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3. Fallo stabilire a me

Vedete, in realtà io non ero al centro di nessun machiavellico piano, ero solo una pennellata nel bordo di un quadro ben più grande di me. Ero, come si suol dire, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fu un caso, che la mia orbita si fosse incrociata con la sua, invischiandomi in qualcosa che nemmeno comprendevo.

Ma la mattina seguente il mio ruolo in quello che avrebbe preso vita non era ancora chiaro né a lui, né a me.

Reduce da un paio d'ore di sonno strappate a fatica da una nottata che stava diventando mattina, mi svegliai stanca e sopraffatta da una nausea dalle origini sconosciute.

Giunsi in ufficio che erano quasi le nove covando la speranza di sopravvivere alla giornata senza dover scambiare parole con esseri umani diversi da Denis. Le mie speranze si infransero non appena misi piede in filiale, dove trovai un Denis particolarmente composto affiancato da un iroso capufficio.

« Lea, ha quasi un'ora di ritardo » mi informò il mio capo, senza prendersi la briga di introdurre la ramanzina con un saluto.

Cercai di contenere la delusione che mi montò dentro nel constatare la sua presenza.

« Recupererò con gli straordinari nel pomeriggio. »

Mi tolsi il trench in fretta, con l'intenzione di abbarbicarmi al più presto dietro la trincea di scartoffie mai archiviate appoggiate sulla mia scrivania. Ancora una volta le mie intenzioni vennero ostacolate dal mio capo.

« Hai un cliente che ti aspetta in ufficio. Denis ti spiegherà. Appena hai finito vieni a informarmi sui risultati dell'appuntamento. »

Non attendevo nessuno: la mia agenda era vuota come il frigorifero di un'anoressica.

Aggrottai la fronte in cerca di indizi sul volto di Denis, che non proferì verbo finché il capo non si fu dissolto dietro la porta del suo ufficio.

« Chi è il cliente? » bisbigliai, avvicinandomi al bancone.

La checca del mio cuore abbandonò la sua rigida compostezza e quasi si spalmò sul ripiano per avvicinarsi al mio viso.

« Un esemplare di figo stratosferico, Lea! Giuro, è bello almeno quanto il primario! »

Sorrisi.

« Esagerato! »

« No, giuro! Sembra composto esclusivamente di feromoni e testosterone! Cristo, è un Adone! E ha chiesto di te. Non si è presentato ma il capo è impallidito non appena lo ha visto. Lo ha fatto accomodare direttamente da te, non in sala d'attesa. Sai bene che è un trattamento riservato solo a pochi eletti. »

Avvertii un oscuro presagio stringere in una morsa la mia spina dorsale. Denis dovete leggere qualcosa di inquietante nella mia espressione, perché mi chiese subito se mi sentivo bene.

« Sono solo stanca. Senti... hai notato qualcosa di anomalo nel tizio seduto da me? »

« Di anomalo quello ha solo il sex appeal... »

Quasi mi rilassai, ma Denis proseguì: «...oltre alla scelta delle scarpe. Ma si può sorvolare sulla seconda anomalia, vista la portata galattica della prima. »

Sospirai, cercando di dissimulare il disagio che mi aveva fatto contorcere lo stomaco.

Lasciai Denis ed entrai nel mio ufficio, dove il mio sconcerto raggiunse nuove vette nel vederlo col culo appoggiato alla mia scrivania.

Mi sbattei la porta alle spalle, chiudendo il resto del mondo fuori dal nostro ring.

« Ha qualcosa contro le sedie, per caso? Trova di basso costo anche quelle? »

Non potendolo mandare a fanculo senza sapere il motivo della sua visita, dovetti tornare al Lei.

L'angolo sinistro della sua bocca saettò verso l'alto, insieme al sopracciglio. Su quel viso c'era spazio per parecchie smorfie, e nessun sorriso.

« Ha lo sguardo stanco, dottoressa Gessi. Forse è meglio se si siede lei. »

Mi squadrò dalla testa ai piedi, senza remore, come stesse cercando il tumore sulla radiografia di un moribondo, certo di trovarlo, curioso di sapere dove il male si stesse nascondendo.

Mi pentii di non aver coperto le occhiaie con il correttore, di aver lasciato il mio volto slavato così com'era, mentre un brivido osceno mi faceva rizzare la peluria alla base del collo e contorcere le viscere, sotto il radar dei suoi occhi.

Partivo senza dubbio in svantaggio per la sfida che ero certa mi avrebbe lanciato da lì a poco.

Quel figlio di puttana era tirato a lucido come una Lamborghini da esposizione.

La sua giacca era abbandonata sulla sedia, luogo in cui avrebbe dovuto appoggiare le fastidiose terga.

La camicia nera racchiudeva il suo torace invitante in un abbraccio sensuale, le maniche ancora una volta arrotolate sopra il gomito mi svelavano braccia decorate con elaborati tatuaggi. Era un dragone quello che gli era stato impresso con l'inchiostro sulla pelle? Avrei scommesso di sì.

Banale.

Io avevo addosso leggins marca Tezenis e una maxi maglia acquistata a una svendita Camomilla che non rendeva nessuna giustizia alle curve del mio corpo.

Indossavo gli avanzi della mia mancanza di sonno, in pratica.

Dannazione.

Aggirai sia lui che la mia scrivania, andando a sedermi alla mia postazione. Si degnò di spostare il culo dal ripiano, voltandosi verso di me. Non parve intenzionato a sedersi.

« Spero non sia qui per altre assurde proposte. Sarebbe alquanto perverso, farlo nei locali della Credit S.p.A.»

La sua espressione parve incrinarsi per una frazione di secondo, giusto il tempo di incamerare il significato della parola perverso, appositamente selezionata dai pochi neuroni vigili presenti nel mio cervello.

« Sono qui per investire danaro, dottoressa Gessi. »

Figuriamoci.

«Investire denaro, eh? » ripetei, poco convinta.

« È quello che fate qui, se non sbaglio. »

« È quello che fate anche alla Baker. »

Adorava starsene lì in piedi a dominarmi, lo intuivo dalla sua postura rilassata, che non tradiva certo le poche ore di sonno. Decisi comunque di non alzarmi, ma di appoggiarmi con noncuranza allo schienale, accavallando le cosce. Mossa, questa, che sarebbe risultata senza dubbio più efficace se avessi avuto addosso il Koma della sera prima, anziché dei leggins slabbrati. Ma feci del mio meglio con ciò che avevo a disposizione. Come sempre.

Vidi il suo sguardo posarsi sulle mie ginocchia tristemente infagottate dal cotone di Tezenis. Si mise le mani in tasca, e la banalità di quel gesto lo illuminò con una dirompente scarica di sensualità. Sembrava danzare sul mondo, con quello sguardo annoiato e quel corpo da urlo.

Non desideravo quell'uomo, no. Desiderare un uomo era una condizione che non mi aveva mai infastidita. La carne risponde a istinti primordiali, alla chimica degli ormoni. Avevo desiderato uomini che poi avevo avuto.

Volevo che lui desiderasse me. Volevo vedere accendersi la brama nel suo sguardo tediato dall'insofferenza che gli procurava il mondo. Volevo vedere il tormento incendiare la sua espressione indolente. Volevo sperimentare la sua reazione ai miei rifiuti, ai miei no sussurrati accanto al suo orecchio sensibile, al mio corpo che doveva trovare il modo di attrarlo solo per poterlo poi respingere.

Ah, che soddisfazione sarebbe stata. Una soddisfazione che pensavo avrei pagato solo con la conseguente impossibilità di testare le sue potenzialità celate dai boxer. Ma il prezzo degli istinti di quell'uomo era un altro, e ancora non lo sospettavo.

All'epoca mi crogiolavo ancora all'ombra della mia convinzione che essere donna, figa e sveglia fosse la perfetta artiglieria per bombardare una società ancora in parte vincolata dallo stretto rapporto tra l'avere successo e l'avere un pene. Ma cos'è il successo, senza il valore?

E io, fanculo, ero di valore.

« Sì, lo facciamo anche alla Baker. Ma lo facciamo meglio. »

Arrogante figlio di puttana.

« E allora porti lì il suo denaro, signor...? »

E lo fece. Per la prima volta sorrise apertamente. Avevo rimandato quel momento il più possibile, sperando che si convincesse che lui, per me, contava così poco da non essere nemmeno incuriosita dalla sua identità. Ma alla fine mi ero convinta io, di qualcosa. Ovvero che non potesse colpirmi con il suo nome. Vinse quel round, presentandosi e prosciugando la mia lingua biforcuta.

« Trevor. Trevor Baker. »

Lo disse come se con quelle parole avesse spalancato le porte del Paradiso.

Trevor Baker, signori e signore...

«...la carogna di Wall Street » conclusi, a voce alta, quasi sovrappensiero.

Quando lo avevo definito figlio di puttana, non avevo sospettato che fosse letteralmente, un figlio di puttana. Germoglio genetico di Sebastian Baker, primogenito di George Baker, socio fondatore della Baker Agency.

« La mia fama mi precede. »

Avevo davanti il rampollo di una famiglia di squali della finanza, il frutto della relazione clandestina tra Sebastian, ufficialmente sposato con Annabell Water, capo redattrice di Vogue London, e una semi sconosciuta subrette italo americana della tv britannica, poi salita alla ribalta quando posò senza veli per la copertina della rivista della Water con il pancione. Successivamente svelò che il padre era Sebastian, 24 anni più vecchio di lei, e lo scandalo fu servito dato che Baker senior non negò, decretando la fine dell'esistenza in vita di George Baker procurandogli un crepacuore che gli fu fatale. Erano altri tempi, e a Londra ancora non erano avvezzi agli scandali di Corte, né dei suoi dintorni. Ora la Water si gode la pensione e gli alimenti di Sebastian. La subrette si gode solo gli alimenti, suppongo. Ma sono certa che le bastano.

Trevor era entrato nel CDA della Baker da una decina d'anni, ma aveva le mani in pasta un po' ovunque: era stato protagonista di scalate ostili sui mercati azionari di mezzo mondo, mantenendosi in un precario equilibrio legale con lo scaltro utilizzo di prestanomi e aziende controllate da terze parti, sempre e comunque riconducibili a lui.

« La sua presenza nel mio ufficio mi è sempre meno chiara, signor Baker. »

Senza sfilare le mani dalle tasche camminò fino ad affacciarsi alla finestra del mio ufficio, che offriva solo la triste panoramica di una strada trafficata e di un marciapiedi che aveva visto tempi migliori.

« Lei ha rifiutato la mia offerta di lavoro, dottoressa Gessi, millantando evidentemente capacità professionali che i miei collaboratori potrebbero aver sottostimato...»

« Io non ho millantato proprio niente » intervenni, ma lui proseguì come se non avessi emesso un fiato.

«...quindi ho pensato che testare la sua preparazione con una cifra a sei zeri per conto mio potesse essere un test efficace per stimare un nuovo prezzo. »

Non si prese la briga di voltarsi verso di me, proseguendo imperterrito nello studio del traffico inquieto della città.

Quanta arrogante ottusità concentrata in un solo uomo.

« Lei non ha capito, signor Baker. Il mio prezzo non è alla sua portata, né alla portata di chiunque altro. »

Finalmente spostò lo sguardo su di me, voltando solo la testa.

« Lo faccia stabilire a me, dottoressa Gessi. »

Mi sfuggì una brevissima risatina dalla gola. Non volevo certo farlo sentire deriso, ma era evidente che parlavamo lingue diverse.

« Non sono dottoressa.»

Ottenni un'espressione perplessa sulla sua faccia da schiaffi, oltre alla soddisfazione di vederlo abbandonare la sua postura da re della giungla. Spostò il corpo voltandosi interamente nella mia direzione. Avevo la sua attenzione.

« Prego? » chiese.

« Non ho mai conseguito la laurea, né mi sono iscritta a qualche facoltà. Sono entrata alla Credit S.p.A. a 19 anni, impugnando il mio diploma privo di valore, conseguendo le abilitazioni alla consulenza durante l'apprendistato. Non sono dottoressa, signor Baker. Né ho la pretesa di avere le competenze per gestire anche solo una frazione del suo patrimonio, sapientemente accumulato attraverso operazioni finanziare ad alto livello di rischio, oltre che di controversia. »

Mi studiò per qualche istante, soppesando le informazioni che gli avevo fornito. Parve concentrato.

« Le sue performance sono le migliori dell'intero Nord Est, signorina Gessi, e nella mia squadra commerciale voglio solo i migliori. Alla Baker non siamo interessati ai formalismi. Io ne sono la prova vivente, dato che solo la metà del mio patrimonio genetico è legittimo.»

Non mollava l'osso, da bravo mastino. Ma, ancora, non aveva capito. Gli lasciai sprecare un altro po' del suo fiato.

« Posso aumentare l'offerta di un ulteriore 20% se gestirà con mia soddisfazione il denaro che ho depositato stamattina. Potrei anche aggiungere una considerevole cifra come bonus di benvenuto. Copriremmo a parte l'eventuale risarcimento dovuto alla Credi S.p.A. nel caso lei sia vincolata a un patto di non concorrenza. Chiaramente è tutto subordinato alla sua capacità di battere il benchmark da me stabilito con gli investimenti che mi proporrà. »

Mi schiarii la voce, al solo scopo di donare teatralità alla mia risposta.

« Non ho spazio per lei nel mio portafoglio, signor Baker. Non mi servono nuovi clienti, né nuove entrate e tantomeno un nuovo datore di lavoro. L'accompagno dal mio capoufficio, » risposi, pacata, alzandomi dalla sedia. «Le assegnerà un altro consulente, senza dubbio più interessato di me a incrementare il proprio prestigio professionale e le proprie entrate mensili. Prego, mi segua...»

La mia falcata sicura verso la porta dell'ufficio conobbe una morte prematura: Baker mi prese per il polso, come aveva fatto la sera precedente, e il mio corpo obbedì senza riluttanza a quello che era il suo ordine muto, e non una sua richiesta educata.

Maledetto corpo del cazzo.

« Potrebbe smettere di lavorare in quel posto, di notte. »

Cercai di piantare tutto il mio risentimento nel tono della mia risposta.

« Quel posto è mio, mi appartiene signor Baker. E io non ci lavoro, lì dentro. Mi ci diverto. Cosa che non potrei fare dietro il monitor di uno dei suoi PC, o inseguendo la ripresa economica sui mercati, o sfruttando uno spread favorevole. Tutto quello che lei mi offre non mi diverte, signor Baker, e di conseguenza non mi interessa. » Prima di proseguire con la mia arringa mi presi la libertà di avvicinarmi di un passo, mentre la sua mano non abbandonava il mio polso, e il suo sguardo non si snodava dal mio. Sembrava tranquillo, relativamente infastidito e, forse, vagamente galvanizzato. Quello scontro gli stava piacendo, e questo gonfiò il mio ego già ebbro di vanità. «Ogni euro in più sulla busta paga ha un valore che io esprimo in minuti, ore, giorni che non potrei più dedicare a ciò che mi piace fare e che comunque mi consente di riempire l'armadio di ninnoli che valgono quanto i bolidi che guidano i suoi dipendenti di solito, compresi quelli meglio retribuiti. Alla Credit ho un portafoglio già costruito, solido e gratificante sia per me che per i clienti, il porto sicuro della mia futura pensione. Alla Baker dovrei ricominciare daccapo e questo richiede sacrificio, e io non voglio sacrificare nulla, tantomeno il mio inestimabile tempo libero. Non mi manca nulla, signor Baker. Con la sua offerta posso solo perdere valore. »

Di nuovo sorrise, ma non apertamente come pochi attimi prima, quando mi aveva svelato il suo nome come fosse uno dei Comandamenti. Quella piccola ombra che gli oscurò lo sguardo lo rese irresistibilmente invitante.

« Potrei mostrarle nuovi modi per dare valore al suo tempo, signorina Gessi. Alla Baker ci si può divertire parecchio, dietro un pc e inseguendo la ripresa economica, glielo assicuro. »

All'epoca mi colse il dubbio che il doppio senso di quella frase fosse voluto. Oggi ne ho la certezza.

« Correrò il rischio di perdermi quel divertimento, Baker. Non so se mi fido di uno che indossa delle scarpe Nike sotto un completo Armani. »

A quel punto liberò il mio polso, ma nel farlo mi accarezzò la mano. Un brivido indecente mi avvinghiò l'intero braccio.

« Anche la comodità non ha prezzo, signorina Gessi. »

Mi affiorò alla mente la sensazione di prurito causato dai perizomi in pizzo che indossavo la sera, il dolore pulsante ai piedi infilati dentro le Jimmy Choo con il tacco 12, il fastidioso sfregare dell'allacciatura dei reggiseni La Perla sotto le camicette. Sputai la mia sentenza.

« Non sono affatto d'accordo. »


***


Maledetta troia.

Salii sulla Tesla sbattendo lo sportello. Andrey, al volante, fumava la sua merda puzzolente con il finestrino abbassato.

« Ne deduco che non ha accettato » commentò, quasi divertito.

« Vaffanculo, hai fatto un pessimo lavoro con lei. Hai omesso un'infinità di informazioni fondamentali. »

Buttò il filtro sul marciapiedi e alzò il vetro.

« Tipo quali? »

Mi passai le mani sulla faccia. Stilai l'elenco mentalmente, prima di vomitarglielo addosso.

« La troia è ricca. Ricca, ok? Non benestante. Quindi ha una terza attività di cui non sappiamo nulla. »

Andrey si voltò a guardarmi.

« Potrebbe estorcere soldi ai clienti, o truffarli » ipotizzò.

« No. Se fosse qualcosa di illegale non ne ostenterebbe i guadagni. Scopri come si riempie le tasche. »

« Va bene, che altro? »

« Sembra felice. Non mi avevi detto che era felice. Suo padre si è impiccato otto anni fa nel cazzo di garage, sua madre era una tossica di merda che l'ha messa al mondo in un letto di siringhe e lacci emostatici, non ha nemmeno abbastanza cervello da ottenere una laurea in un Paese merdoso come l'Italia eppure ha una posizione di rilievo alla Credit e un sorriso impertinente sulla faccia. Dovevi dirmelo, cazzo. Non è neanche ricattabile, dato che non ha legami affettivi. »

« Fammi capire, brutto coglione, avrei dovuto verbalizzare sul suo dossier che la troia è felice e soddisfatta? Ma che ti sei sniffato, stamattina? »

L'odore dei suoi capelli.

« Vaffanculo, Andrey. Avresti dovuto dirmelo che c'era il rischio che non accettasse. »

« Cosa cambia? Il piano B ce l'hai, no? »

No.

« Certo.»

« Quali altre informazioni fondamentali avrei omesso? »

Guardai fuori dal finestrino nel rispondere.

« Che è una figa fotonica. »

Andrey rise. Io meno.

SPAZIO AUTRICE

Mmm... non sarà una reazione eccessiva per una semplice proposta di lavoro declinata? Trevor, Trevor, Trevor... cosa cerchi, di preciso, da Lea?

SPECIAL GUEST STARS DEL CAPITOLO:
Immagini rimosse perché non si sa mai 🤣

LA VOGLIA DI LAVORARE DI LEA:

L'OUTFIT DERIVANTE DALLA MANCANZA DI SONNO:

LA TESLA:

IL PIANO B:

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