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14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.

Spostare il cibo sminuzzato da una parte all'altra del piatto, ammucchiarlo sul bordo, poi mescolarlo, redistribuirlo e ricominciare: è così che si esprime un disagio con il cibo, ma anche uno che non ha a che fare direttamente con esso, a volte.

Trevor e Andrey erano seduti di fronte a noi, ma io ero l'unica con un piatto davanti. Baker, a quanto pareva, aveva una malsana ossessione per la mia alimentazione.

Per un recondito e inspiegabile istinto, mangiare davanti a un pubblico mi rendeva nervosa. Avrei preferito di gran lunga alzarmi da quella sedia e usarla come strumento di seduzione ballandoci attorno, piuttosto che masticare cibo davanti a gente che non era intenzionata a fare lo stesso.

E se nutrirmi davanti a terze persone che mi osservavano senza cibarsi a loro volta mi risultava difficile anche in circostanze più o meno normali, vi lascio immaginare con quale disagio cercavo di gestire il cibo nel mio piatto, la preoccupazione per Denis e la diffidenza nei confronti di Trevor in quell'occasione.

Dopo una breve diatriba tra me e la forchetta che sfociò in una quasi immediata sconfitta per entrambe, appoggiai la posata e mi arresi.

«Ho lo stomaco chiuso.»

Baker sospirò con inusuale teatralità. La cosa mi allertò. Forse mi avrebbe allarmata anche una minaccia subdola uscita dalla sua bocca avvelenata. Quell'uomo faceva suonare tutti i miei campanelli d'allarme anche solo respirando, e questo era il vero problema, dato che avevo una naturale predisposizione nel cedere al fascino del pericolo.

«Mangia, Lea. Non fare la bambina capricciosa. Ci siamo già detti quanto è importante che tu non crolli prima del tempo, vero?»

Ripresi in mano la forchetta con la mano sana, mentre il leggerissimo tocco di Denis sull'altra mi infuse, se non una briciola di coraggio, almeno un soffio di fiducia.

Mi portai il pollo ormai freddo alla bocca, gestendo con poca eleganza ma caparbia volontà il conato che mi assalì.

La bocca di Trevor si alzò di lato, in un sorriso asimmetrico e bastardo che si sposava alla perfezione con la sua personalità. Sembrava sfidarmi a vomitare lì, davanti a tutti, a imbrattare i miei vestiti, quelli di Denis, il piatto, il tavolo e il pavimento. Mi affiorò il timore che desiderasse vedermi ripulire tutto su suo ordine.

Masticai lentamente, soffrendo le pene dell'inferno nel gestire la riluttanza del mio stomaco nel ricevere cibo in un momento emotivamente così stressante, ma non abbassai lo sguardo e guardai Trevor finché mi decisi a inghiottire il boccone.

Mantenni il controllo anche su quel secondo conato. Stavo sudando, e fui grata di aver avuto la possibilità di cambiarmi: il pigiama si sarebbe appiccicato alla mia pelle umidiccia.

Mi parve una vittoria più sofferta che schiacciante, ma ne feci comunque tesoro. Portai il bicchiere alle labbra e buttai giù un sorso.

«Quando pensi di comunicarci i tuoi propositi, Trevor?» chiesi, seriamente intenzionata a dilatare il più possibile la pausa tra una forchettata e l'altra, accorciando invece l'attesa per le rivelazioni di Baker.

«Quando avrai terminato la tua porzione di cibo.»

«Ne deduco che non hai altri impegni » intervenne Denis. Ero certa lo avesse fatto perché consapevole del mio disagio. «Lea lo finirà tra una settimana.»

Trevor spostò lo sguardo da me a Denis. «L'ho vista ingurgitare spazzatura con insospettabile rapidità.»

«Magari non avevi appena pestato a sangue un suo amico nel salotto. Potrebbe essere una circostanza che non favorisce l'appetito.»

Sorrisi, portandomi un boccone di pollo alla bocca. La lingua di Denis sapeva essere avvelenata quanto la mia, all'occorrenza.

Baker acquisì la sfida, senza scomporsi.

«A essere onesti le avevo appena causato una crisi isterica, si era pugnalata una mano con un pezzo di vetro e, per finire, le avevo rivelato che posso vederla in ogni frangente della sua esistenza, a parte quando se ne sta seduta sul cesso.»

Denis si voltò verso di me, apparentemente sereno, la bocca ormai ripulita e non particolarmente gonfia. Guardò me, rispondendo a lui.

«Tutte cose che l'avranno sicuramente fatta incazzare, signor Baker, ma ben lontane dal destabilizzarla più di tanto.»

Inghiottii il secondo boccone con molta meno fatica. Fu il rumore sordo del pugno di Trevor sul mio tavolo a separare il mio sguardo da quello di Denis, ma non bastò a spegnere il nostro sorriso complice.

«Ti destabilizzo io a suon di pallottole, stronzo. Lea conosce già le regole, ma mi vedo costretto ad aggiornare la lista. » Tornò a voltarsi verso di me. La rabbia gli deformò il volto, senza offuscarne il fascino. «Devi rispondere ai miei messaggi entro tre minuti Lea, è chiaro? E alle chiamate entro il terzo squillo. E devi obbedire, Cristo! Smettila di aggirare gli ordini, di fare di testa tua, di calpestare i confini per vedere cosa succede. Perché te lo dico già, cosa succede, piccola stronza. Ce la prendiamo con il frocetto, e poi ti devi trovare un altro coglione che ti compra i cioccolatini, perché te lo restituisco a pezzi sparsi dentro i sacchetti del freezer. Sono stato chiaro, Lea?»

Mi ero aspettata qualcosa di molto simile, in effetti. Avevo colto la situazione nel momento in cui Trevor se l'era presa con Denis usando le scarpe, anziché un'arma.

«È chiaro» borbottai, imbronciata. Ero incastrata nel gioco di Baker, non c'era molto che potessi fare da lì al sabato successivo.

«Stai preparando la password per sabato? Perché cazzo non ti vedo lavorare a quella roba, Lea?»

Mi avventai sulla forchetta per prendere tempo prima di rispondere. Sentivo lo guardo interrogativo di Denis pungermi la guancia, quello infuocato di Trevor mitragliarmi, quello incazzato di Andrey prendermi a pugni. Quando ebbi inghiottito e bevuto senza che nessuno dei tre mi avesse incenerito con gli occhi, detti voce alla verità.

«Perché l'incognita dinamica non può essere calcolata nel weekend. Posso iniziare da domani sera.»

Trevor si appoggiò pesantemente allo schienale, mantenendo una postura comunque composta. Era insopportabile quella sua capacità di risultare impeccabile anche senza sforzo.

«Porta a casa il frocetto» ordinò ad Andrey, senza alcuna inflessione nella voce.

«Non esiste che io la lasci da sola con te » si affrettò a rispondere Denis, stringendomi la mano ferita e provocandomi un dolore lancinante che dovetti soffocare con un grugnito.

«È già stata da sola con me. Non le è dispiaciuto.»

Ci congelammo tutti per un secondo, incamerando le implicazioni di quella frase.

«Sei uno stronzo, Trevor Baker. E la tua compagnia mi infastidisce, te l'assicuro.»

Mi guardò. Anzi, mi osservò. Lo fece con attenzione, studiando qualcosa che evidentemente sfuggiva alla mia comprensione. Mi sentii a disagio.

«Solo una delle due frasi è vera, Lea. E che sono uno stronzo lo abbiamo già stabilito con certezza. Ma capisco che ammettere di non provare abbastanza rancore per il tuo aguzzino non sia cosa semplice.»

Raccolsi tutto il disprezzo di cui disponevo, consapevole che, comunque, non era una quantità adeguata alla situazione.  Gli rivolsi la password nient'affatto dinamica ma universalmente conosciuta per sbrogliare questioni critiche.

«Vaffanculo.»

«Non la lascio da sola con te» ribadì Denis.

Andrey si alzò dalla sedia e lo prese per il colletto della polo, vistosamente macchiata di sangue. «Sì, la lascerai da sola con lui. Tanto ci serve viva e vegeta. L'unico inutile stronzo che possiamo eviscerare senza indugi sei tu.»

Denis si liberò dalla presa del russo, ma covo tutt'ora il sospetto che in realtà la scelta di lasciarlo andare fosse stata di Andrey. Il mio migliore amico si girò verso di me, in cerca di una qualche richiesta di aiuto nella mia espressione, una muta supplica, un motivo qualunque che lo inducesse a insistere e restare. Non trovò nulla, nella mia espressione, che fosse presente in quantità sufficiente: non abbastanza preoccupazione, non abbastanza tensione e, cosa ancor più sconcertante, seppi con certezza che non trovò abbastanza paura. Eppure, ancora una volta, Denis non mi giudicò. Mi sorrise, si chinò per bacarmi sulla testa e mi accarezzò la guancia.

«Sei proprio strana, sgualdrina.» Si drizzò e non mancò di salutare Trevor, a modo suo. «Se le fai del male troverò il modo di fartene anche io.»

Uscì da casa mia, senza bisogno che Andrey lo incitasse in qualche modo. Restammo io e Trevor, in cucina. Incrociai le braccia, scocciata.

«Se mi costringi a mangiare ancora ti vomito sulla camicia.»

«Vieni qua, Lea.»

Eccolo, il brivido caldo in mezzo alle cosce. Le serrai, cocciuta, per reprimere quel germoglio d'eccitazione che si voleva schiudere troppo in fretta.

«No.»

«Non fare i capricci. Vieni qua.»

«No.»

E, mentre negavo la volontà di ristabilire un contatto fisico con l'uomo che probabilmente avrebbe ucciso sia me che Denis da lì a qualche settimana, sentivo il mio subconscio implorare il mio corpo di cedere alla sua volontà e sedersi sulle gambe di Trevor Baker.

«Se non vieni, mi dovrò alzare.»

Presi in considerazione l'ipotesi di scappare. Ma dove volevo scappare? Al massimo sarei arrivata dalla cucina al salotto. E comunque non era ancora giunto il momento di sfuggire a Trevor.

«Preferirei restare dove sono.»

«Bugiarda. Te lo ripeto per l'ultima volta, Lea. Vieni qua.»

D'istinto, lo sguardo andò verso l'uscita. Sebbene Trevor fosse dalla parte meno comoda del tavolo, restavo insabbiata nell'idea che mi avrebbe raggiunta molto prima che potessi aprire la porta di casa.

«Non uscirai. E se anche uscissi, ti ricordo che i miei uomini ci vedono e che quelli che ti aspettano di sotto sono meno pazienti di me.»

Sbuffai, ma non ero davvero arrabbiata con lui. Ero sinceramente infastidita da me, dal modo in cui mi facevo influenzare da lui.

«Mettiamo che decida di non alzarmi...»

«Dovrò punirti, Lea. E non sei ancora pronta, credimi.»

Strinsi i pugni, e la mano ferita pulsò come un cuore in fibrillazione. Forse per la prima volta ebbi un po' paura, ma era una paura sconosciuta e senza dubbio corrotta. Non avevo paura mi facesse del male. Forse avevo paura non me ne facesse abbastanza. Probabilmente avevo paura che qualunque cosa fosse in grado di farmi, poi mi sarebbe piaciuta.

Alla fine, umiliata, mi alzai.

«Ottima scelta.»

Aggirai il tavolo e, inutilmente, sperai mi avrebbe concesso di accomodarmi sulla sedia che aveva occupato Andrey fino a poco prima.

«Oh, andiamo, Lea. Non farmi sprecare altro fiato, né altro tempo. Tu sai dove devi sederti.»

Tentennai: la soddisfazione di sedermi sulle sue gambe avrei voluto negargliela. Mi guardava esibendo una pazienza che supposi essere affidabile quanto una banconota da trenta euro.

Mi avvicinai finché le mie ginocchia sfiorarono il lato della sua coscia.

«Sto aspettando, signorina Gessi.»

«Ti lascerei aspettare in eterno, Baker.»

Sfoggiò un mezzo sorriso che pareva la porta del girone dei lussuriosi.

«Ma non lo farai. Quindi allarga quelle cosce, Lea. Sappiamo entrambi che è un gesto cui sei avvezza.»

Sospirai e obbedii, facendo ben attenzione a ridurre al minimo il contatto fisico durante l'operazione. Mi resi conto che non avevo idea di dove cazzo mettere le mani, dato che, di norma, quando mi ritrovavo in quella posizione ero felicemente nuda, come il mio partner. Raccolsi le braccia in grembo e strinsi la maglietta con la mano libera dai punti.

Baker, invece, sapeva bene dove mettere le mani. Mi strinse i fianchi con sadico piacere, dissetandosi con il mio disagio.

«Allora, ragazzina, spiegami come hai intenzione di calcolare la variabile dinamica di El Diablo.»

«Ci eravamo detti che non è necessario che tu sappia tutto.»

«Ci eravamo anche detti che non avresti dovuto parlare con nessuno della situazione.»

«Non ne ho parlato con nessuno, infatti. Denis lo ha scoperto da solo...»

Trevor strinse la presa sui miei fianchi, togliendomi il respiro. Il dolore fu improvviso, lancinante. Soddisfacente.

«Non perdiamoci in inutili dettagli, Lea. Ho avuto troppa pazienza con te» mi inarcai in cerca di sollievo dalle dita che mi trafiggevano la carne, ma ottenni solo altro dolore: Trevor affondò con forza ancora più in profondità.

«Basta...» implorai.

«Dammi la formula per la variabile dinamica e la chiave per sbloccare El Diablo. Fai la brava. Ti risparmio la fatica di lavorarci nei prossimi giorni.»

Cercai di liberarmi dalla sua stretta aprendogli le dita con le mie: il dolore non era più soddisfacente.

«Ho varcato il confine, Lea? Sei finalmente passata dall'essere bagnata all'essere spaventata?»

Valutai per un istante l'ipotesi di rispondergli sputandogli sulla faccia. Chiaramente, non sarebbe stata una buona idea. Non che io fossi solita dare seguito solo alle buone idee, ma quella fu bollata come "pessima" persino da me.

«Se mi lasci ne possiamo parlare, Baker» ansimai. Allentò la presa, e mi rilassai. Mi consentì un po' di tregua, per riprendere fiato. Fui tentata di sollevare la maglietta per verificare l'insorgere di lividi violacei sui fianchi che avrebbero reso necessario qualche accorgimento per le dirette in cam, ma lasciai perdere: Trevor avrebbe interpretato quel gesto come una debolezza.

«Sono tutt'orecchi, Lea. Parla.»

Di nuovo incapace di trovare un posto in cui ficcare le mani, tornai a stropicciare la maglietta.

«La variabile dinamica è un delta settimanale rispetto a un benchmark.»

Trevor parve perplesso.

«Qual è il benchmark?»

Sospirai. La finanza era il mio lavoro. Lavorare non mi era mai piaciuto. Ergo: la finanza mi faceva cagare.

«Il prezzo medio originale del portafoglio titoli stesso. La data d'origine è il 27 settembre 2013.»

«È il giorno in cui è morto tuo padre.»

«Già. Che ironia, vero?»

Trevor si prese qualche secondo per riordinare le idee. Incasellò i pezzi nel giro di poco.

«È per questo che non vuoi lasciare il lavoro» concluse, quasi sovrappensiero. «Per avere gli strumenti necessari a seguire i mercati.»

«Possiamo dire così, sì.»

Mi studiò per un po'. Io feci lo stesso con lui.

«Quindi tuo padre ha creato un portafoglio titoli e ha tarato El Diablo affinché la variabile dinamica da inserire nella formula sia pari al delta tra la chiusura del venerdì della settimana in corso e la chiusura del 27 settembre 2013?»

Sorrisi.

«Così sarebbe quasi semplice, Baker: mi basterebbe guardare le chiusure dei mercati del venerdì. Ha inserito una serie di call e put option, quindi il portafoglio si modifica non solo nel prezzo, ma anche nella composizione e nella quantità di titoli contenuti. In pratica, lo devo guardare ogni giorno della settimana, stabilire il delta tra la chiusura di ogni giornata con quella precedente, fare una media e portarla in delta al benchmark del 27 settembre 2013.»

Fece una smorfia annoiata.

«Brigoso, ma non impossibile. C'erano modi sicuramente più efficaci di complicarti la vita.»

«Non voleva complicarla a me.»

«È poco efficace anche nei confronti di mio padre, dei russi e dei canadesi, te lo assicuro. Possono trovare quei delta e il benchmark con poco sforzo, una volta che hanno ricostruito il portafoglio titoli.»

Sorrisi.

«E come lo ricostruisci il portafoglio, Baker? Senza di me, non puoi.»

Sorrise anche lui.

«Ma se ho te, posso.»

Non seppi rispondere a quella frase, abbassai lo sguardo.

Vidi la sua mano tatuata prendere la mia, quella che mi ero maciullata con i vetri del bicchiere.

«La stai curando come si deve?» mi chiese, come se non mi avesse appena scucito il segreto di una vita. O uno di essi.

Cercai di sfilare la mie dita dalle sue. Mi trattenne senza sforzo. «Che t'importa?»

«Rispondi, Lea. Smettila di ribellarti a qualunque cosa. Non hai più nulla cui ribellarti, ormai. Ti ho preso quasi tutto quello che mi interessa avere.»

Era vero, quasi tutto.

«Prendo gli antidolorifici.»

«A stomaco pieno?»

Riflettei più del dovuto. Chissà perché.

«A volte.»

«Quasi mai. Ti vedo, Lea. Sempre.»

«Non ti darò quel portafoglio, Baker.»

Passò le dita lungo la benda, dove i punti ancora prudevano e tiravano.

«Non mi interessa più averlo, Lea. Preferisco avere te, guardarti per cinque giorni mentre lavori per la Credit, per i tuoi clienti al locale, per i tuoi utenti in cam, per me nei ritagli di tempo, illudendoti di non lavorare, di divertirti, di essere felice. Ma tu non sei mai stata libera, Lea. Ti sei fatta ingabbiare da tuo padre, e prendi ordini da lui anche ora che è morto.»

Mi alzai con rabbia. Trevor non ne fu sorpreso: semplicemente, mi permise di farlo.

«Non sai un cazzo di mio padre, Baker.»

Si alzò, si infilò le mani in tasca, mi guardò come se fossi un enigma di semplice soluzione. Niente di stimolante. Niente di nuovo.

«Ti sei fatta manipolare da lui.»

«Non è vero. Voleva solo che essere certo che stessi bene anche dopo...»

«Sarebbe rimasto con te, se se ne fosse davvero voluto accertare. Ti ha lasciata sola, a vedertela con criminali di tre nazionalità diverse, con una chiave che può ucciderti prima di arricchirti e con qualche rotella fuori posto. Era uno stronzo, Lea.»

C'erano molte cose che Trevor Baker non sapeva, che ancora ignorava e delle quali probabilmente non sarebbe mai venuto a conoscenza. Ma su una cosa aveva ragione: Matteo Gessi era uno stronzo. E quello, forse, era il segreto che mi aveva strappato via con maggior dolore, quello che custodivo sotto pelle e di cui non avrei voluto privarmi. Tra tutte le apparenze che indossavo con disinvoltura, quella dell'orfana del poliziotto era sicuramente la più intima. Trevor Baker aveva ragione, ma ancora non sapeva quanto.

«Le mie rotelle sono a postissimo, Baker. Non sono io quella che se ne va in giro a pestare persone innocenti e minacciare donne sole.»

Sfilò una mano dalla tasca per arricciare una ciocca dei miei capelli tra due dita.

«Non è ordinaria nemmeno la tua, di esistenza, Lea. Siamo più simili di quel che credi.»

Gli presi la mano, liberando i capelli dall'intreccio delle sue dita.

«Lascia in pace Denis. Sabato avrai la tua prima chiave di sblocco per El Diablo. Una volta che ti sarai preso tutto quello che vuoi, sei pregato di sparire dalle nostre vite.»

Si avvicinò, com'era ormai solito fare, per avvicinare la bocca al mio orecchio.

«Quando avrò preso tutto quello che voglio da te, mi pregherai di restare, bambina.»

Non risposi alla provocazione, né lui si era aspettato lo facessi, probabilmente. Mi superò mentre io rimasi a fissare la parete della cucina. Tornai a respirare solo quando sentii la porta di casa chiudersi.    

SPAZIO AUTRICE

Oh, ma quanto sono confortevoli e amichevoli le chiacchierate con Trevor?

Il classico tipo da presentare alla mamma per un pranzo domenicale.

Va beh, sta cosa del benchmark e del delta è un po' complessa, se volete ve la spiego in parole molto semplici: il delta è la differenza tra due valori. Il benchmark un indice da battere o da replicare, un punto di riferimento, in pratica.

Detto questo, la domenica di Lea è iniziata maluccio ma proseguirà un po' meglio.

Il fondo lo toccheremo tra qualche capitolo.

SPECIAL GUEST STAR DEL CAPITOLO: 

Immagini rimosse

le rotelle (a postissimo) di Lea

le rotelle di Trevor

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