significa questo?»

«Sentiamo.»

«Che ci sono cracker più bravi di te.»

Abbassai il mento per guardarla, lei alzò gli occhi per fare lo stesso con me. «Sì, ma per non farsi ammazzare da Viktor servono altre qualità. E ora dormi, bambina. Non vado da nessuna parte. Non stanotte.»

E così, anche quella sera, il non detto fu molto più rilevante di quanto detto. Ma ormai avevamo imparato a leggere i segreti nascosti nei nostri silenzi.

Quella notte la morte mi cercò in sogno.

Arrivò con un abbraccio gelido, che mi tolse il fiato, svuotandomi i polmoni. E l'abbraccio gelido divenne uno schiaffo d'acqua fredda, e il debito d'ossigeno divenne insostenibile. Affogavo nel panico, il cervello che rilasciava ordini contradditori al corpo: respira, anzi no, respira, non respirare, aria, acqua, fai qualcosa, sopravvivi, non respirare.

E nel sogno la Morte mi ricordò di quella prima volta che mi ero pisciata addosso per la paura: avevo undici anni, l'età che aveva Trevor quando gli era accaduto per la seconda volta. Fiotto caldo tra le gambe, acqua glaciale sulla faccia.

Annaspavo, lottavo, paura e lacrime. Volevo vivere, mentre il cuore pompava impazzito, fuori controllo, tutti i muscoli e gli organi che litigavano tra loro per decidere quale di loro dovesse cedere per primo, quale di loro avesse la funzione meno importante per la sopravvivenza.

Avrei voluto gridare, ma nel sogno le mie grida restarono mute, inghiottite dall'acqua.

Nella realtà, forse, gridai davvero, perché mi svegliai con i polsi imprigionati tra le mani di Trevor, il suo corpo sopra il mio, e uno sguardo che travalicava la semplice preoccupazione.

«Lea...» era un sussurro, ma forse mi parve così perché nelle orecchie sentivo il battito cardiaco diventare tuono, e ancora il fiato mi sembrava troppo corto, e l'ossigeno troppo poco, e la vita troppo corta. «Calmati.»

E avrei voluto, ma il cuore stava ancora litigando col cervello, e i polmoni non ricordavano bene il modo corretto di funzionare.

Ma rilassai le braccia, perché non avevo più bisogno di uscire dall'acqua, e almeno quello il mio corpo lo aveva capito. Sentii la presa di Trevor farsi morbida sui polsi, e una mano si spostò sulla mia gola, a intercettare il mio battito impazzito, che non accennava a rallentare, ad arrendersi alla fine di quel sogno. E anzi, accelerò di nuovo non appena partorii il primo pensiero razionale dal cervello, che si chiese se la vescica si fosse liberata davvero, e non solo nel sogno.

Non lo avrei sopportato un'altra volta, non lo avrei sopportato mai più.

Scandagliai le mille sensazioni che mi strisciavano tra pelle e nervi, senza avvertire nulla di umido, nulla di esageratamente caldo tra le cosce e le lenzuola. Il sollievo richiamò le lacrime e tornai in debito d'ossigeno al primo singhiozzo.

«Lea ti prego, respira più piano, calmati.»

Mi leccò via le lacrime, e le sue labbra mi scaldarono le guance che sentivano ancora un freddo inesistente, ultimo baluardo di un incubo che mi aveva artigliata troppo in fretta ma che invece non aveva nessuna fretta di restituirmi alla dimensione reale.

E fu un processo che mi parve infinito, ma ogni bacio che mi depositava Trevor sulla pelle era una carezza sul mio cuore agitato, una coccola per quel battito rabbioso che picchiava come un pugno nella cassa toracica. E quando mi rilassai, esausta, sfiancata dall'estenuante lotta che avevo condotto contro un nulla che mi era parso invincibile, avevo ancora le labbra di Trevor che vagavano sul viso, e le sue dita sulla gola in cerca di segnali rassicuranti.

E che fosse teso anche lui lo capii solo quando sentii i suoi muscoli sciogliersi morbidi sopra i miei, quando finalmente il mio respiro divenne regolare e il mio battito controllato.

Si alzò quanto bastò per guardarmi. «Cos'è successo?» Non avevo più il tuono nelle orecchie, quindi fui certa fosse solo un bisbiglio, il suo. Mi adeguai al suo tono, ma forse non avrei avuto abbastanza fiato per usarne uno diverso.

«Non so, era un sogno. Credo. Mi dispiace.»

Scese lentamente dal mio corpo, ma non perse il contatto. Mi rifugiai nel comodo incavo tra collo e spalla, perfetto nido per la mia testa confusa.

«Mami mi raccontava le storie belle, quando facevo brutti sogni. A te qualcuno raccontava storie belle, Trevor?»

«No. Io di storie belle ne conosco una sola.»

«Quale?»

«Quella del ragno e della farfalla.»

«Me la racconti? Non dirò a nessuno che la carogna di Wall Street racconta le favole alle ragazze che fanno brutti sogni.»

Lo sentii sospirare. «Non so se è una favola.»

«Fa lo stesso.»

«C'era una volta un ragno, che aveva tessuto una grande tela per catturare la farfalla più bella del giardino. E la farfalla volò proprio nella sua tela, e vi rimase imprigionata. E il ragno si sentì in colpa, per aver privato il giardino di una cosa così colorata e piena di vita. Avrebbe voluto liberarla, restituirle quello che le aveva tolto, ma quel giardino era pieno di altri ragni, e altre tele, ed era sicuro che loro, quella farfalla, se la sarebbero divorata.»

Cercai con le dita le sue labbra. Un contatto che mi bruciò la pelle, e mi piacque. «Ci sono farfalle che non hanno bisogno di essere salvate.»

«E ragni che non possono rinunciare alla farfalla.»

«Come finisce la storia?»

«Non lo so, bambina. Non lo so.»

Chiusi gli occhi, e quella notte la morte non venne più a trovarmi in sogno.   

SPAZIO AUTRICE

Sapete cos'ha pensato l'autrice nello scrivere questo capitolo? Visto che sia il segreto "quello di prima di me" che il segreto "che tipo di merda ha pestato Trevor con i russi" sono stati svelati, sarebbe stato azzeccato rivelare che abbiamo anche il mistero de "la morte va a trovare Lea in sogno". Perché insomma, vorrei mai che vi annoiaste troppo nei capitoli in cui non fanno sesso. Quindi il sogno non è un sogno, ovviamente. 

Se state pensando che tessere una favoletta sul ragno e sulla farfalle sia alquanto banale e poco creativo beh... avete ragione ahaha! Scusate. 

L'autrice continua a fingere che la chiacchierata tra Trevor e Denis  nel capitolo precedente non fosse degna di nota. 

Che altro? Sapete già: non sono capace di usare i social, non so far arrivare lettori da altre piattaforme, non ho mezzi validi per far sì che questa storia spicchi il volo come fanno e hanno fatto altre storie che ora vi fanno l'occhiolino da una mensola sotto il marchio Sperlimg&Kupfer. Il mio unico mezzo siete voi ed è di voi che ho bisogno: lettori, passaparola, stelline, commenti, follow e un po' di sana pubblicità, se ritenete ovviamente che Priceless sia meritevole. 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro